Maria Luisa: la nostra nuova vita a Palo Alto (Silicon Valley)

 

Maria Luisa, ingegnere elettronico, dopo 10 anni di lavoro in una multinazionale di Milano, si è trasferita da qualche mese nella Silicon Valley per seguire suo marito. Attualmente Maria Luisa, oltre a fare la mamma a tempo pieno di due piccoli bimbi nella soleggiata California, si occupa del sito www.whymum.it, un sito per le mamme e i papà, in cui domandare, rispondere, raccontarsi, condividere tutte le gioie e le difficoltà della vita da genitori.

 

Maria Luisa raccontaci qualcosa di te…

 

Sono un ingegnere elettronico con un Executive Master in Business and Administration all’Università Bocconi. Nata e cresciuta a Milano, dopo 10 anni di lavoro in una multinazionale, ho deciso di cambiare vita e di tentare con delle attività in proprio, in modo da avere più flessibilità di orari ed avere più tempo da dedicare ai miei figli. Grazie anche alle conoscenze informatiche di mio marito, ho creato sul web una community per le mamme e due negozi di e-commerce.

 

Cosa ti ha portato in America?

 

Il lavoro di mio marito, come per la maggior parte delle famiglie espatriate che conosco (anche se poi ci sono piacevoli eccezioni). Un giorno mi ha chiesto cosa ne pensassi di una possibile esperienza in California. Lo ha fatto via sms mentre era lì per lavoro, ma sapevo che per lui era una proposta seria. Si era innamorato di questo posto. Gli ho detto che non avrei potuto decidere su due piedi, ma dopo averci pensato per un paio di settimane, gli ho risposto che ero pronta per questa avventura. Mi ha portata nella Silicon Valley, dove c’è Stanford, l’Università sognata da tutti gli studenti, e dove ci sono le più importanti aziende nel settore tecnologico e non solo. Insomma, una parte dell’America internazionale e piena di opportunità, non potevo certo rifiutare. Ho pensato subito alle difficoltà che avrei dovuto affrontare con i bimbi piccoli, ma ho considerato che anche per loro sarebbe stata un’esperienza unica, che pochi privilegiati possono fare.

 

Quanto tempo è passato dal momento in cui hai detto “sì”?

 

Solo qualche mese….Sono arrivata qui ad Agosto, ma mi sembra sia già passato un anno per quante esperienze ho vissuto.

 

Di cosa ti occupi?

 

Continuo ad occuparmi del mio sito www.whymum.it e già penso ad altre cose che vorrei fare. Qui si respira un notevole fermento di idee, è pieno di start-up che nascono e muoiono, c’è anche la possibilità, per una donna, di rientrare nel mondo del lavoro anche dopo che si è dedicata ai suoi bambini per un po’ (da notare che qui le scuole pubbliche prendono i bimbi solo a 5 anni). In Italia è molto più difficile. Per quanto mi riguarda, adesso le priorità sono i miei figli, siamo ancora nella fase iniziale di adattamento per cui hanno bisogno di molte attenzioni. Soprattutto il più grande (6 anni) sta vivendo un grosso cambiamento (l’altro ha solo due anni).

 

 

 

 

Che argomenti vengono trattati nel tuo sito?

 

WhyMum.it è un sito per le mamme (ma partecipano anche nonni e papà) in cui domandare, rispondere, raccontarsi, condividere tutte le gioie e le difficoltà della vita da genitori. Ci sono anche degli esperti che talvolta intervengono con riflessioni e risposte puntuali. Gestisco la moderazione, il blog, i contenuti editoriali, la grafica e la struttura. E’ una creazione a cui sono molto legata e che sta accompagnando la mia vita da mamma. All’interno del mio sito WhyMum.it c’è il Blog di Pipa (Pipa è il mio soprannome da sempre), in cui faccio interviste, riporto notizie interessanti, scrivo riflessioni sulla maternità e soprattutto parlo di me e dei miei figli. Ora il Blog è incentrato proprio sui Racconti Dalla Silicon Valley. E’ qui che racconto un po’ quello che sto vivendo anche attraverso gli occhi e i comportamenti dei miei bimbi. E’ un diario che sono certa rileggerò con curiosità tra un po’ di anni, perché potrò rivivere sensazioni che altrimenti dimenticherei.

 

Tornando alla fase del tuo espatrio, quanto è stato difficile per te lasciare l’Italia?

 

Dalla decisione alla partenza sono passati 4 mesi per motivi burocratici di visto ed altro. E’ stato un periodo stranissimo, molto intenso, in cui all’eccitazione si alternavano momenti di paura, in cui ogni momento passato con gli amici e i parenti diventava ancora più prezioso. La nostra decisione ha attirato la curiosità di tutti, abbiamo avuto tantissime manifestazioni d’affetto e di stima e tante iniezioni di coraggio. Ma dietro l’angolo c’era sempre il dubbio che fosse la scelta giusta, guardavo quello che perdevo e potevo solo immaginare quello che avrei guadagnato. Sulla carta era un’occasione da non perdere, per la quale sentirsi immensamente fortunati e che tutti invidiavano, ma intanto mi stavo allontanando dai miei genitori, da mia sorella, da mio nipote e da tutti i miei amici di sempre.

 

Quali sono state le difficoltà che hai incontrato arrivata in America?

 

Avevamo scelto la casa in affitto in dieci minuti, durante un viaggio di perlustrazione precedente e quando siamo arrivati l’impatto non è stato dei migliori. Qui il mercato delle case richiederebbe un articolo ad hoc; soprattutto quelle in affitto sono case care, vecchie e tenute piuttosto male. Poi abbiamo dovuto arredarla da zero, per cui i primi giorni li abbiamo passati nei centri commerciali o a montare mobili. Per il resto, devo ammettere che anche se ci sono tante cose da fare e da capire soprattutto i primi tempi, qui è tutto semplice. Per esempio, una volta scelta l’assicurazione sanitaria, ho individuato facilmente il centro medico in cui andare. Inoltre, grazie a contatti cercati e creati precedentemente, ho subito stretto amicizia con degli italiani che già vivevano qui e che mi hanno dato dritte preziose su dove fare la spesa, come svagarsi, etc. Personalmente poi, quando sono in un posto nuovo, adoro scoprire e cercare. E la ricerca non è ancora finita, le risorse qui sono inesauribili. Altre difficoltà sono quelle legate all’adattamento dei bambini. Mio figlio, una settimana dopo l’arrivo, si è ritrovato in una prima elementare in cui non capiva una parola e in più aveva lasciato in Italia i suoi più cari amici.

 

In questi pochi mesi di permanenza sei riuscita ad adattarti? A risolvere i primi problemi?

 

Abbiamo ancora problemi con l’appartamento, ma adesso conosco meglio i quartieri, la modalità giusta per cercare casa e presto troverò qualcosa di più adatto. Per il resto sì, siamo a regime su quasi tutto, rimane solo da attendere che mio figlio ingrani con la lingua e quindi si senta più integrato.

Nel giro di pochissimo tempo ti sei trovata catapultata a vivere in una nuova cultura. Che peso ha avuto per te tutto questo?

 

Sento che è ancora troppo presto per tirare conclusioni e dare giudizi. Sicuramente ci si accorge subito di alcune differenze culturali e se ne parla molto all’interno delle piccole comunità internazionali che ci sono qui, soprattutto tra europei (una volta che sei dall’altra parte del mondo ti senti europeo e non più italiano). Per me le differenze sono un valore. Mi incuriosiscono e mi affascinano. E poi credo vadano rispettate, per questo osservo molto gli americani e farò a breve un corso proprio su questo confronto culturale, perché reputo sia l’unico modo per integrarsi bene in un nuovo Paese.

 

Quali sono state le prime sensazioni che hai provato, arrivata in America?

 

Nella Silicon Valley il cielo è praticamente sempre blu, i colori sono brillanti, le sequoie si ergono nei giardini delle case. A due passi da casa posso mangiare guardando l’oceano, in un attimo si arriva a San Francisco, una delle città più belle del mondo. La prima sensazione è stata di essere in un posto bellissimo, in cui l’aria è pulita, la gente ti saluta per strada, i commessi nei supermercati ti sorridono, la gente va in macchina piano senza suonare in continuazione il clacson. Ho avuto la sensazione di vivere in un posto rilassante, in cui tutto è costruito per facilitarti la vita e per farti vivere meglio.

 

Come si vive nella Silicon Valley?

 

Qui si vive benissimo, i servizi sono di qualità, c’è tantissimo verde e il clima è splendido. Io vivo nella zona di Palo Alto, un posto piuttosto speciale dove arriva gente da tutto il mondo e ci sono aziende molto innovative. Credo sia un’isola felice nella grande America.

 

Anche se ci vivi da poco, ti sarai fatta sicuramente un’idea di come funzioni il sistema economico, lavorativo, sanitario e scolastico. Cosa puoi dirci?

 

Si respira un’aria consumistica, questo è vero, accompagnata dalla sensazione però che l’economia giri di più in questo modo, anche se il periodo non è uno dei migliori neppure qui. La gente è abituata a spendere e non ha paura di farlo. L’America è comunque un Paese con un forte sistema capitalistico, questo è indubbio. La California è uno Stato piuttosto progressista, con una grande attenzione alle problematiche ecologiche, al cibo biologico e alla difesa della natura. Questo si percepisce ed è molto bello. Per quanto riguarda il lavoro, noto che viene svolto con passione, sia il cassiere del supermercato che il dirigente della grande azienda trasudano piacere per quello che fanno. Qui c’è molta abitudine al “sorriso formale”, ma comunque la sensazione è che il lavoro pesi meno e venga vissuto come una missione. Per quanto riguarda la scuola, viene richiesta la partecipazione dei genitori e in tutte le occasioni ho sempre visto presenti sia i papà che le mamme, anche in orario di lavoro. Dal lavoro si esce presto per mangiare insieme ai figli, poi magari si ricomincia a lavorare dopo cena, ma da casa e nessuno ti guarda male se esci alle 17 dall’ufficio, lo fa anche il CEO di Yahoo. Qui guardano la sostanza, i risultati, non la presenza o le ore che passi in ufficio. Mi sembra che ci sia una maggiore attenzione alla vita privata e al bilanciamento tra tempo per la famiglia e tempo per il lavoro. Il sistema sanitario è quello che suscita più dubbi, noi siamo abituati a una sanità pubblica che cura tutti per lo più gratis, seppur con tanta inefficienza e spreco di risorse. Qui si paga un’assicurazione e se non lo fai non hai praticamente accesso alle cure. Ci sono tante assicurazioni più o meno costose. Con alcune puoi andare solo da certi medici, con altre puoi scegliere chi vuoi, ma paghi di più. Se sei coperto tutto funziona benissimo, c’è molta medicalizzazione ma ti senti anche molto seguito. Vieni visitato velocemente e anche nell’urgenza non passi ore e ore in attesa di sapere quando verrai visitato. Il problema è per i più sfortunati, che magari si ritrovano a dover pagare perfino l’antibiotico per bambini (l’assicurazione paga solo la metà). Come al solito se sei nel sistema tutto è perfetto, altrimenti è davvero dura. Comunque in Italia, anche la medicina a pagamento è inefficiente e i medici ti trattano con sufficienza, mentre qui anche il medico più famoso è gentilissimo e si preoccupa veramente della tua salute (almeno sembra). Il sistema scolastico è uno degli argomenti più sentiti qui. Molte famiglie si spostano dalla città di San Francisco in Silicon Valley alla ricerca delle scuole pubbliche di qualità. Pare che in questa zona siano le migliori. Le scuole sono valutate in base ai risultati dei frequenti test che gli studenti sostengono durante l’anno. Per molti (anche americani) è un tipo di insegnamento un po’ troppo test-centrico. Per questo ci sono anche parecchie scuole private con metodi alternativi (Steiner, Montessori, Reggio-children). Per la mia brevissima esperienza posso però dire che, al di là della scuola che si sceglie, c’è tanta attenzione allo sport (fatto quasi sempre nel campus stesso) e all’incoraggiamento dei bambini. “Good job” è la frase che ho sentito più spesso in questi mesi, sia all’elementare del mio primogenito che al nido dell’altro. E’ proprio una filosofia americana mettere in evidenza i risultati positivi e le capacità del bambino.

Hai detto di vivere a Palo Alto, com’è come cittadina? Cosa offre?

 

Palo Alto è una cittadina con un piccolo centro esteticamente non significativo ma con tanti bei localini e ristoranti di qualità, in cui si respira un’atmosfera vivace grazie anche alla presenza dell’Università di Stanford e dei suoi studenti. Per il resto è tutta residenziale con casette tipicamente americane, ognuna con il proprio giardino privato, piste ciclabili e parchi in cui fare il barbecue. Si può fare “hiking” nelle splendide colline dietro a Stanford o fare shopping allo Stanford Shopping Center o al Country Village, centri commerciali non tradizionali perché all’aperto e quindi più piacevoli. Io e un’amica italiana, Giulietta, anche lei qui da poco, abbiamo creato la pagina Facebook “Vivere In Silicon Valley”, proprio per condividere le nostre scoperte su questa zona e dare accoglienza agli italiani che arrivano qui e cercano il calore di una comunità con le stesse radici e che parla la stessa lingua. Insomma, abbiamo voluto annunciare che qui c’è una comunità italiana in grado di aiutare a trovare quel conforto e quella vicinanza che serve quando si arriva in un Paese completamente nuovo.

 

Insomma, un vero paradiso….

 

Sì, l’America è un Paese bellissimo con tantissime cose da vedere in particolare legate alla natura, gli americani sono cordiali e gentili, i servizi funzionano e la qualità della vita può essere piuttosto alta se sei nel posto giusto. Ma vivere qui ha anche i suoi lati negativi. L’Italia è molto lontana, il viaggio è lunghissimo e il fuso orario di 9 ore è piuttosto significativo. E poi manca un po’ il calore e la passionalità degli italiani, il parlare a voce alta, la profondità dei rapporti. Poi c’è l’Oceano e non il Mediterraneo, il cibo non è paragonabile e non puoi perderti per le vie strette e antiche di una città con un lungo passato alle spalle.

 

Tornando al momento del tuo trasferimento con che stato d’animo l’hai vissuto ?

 

Devo ammettere che l’ho affrontato per fortuna con una certa leggerezza. Mi sono imposta di guardare solo i lati positivi e di non soffermarmi troppo sulla nostalgia o sui ricordi.

 

E qual è stata la reazione dei tuoi genitori?

 

Loro hanno una mente molto aperta. Mia mamma, che è del ’40, già a 16 anni era stata 6 mesi in Germania e poi è diventata anche interprete di francese e tedesco (oltre che farmacista). Mio padre lavorava in Philips e ha viaggiato tantissimo, ha perfino vissuto 5 anni in Olanda mentre io ero all’Università. Con loro ho anche girato molto all’estero fin da quando ero piccola. Nonostante il dispiacere, mi hanno dato coraggio e hanno capito che era un’occasione davvero bella per tutta la mia famiglia. E’ stata dura salutarli e spero che prima o poi riescano a venirci a trovare. Il problema è che siamo davvero lontani, se fossimo in Europa sarebbe tutto più semplice. Anche se oggi, poi, con la videoconferenza le distanze si accorciano molto e per lo meno riesci a guardarti negli occhi. Ma gli abbracci mancano molto…

 

Cosa ha significato per te questo trasferimento?

 

Era una cosa che avevo sempre desiderato fare, fin dall’ Università con l’Erasmus, che poi alla fine non ho mai fatto. Mi ha sempre frenato qualcosa: un amore, la famiglia, gli amici, la paura di perdere i punti fermi. Ma poi quando parti con tuo marito e i tuoi figli in un certo senso è più facile. Sono contenta di aver avuto coraggio e quando vedrò più sistemati anche i miei figli, sarò ancora più convinta della scelta fatta. Poi però ti porti sempre un po’ addosso un senso di provvisorietà, perché non so ancora se e quando torneremo. Inoltre, le persone che incontri qui sono spesso di passaggio e questo per certi versi è brutto. E’ bellissimo conoscere tanta gente nuova che viene da tutto il mondo, ma una volta che ti affezioni si avvicina comunque un nuovo addio.

 

I tuoi figli invece come li hai preparati?

 

Abbiamo iniziato a parlarne da subito ed è servito molto. Abbiamo sempre messo l’accento sui lati positivi, su tutte le cose bellissime che avremmo visto. Con il mio bimbo di 6 anni abbiamo puntato sulla natura, su tutti gli animali che avremmo visto, sul fatto che saremmo stati sempre fuori senza il freddo e la nebbia, sulla nuova scuola con un bellissimo campo da basket e da calcio all’interno. Poi la crisi è arrivata comunque e anche la fatidica frase “Mi manca la mia casa”. Ma è normale, eravamo preparati a questo. Per i bambini espatriati è importante vedere i propri genitori convinti della scelta, decisi fino in fondo. Non sempre è facile, ma cerchiamo di farlo tutti i giorni. Lui aveva anche fatto un corso di inglese prima di venire qui, un po’ è servito, ma l’impatto forte c’è stato ugualmente. Però ora dopo quattro mesi già riesce a comunicare con i suoi compagni. Certo ci vorrà ancora un po’ di tempo per poter fare delle vere e proprie conversazioni come le farebbe in italiano, ma i bambini sorprendono sempre per quanto sono veloci ad apprendere.

 

In questi pochi mesi come è cambiata la tua vita?

 

Per certi versi è migliorata, è una vita molto più attiva e ricca. Mio marito ha orari più decenti e quindi stiamo di più insieme. Ma in generale è cambiato tutto ed è anche difficile fare un paragone. Sono passata da un condominio a una casa indipendente (con tutti i pro e i contro); quando esco da casa salto direttamente in macchina perché a piedi non si arriva da nessuna parte; quasi ogni giorno conosco gente nuova, perfino nei parco-giochi e molto spesso è gente che si è appena trasferita qui; le giornate volano perché pienissime; le feste dei bambini hanno un orario di inizio e uno di fine; la sera si mangia e si va a dormire presto. Mi fermo, ma potrei continuare all’infinito a raccontare le differenze.

 

Ad oggi, puoi ritenerti soddisfatta del tuo percorso di vita e professionale?

 

Lo chiedi ad una persona che guarda sempre al prossimo passo per cui faccio fatica a dire che sono pienamente soddisfatta. Però sono molto serena, ho una famiglia meravigliosa e nonostante i bimbi siano ancora piccoli e richiedano ancora molte energie, già si possono fare insieme molte cose belle. Dal punto di vista lavorativo sento che ancora mi manca qualcosa. Ho lavorato dieci anni in azienda e non rimpiango quella vita in questo momento, ma ho tanta voglia di far fruttare le mie attività e di dedicarmici con passione. Una volta che scopri la libertà è difficile tornare indietro, anche se qui, come dicevo prima, il lavoro da dipendente mi sembra molto più flessibile in termini di orari. Ma a me piace lavorare su progetti miei e magari anche studiare ancora. Non escludo niente. Insomma, vivo alla giornata, con grande serenità ma con un occhio molto attento e proiettato verso il futuro.

 

in**@wh****.it

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www.facebook.com/VivereInSiliconValley

 

A cura di Nicole Cascione

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