Alessandro, a 16 anni un anno in Danimarca: nuova scuola, nuova famiglia, nuova società

 

Sono arrivato a Solderup, paesino sperduto di cinquanta anime, il 10 Agosto, dopo un campo di orientamento di 5 giorni con tutti gli studenti in scambio che avrebbero soggiornato in Danimarca 6 mesi o un anno. Solderup si trova nella penisola dello Jutland a pochi km dal confine con la Germania e a 15km da Tonder, paese in cui ho frequentato la seconda ginnasio (la nostra quarta liceo scientifico). Il paesaggio è rurale: campi, mulini a vento, campi, mulini a vento e il mare a pochi km, che porta un vento forte e pungente in quasi tutte le stagioni.”

 

Chi parla è Alessandro, che a 16 anni decide di buttarsi e andare ad esplorare il nord Europa. Svezia, Norvegia o Danimarca? L’importante è partire.

 

Come mai hai deciso di fare un anno all’estero?

 

Come penso sia comprensibile a quell’età, sono stato spinto a partire più dalla sete di autonomia ed esperienza che da motivi di carattere scolastico, come l’apprendimento della lingua, o l’arricchimento del curriculum. Volevo confrontarmi con un modello culturale diverso e allontanarmi dal mio nucleo familiare, che pur non essendo mai stato particolarmente limitante, si mostrava ormai come impedimento all’espressione della mia libertà.

 

Cosa ti ha spinto a scegliere la Danimarca? Non è certo la meta più gettonata…

 

Sono sempre stato attratto dai paesi nordici, sia dalla mia passione per l’inverno e la neve sia dal velo di mistero che li avvolge. Sicuramente mio padre avrebbe preferito che andassi in America, mentre mia madre non ha posto particolari limiti (tutto sommato, la Danimarca non è l’Honduras…). La Danimarca è stata un ripiego, (avevo fatto domanda prima di tutto per Svezia e Norvegia), ma c’è un aneddoto interessante a proposito: quando avevo già inviato tutti i documenti per il programma di soggiorno in Norvegia e aspettavo nervosamente la risposta, stuzzicavo la mia fantasia leggendo un opuscolo che riportava la descrizione delle varie Mete di scambio, arricchite da lettere scritte da vecchi exchange students che avevano vissuto lì la propria esperienza. Le tre pagine sulla Danimarca mi colpirono profondamente… quindi si può dire che alla fine la Danimarca è stata un gradito ripiego.

 

Come pensavi ti saresti trovato alle prese con il danese, e come ti ci sei effettivamente trovato?

 

Ero piuttosto fiducioso. Non vedevo la lingua come un impedimento ed ero convinto che, se non proprio semplice, sarebbe stato quantomeno naturale impararla. Sicuramente era un’idea un po’ illusoria, ma non è andata poi molto diversamente. Grazie all’aiuto di una signora del posto, che si offrì di impartire a me e a un’altra ragazza 4 ore di lezione di danese a settimana (gratis), ho avuto un approccio graduale alla lingua, così da non dovermela cavare completamente da solo. Un’altra forte spinta all’apprendimento del danese mi è stata data dai miei compagni di classe: con grande pazienza, cercavano di rendermi partecipe delle loro discussioni, traducendo parte della conversazione. L’inserimento in un gruppo del luogo è fondamentale, per questo ritengo sia stata una fortuna esserci trovati solo in due studenti in scambio all’interno di tutta la scuola (e nel raggio di almeno 50km). La mia buona capacità di adattamento e la voglia di inserirmi nel nuovo contesto mi hanno dato la forza e la possibilità di sfruttare al meglio i due vantaggi che mi erano stati concessi.

 

Il terzo fattore favorevole è stata la presenza di un bambino piccolo nella mia prima famiglia ospitante: Marcus aveva tre anni, ovviamente non parlava inglese, e quando non inseriva parole dialettali i suoi semplici periodo risultavano facilmente comprensibili. Guardare i cartoni animati e giocare insieme a lui è stato un grande aiuto. In conclusione, già a Dicembre, dunque a 4 mesi dal mio arrivo in Danimarca, mi facevo capire e capivo una buona parte dei discorsi che ascoltavo e alla fine dell’esperienza qualche interlocutore pensava che vivessi lì da anni! Inoltre ho perfezionato l’inglese guardando film e telefilm, che non vengono doppiati, e parlando con i miei due fratelli ospitanti della seconda famiglia (15 e 19 anni) a cui piaceva conversare in inglese. Ho anche imparato lo spagnolo (argentino)! Infatti ho scelto questa lingua come corso a scuola e lo parlavo anche con una ragazza in scambio dall’Argentina.

 

 

La famiglia presso cui alloggiavi all’inizio ti ha aiutato ad ambientarti? Come mai l’hai cambiata?

 

La famiglia è il tema centrale e più spinoso della mia esperienza in Danimarca.

 

La mia famiglia di Solderup era piuttosto particolare: papà danese di quasi 50 anni, mamma brasiliana, un fratello di 9 anni figlio di lei e un altro danese, e Marcus, di 3 anni, figlio di entrambi. Fuori casa vivevano un altro ragazzo, 25enne, figlio di lei con un brasiliano, e una ragazza di 27 anni, figlia di lui con la sua prima moglie. Una famiglia decisamente umile: il padre suonava nei week-end e faceva qualche lavoretto saltuario durante la settimana, la madre lavorava part-time la mattina. Vivevano in una semplice villetta di campagna, a cui lui teneva molto, in cui tutti i giorni passava qualche loro amico a chiacchierare e a bere qualche birra. Ecco, la birra è un elemento fondamentale nella cultura danese, a cui sono legati seri problemi sociali: mio padre ospitante ne beveva 10-15 lattine al giorno. Nonostante questo era un uomo responsabile, con un passato movimentato alle spalle, tra musica, alcol, sesso e qualche droga; sicuramente un uomo vizioso, ma fortemente innamorato della vita e della sua famiglia. Libertario, mi permetteva di rimanere fuori a dormire a patto che alla fine della serata gli mandassi un messaggio, comunicandogli dove fossi e che stessi bene. Ricambiavo questa libertà aiutando in casa e muovendomi con la mia bicicletta e con i pochi mezzi pubblici. Un adolescente maschio non può desiderare di più! Il 3 Dicembre mio papà ospitante mi chiese se fossi consapevole del fatto che a Gennaio avrei dovuto cambiare famiglia. Infatti loro a febbraio sarebbero partiti per il Brasile e io non sarei potuto rimanere a casa da solo per un mese, durata del loro viaggio. Questa per me è stata ed è tuttora una scusa. I motivi veri non sono mai stati chiariti, ma vanno dalla preoccupazione della mia vera madre per la mia troppa libertà (credibile, ma non decisivo), alla preoccupazione della mia tutor che vivessi troppo isolato (vero), al passato di mio papà ospitante (ho impiegato tanto a ricevere i documenti di soggiorno, perché aveva aiutato in passato degli immigrati ad entrare in Danimarca). L’evento è stato traumatico, una settimana dopo ho iniziato a non sentirmi bene e così fino a Marzo. Se non fosse stato per i miei amici me ne sarei tornato a casa, in Italia.

 

La seconda famiglia era decisamente più simile alla mia: madre e padre veterinari, amanti della lirica e dell’Italia, avevano adottato 4 figli sud coreani. Oltre al trauma del cambio, è pesata molto la figura della seconda madre: signora intelligentissima, aveva completamente perso la fiducia nel genere maschile perché i due figli festeggiavano troppo e studiavano troppo poco. In Danimarca funziona così: se sei bravo e compi il tuo dovere puoi festeggiare quanto vuoi, se vieni meno ai tuoi doveri, no! Per cui, il passaggio da una grande, quasi estrema, libertà ad una condizione di forte restrizione non mi ha aiutato a risollevarmi molto in fretta.

 

Siete rimasti in contatto?

 

Sono rimasto molto attaccato a questa seconda famiglia: sono tornato a trovarli con tutta la mia famiglia vera e loro sono venuti a trovare noi in Italia. Mio fratello ospitante minore ha avuto grande importanza nel mio soggiorno in quella casa, così come il gruppo di miei amici danesi: ripeto, senza di loro sarei tornato indietro, con una forte delusione.

 

Com’è la gente danese?

 

Riservata e fredda, in un primo tempo. Danno poca confidenza, è necessario un lungo periodo di frequentazione prima di consolidare un’amicizia. La cosa più scioccante è che il week-end, quando li incontri nei locali notturni, ti parlano in continuazione, sono aperti ed espansivi, sembrano tutti tuoi amici; poi, scesa la sbornia, il lunedì a scuola è difficile che ti salutino. Bisogna avere pazienza e coltivare poche ma buone amicizie, per poi partire da una base sicura per conoscere altre persone. Per il resto è gente che ama divertirsi, laica, onesta e di mentalità aperta (con le doverose eccezioni). La particolarità più interessante, per me, è la loro voglia di viaggiare e di conoscere nuove terre: forse è una caratteristica delle persone che ho conosciuto io, però molti, terminato il liceo, prima di andare all’università, si prendono uno o più anni sabbatici in cui viaggiano e coltivano i loro interessi; d’altronde, vivendo in un Paese così piccolo penso sia normale sviluppare una forte curiosità verso l’esterno.

 

Anche se non particolarmente devoti, si percepisce chiaramente l’influsso della cultura protestante: a 13 anni si ha il primo lavoretto e si continua anche durante il liceo. Questo permette ai ragazzi di avere una buona indipendenza economica e di sviluppare un certo senso di responsabilità. Lì il lavoro c’è (c’era…adesso soffrono un po’ anche loro), se non lavori non esiste carità. Per essere onesti, bisogna anche dire che la Danimarca ha un formidabile sistema di servizi sociali, di assistenza e di redistribuzione del reddito; per mantenerlo è necessario che tutti contribuiscano, e per questo i lazzaroni non sono ben visti.

 

Per quanto riguarda la scuola?

 

La scuola è sicuramente un fiore all’occhiello della Danimarca. Prima di entrare nel dettaglio devo presentarti un po’ il modello scolastico. Dopo tre anni di scuola materna, si passa ad un unico lungo ciclo di 9 anni, al termine del quale si presentano tre possibilità: ‘ripetere’ ancora l’ultimo anno (non si tratta di una bocciatura, ma di intraprendere un anno scolastico più leggero, senza allontanarsi troppo dallo studio); prendere un anno puramente sabbatico in cui andare all’estero (là non viene riconosciuto l’anno scolastico all’estero) o andare in un Efterskole (si passa un anno scolastico alternativo in strutture apposite, approfondendo un tema specifico: musica, arte, sport, recitazione..); andare direttamente al Liceo. Il Liceo (gymnasium) dura tre anni, durante i quali si aumenta la specificità dell’indirizzo scelto. Nel mio Liceo (ma penso che sia così in tutti), l’intero sistema era informatizzato: con una piattaforma simile a quella delle nostre Università, si accede al materiale didattico, alla mailing list dei professori e alle iniziative scolastiche sia curricolari che extra curricolari (anche feste del liceo, per esempio).

 

 

Com’è il livello dell’insegnamento? Hai trovato le cose più facili o più difficili?

 

Il carico di studio mi è parso leggero. Si basa principalmente su esercizi o elaborati da svolgere a casa e da mandare al professore; le interrogazioni non esistono e i compiti in classe sono rari. Devo anche dire, per onestà, che ero esonerato da una parte degli elaborati da preparare a casa e che è normale che uno studente in scambio dica che nel suo Paese d’origine si studia di più. Penso che a rendere l’impegno scolastico più leggero (ai miei occhi) siano state l’assenza del la roulette delle interrogazioni e il limitato studio mnemonico. Alla fine del primo e del secondo anno, le materie non di indirizzo si concludono con un esame (serio, ma accessibile…li ho fatti anche io); alla fine del terzo, c’è un esame di maturità, che verte su una tema scritto e su 2 o 3 materie di indirizzo.

 

Per quanto riguarda il rapporto con i professori, tutto è molto informale e questi si mostrano nella maggior parte dei casi molto disponibili. Questa loro disponibilità nasce anche dalla sana complicità che si instaura tra il prof e i ragazzi che riconoscono l’importante funzione sociale svolta dagli insegnanti, non li temono e perciò li rispettano nella sostanza e non solo nella forma, come è invece spesso e volentieri da noi. Lo Stato li ricompensa con un buono stipendio. Avrai capito che mi sono trovato decisamente bene a scuola, ero sempre contento di andarci, considerando anche il fatto che era l’arco di giornata in cui stavo in compagnia di ragazzi della mia età e con un gruppo che condivideva la mia passione: la musica. A questo proposito devo anche aggiungere che il Liceo promuove al suo interno attività extra-curricolari di musica (sala prove, recitazione, coro), arte e sport. In conclusione: il modello danese con l’aggiunta di un maggior studio ‘mnemonico’, sul modello italiano, sarebbe una bella realtà di formazione scolastica e umana.

 

Hai percepito una più alta qualità della vita, caratteristica dei paesi del Nord?

 

Io ho vissuto in un piccolo paese di campagna, per cui la mia analisi non penso possa essere molto affidabile. Quello che più mi ha colpito è la stretta forbice di ricchezza in cui sono racchiuse le famiglie danesi: ho visto poche persone avere molto più di altre. Chi aveva poco, come la mia prima famiglia, riusciva a vivere serenamente e aveva la possibilità di offrire ai propri figli un’educazione scolastica non inferiore a quella alla portata di una famiglia più agiata. Questo è merito dell’ottimo sistema di redistribuzione del reddito, che si basa anche su una forte pressione fiscale (esagerata per molti danesi: la mia seconda famiglia pagava il 64%), e dell’onestà e correttezza sociale dei danesi; non ti saprei dire quale sia il tasso di evasione fiscale, ma potrei giurare che sia molto basso. Lo stipendio medio è abbastanza elevato, parallelo al costo della vita, che non è paragonabile a quello di Svezia e Norvegia; sicuramente, se il loro stipendio viene commisurato con il costo della vita in Italia allora i danesi appaiono ricchi. Inoltre, c’è una forte differenza nell’uso dei soldi, che ha alla base un diverso stile di vita, una diversa cultura: difficilmente un danese si concede cene in ristoranti di lusso, ma preferiscono cercare un locale che presenti un buon rapporto qualità/prezzo. Tengono di più al gusto, al prodotto in sé, e meno alla confezione o a ciò che rappresenta. A differenza di quanto pensano in molti, amano la buona cucina, ma spesso preferiscono preparare piatti di qualità a casa.

 

Un altro esempio: non ho conosciuto ragazzi che avessero la pretesa di passare le vacanze in un albergo con piscina. Prediligono il viaggio, il campeggio, esperienze sicuramente più vicine alla vita di un ragazzo (considerando anche il fatto che usano i propri soldi). Vorrei comunque far presente che ti parlo di ciò che ho visto 7 anni fa, prima della crisi che ha colpito anche la Danimarca.

 

fr*******@ho*****.com

 

Intervista a cura di Giulia Rinchetti

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