Alessandro: consulente a Singapore

 

Alessandro, dopo aver vissuto a Milano e a Parigi, lavorando in multinazionali high tech, ora vive da circa due anni a Singapore, dove attualmente si occupa di consulenza. Ciò che più ha colpito Alessandro, del Paese in cui vive, è stata la capacità di diventare in meno di cinquant’anni una delle nazioni più moderne e ricche del mondo e la possibilità di vivere in una società estremamente meritocratica, dove per vivere bene bisogna lavorare tanto ed in modo giusto.

 

Alessandro parlaci della tua scelta di vita a Singapore:

 

È stata una scelta e una coincidenza al tempo stesso. Sono sempre stato affascinato dall’Asia, ero stato in vacanza in vari Paesi, però senza mai pensare di venirci a vivere. Nel 2008 ho frequentato un MBA all’INSEAD che ha un campus a Singapore, dove ho trascorso due mesi e ho conosciuto una compagna di master che è ora mia moglie. Dopo l’MBA sono stato assunto a Parigi, mentre lei ha aperto una start-up internet in Thailandia. Dopo circa un anno, il mio lavoro non girava, mentre la nostra relazione era diventata un progetto… la crisi in Europa avanzava, mentre l’Asia continuava a crescere ed attrarre talento. Lei non parla francese, quindi ho pensato di tentare io di trasferirmi a Singapore, dove avevo già alcuni contatti e ha funzionato! Dopo qualche mese anche lei si è trasferita ed eccoci qui.

 

Come ti sei preparato ad affrontare il mondo del lavoro a Singapore?

 

Prima di arrivare a Singapore, ho cercato di tastare un po’ il terreno. Ho dapprima definito con precisione che tipo di lavoro volevo cercare, poi ho cercato di capire quali aspetti del mio profilo potevano essere messi in rilievo, quali canali di ricerca potevo utilizzare – siti web, network personale, cacciatori di teste e così via – e quali erano le aziende nel mio “radar”. Ho parlato con amici e conoscenti che erano già a Singapore, per capire come funziona il mercato del lavoro qui, come si vive, quali sono gli stipendi di mercato, in modo da avere un’idea realistica della situazione. Arrivato qui ho poi lavorato sul mio CV e “pitch” e quando mi sono sentito pronto, ho iniziato a fare networking incontrando 8-10 persone a settimana, cercando di propormi direttamente ai manager che assumevano, invece che in maniera anonima alle risorse umane. Alla fine tutto ciò non è servito a niente, perché ho trovato lavoro con una normalissima candidatura tramite il sito di recruitment dell’azienda per cui lavoro adesso.

 

Quanto tempo pensi di fermarti a Singapore?

 

Non ne ho la più pallida idea, sono partito con un biglietto di sola andata…

 

Come si svolge una tua giornata lavorativa?

 

Le giornate in consulenza sono abbastanza varie, visto che lavoriamo a progetto. Circa la metà del tempo, lavoro su progetti fuori Singapore, viaggiando dal lunedì al giovedì: in questo caso la giornata inizia con colazione in albergo con i colleghi, poi andiamo dal cliente dove svolgiamo lavoro individuale, riunioni e presentazioni, per poi tornare in albergo per un po’ di relax o jogging (quando c’è tempo) e la cena. Dopo cena, spesso capita di avere qualche cosa ancora in sospeso, tra email o documenti. Con questa organizzazione, gran parte del lavoro viene svolto dal lunedì al giovedì, mentre il venerdì sono in ufficio a Singapore e il carico di lavoro è molto più basso. Usiamo questo giorno per programmi di formazione interna e per incontrare i colleghi che lavorano su altri progetti. Se il progetto su cui lavoro è a Singapore, il ritmo è più o meno lo stesso, solo che mi organizzo per passare più tempo possibile con mia moglie. Facciamo colazione insieme tutti i giorni e mi prendo più tempo per cenare con lei, anche a costo di lavorare un po’ di più dopo cena.

 E durante il tuo tempo libero cosa ti piace fare?

 

Vado a correre in East Coast Park oppure, quando c’è vento, affitto un laser. Trascorro serate con amici, magari approfittando dell’incredibile offerta gastronomica di questa città. La vita notturna offre molto, ma personalmente sono affezionato ad alcuni luoghi come il Maison Ikkoku nel quartiere Arabo che offre ottimi cocktail o l’Orihara Shoten, uno “standing bar” giapponese con centinaia di tipi di sake. Ogni tanto, teatro o musica dal vivo e, una o due volte al mese, approfitto dei numerosi voli “low cost” che collegano Singapore al resto del sud est asiatico, trascorrendo il weekend in Thailandia, Malesia, Indonesia, Vietnam, Cambogia, Hong Kong…

 

E’ cambiato il tuo ritmo di vita da quando sei a Singapore?

 

In termini lavorativi no: i ritmi della consulenza sono gli stessi in tutto il mondo, l’unica differenza rispetto ad altri Paesi è che si viaggia molto di più, perché da Singapore serviamo altri Paesi del sud est asiatico. Per il resto sì, molto: tanto per cominciare qui non ci sono le stagioni, è sempre caldo e umido! Singapore è una città che funziona, i negozi sono sempre aperti, tutto è facilmente accessibile e non devo più programmare la spesa o stare in coda per andare al lavoro o tornare a casa. Mangiamo fuori molto più spesso, l’offerta è incredibile e si può mangiare ottimo cibo cinese, indiano o malese a $5 (€3). Il weekend invece è molto più “urbano”, oppure comporta prendere l’aereo; una gran differenza rispetto a quando abitavo a Milano e potevo andare al lago in una mezz’ora!

 

Cosa puoi dirci del mondo lavorativo di Singapore?

 

Singapore è una città estremamente cosmopolita, quindi nelle aziende in cui lavorano gli expat, i Singaporesi sono solo una delle nazionalità e spesso in minoranza rispetto agli expat stessi. A seconda delle aziende quindi, la cultura è americana o europea; ovviamente ci sono molte aziende locali, ma è raro che gli expat lavorino lì. A mio avviso, i Singaporesi, sono ambiziosi e gran lavoratori, hanno una forte etica del lavoro, perché sono abituati fin da piccoli ad una società estremamente meritocratica, dove per vivere bene bisogna lavorare tanto e bene. Sono molto pratici ed efficienti e non amano perdere tempo in riunioni o in pausa caffè o chiacchierando con i colleghi come da noi.

 

Quali sono le differenze sostanziali che hai potuto riscontrare?

 

La principale differenza sta nel concetto di “faccia”, che è comune a tutte le culture asiatiche: “perdere la faccia” è la cosa peggiore che possa capitare! Questo significa che generalmente gli asiatici tenderanno a consegnare il lavoro prima della scadenza, per evitare di perdere la faccia, anche se gli si dice che non è prioritario e che possono farlo l’indomani. Non bisogna mai perdere il controllo ed alzare la voce con i propri colleghi, men che meno in pubblico, perché la persona sgridata “perde la faccia”. E per lo stesso motivo, bisogna spesso essere molto precisi quando si danno indicazioni sul lavoro da svolgere e definirlo nel modo più chiaro possibile, perché molti di loro non vogliono prendere decisioni per paura di sbagliare e “perdere la faccia” – si pensi che perfino i tassisti, che conoscono la città meglio di chiunque, chiedono sempre che strada si voglia fare, perché così se poi c’è traffico il cliente non può dar loro la colpa!

 

La seconda differenza è che Singapore è una società molto meritocratica in cui le regole sono applicate in maniera ferrea: qui bisogna giocare secondo le regole, chi cerca di “fare il furbo” non è certo visto bene, così come chi passa più tempo a ingraziarsi i colleghi che a lavorare veramente… C’è da dire che le regole sono molto semplici, uguali per tutti ed è facile rispettarle: ad esempio i permessi di soggiorno e di lavoro vengono fatti online dall’azienda e per quanto riguarda la dichiarazione dei redditi, l’ho fatta online in 15 minuti, senza timore di sbagliare, perché è lo Stato a calcolare il dovuto.

 

E nello stile di vita?

 

A Singapore lo sport nazionale è il cibo: con un’offerta che va senza soluzione di continuità dai food court (alcuni aperti 7 giorni su 7 e 24 ore su 24) a $5 (€3) ai grandi chef internazionali a $1000 (€600) a testa, dal cibo delle varie province cinesi (cantonese, del Sichuan, Teochew, Hokkien, pechinese, shanghainese), malese, indiano fino ad ottimi ristoranti italiani, francesi, libanesi, messicani, spagnoli, australiani ed ambienti che vanno dal “chioschetto” fino a vertiginosi “rooftop restaurants”, al 56esimo piano. C’è veramente da perdere la testa – ma non necessariamente il portafoglio – e quindi si cena fuori molto di più, anzi a Singapore si ha l’impressione che la gente mangi fuori di continuo! Come dicevo, l’assenza di stagioni è molto spaesante per noi, sembra che sia sempre estate, ma un’estate molto umida! Nel mio guardaroba i vestiti invernali sono in sacchetti sottovuoto, che apro una volta all’anno quando torno a Natale. Per il resto, non uso mai nemmeno un maglione e quando non lavoro, giro quasi sempre in polo e bermuda. L’altra grande differenza (in positivo, secondo me) è la vita senza automobile, senza traffico e senza inquinamento: qui prendiamo sempre i trasporti pubblici e il traffico è, rispetto a Milano o a Parigi, quasi inesistente. Singapore, essendo una città-stato di 6 milioni di persone, che deve continuamente affrontare il problema del poco terreno disponibile, ha deciso di contingentare il numero di auto e l’età media del parco, con un sistema a quota. Per circolare, un auto deve possedere un “certificate of entitlement” che vale 10 anni e viene messo all’asta in date e in numero prestabilito, dopodiché può essere rinnovato per altri 5 (se l’auto è in buone condizioni) oppure l’auto deve essere esportata a spese del proprietario. In soldoni: al costo dell’auto (già più alto che in Italia), vanno sommati il 150% di IVA e il costo di questo certificato, che ultimamente si aggira sui $80.000 (€50.000) per 10 anni. Chiaro quindi che, chi può, fa a meno dell’auto, affidandosi agli ottimi trasporti pubblici o alle decine di migliaia di taxi disponibili (una corsa va da $10 a $30 a seconda di orari e distanze, ossia da €6 a €18). Ultima differenza, anche se non mi riguarda per il momento, è che la città è ottima per chi ha bambini piccoli: ci sono sempre 30 °C, è pulitissima e molto verde, quasi tutti gli expat si possono permettere di vivere in condomini con security e piscina ed avere una “tata” o donna di servizio a tempo pieno, costa molto meno che in Italia, circa $1000-$1500 (€ 600-€ 900) al mese tasse incluse, più vitto e alloggio! A Singapore, tutte le famiglie benestanti – di Singaporesi o di expat – hanno un “helper” o anche più d’uno!

Cosa puoi dirci riguardo al funzionamento del sistema scolastico e di quello sanitario?

 

Non conosco molto né dell’uno né dell’altro per esperienza diretta, ma da quanto mi risulta, il sistema è sostanzialmente privato. Le scuole singaporesi hanno strutture ottime, un po’ ispirate al modello inglese, ma sono raramente utilizzate dagli expat, perché il sistema scolastico è molto basato sull’imparare a memoria e molto meno sul ragionamento, non si studiano molte discipline umanistiche ed è molto competitiva, tant’è che molti studenti anche bravi, passano il pomeriggio e il weekend a prendere lezioni extra per migliorare il “posto in classifica”. In altre parole è un sistema che ha lo scopo di preparare bene all’ammissione del livello successivo, più che a formare degli individui ed è un sistema che ha il suo senso in una società in cui, chi non ha titoli di studio può ritrovarsi a guadagnare veramente poco, mentre per chi è bravo ci sono stipendi a livelli internazionali. Questo sicuramente non è il sistema scolastico preferito degli expat! Chi può permetterselo, manda i propri figli nelle scuole americane, inglesi, australiane o francesi, che però costano di più, circa $2.000 al mese. Anche per il sistema sanitario le strutture sono eccellenti, ma i costi sono alti, in realtà però per gli expat questo non è un problema, perché l’assicurazione del proprio datore di lavoro copre la maggior parte questi costi.

 

Cosa ti ha colpito di Singapore?

 

La cosa che mi ha colpito di più è come questa nazione sia riuscita, in meno di cinquant’anni, a diventare una delle nazioni più moderne e ricche del mondo, con un PIL pro capite superiore a quello di molti Paesi europei, inclusa l’Italia. Mi colpisce il modo in cui tre comunità etniche distinte – cinese, malese ed indiana – e noi expat, vivano insieme senza problemi. Mi colpisce la pulizia e l’organizzazione della città e dei servizi, dovuta ad ottima programmazione, efficienza delle procedure e gestione di un “ecosistema”, in cui i privati hanno incentivi economici nel seguire i piani del pubblico. Ad esempio, ogni volta che sono in aeroporto mi vien da pensare: in fondo non ci vuole molto a progettare un aeroporto in maniera funzionale, non c’è motivo per cui ogni aeroporto in Italia non possa essere così!

 

Hanno qualche tradizione particolare?

 

Sì, le tradizioni a Singapore sono la “somma” di quelle delle tre comunità principali: per i cinesi, il momento clou dell’anno è il capodanno cinese (quattro giorni a gennaio o febbraio a seconda degli anni), che viene vissuto un po’ come il nostro Natale, cioè addobbando case e strade ed abbuffandosi in famiglia e con gli amici; per gli indiani, la festa delle luci (Deepavali o DIwali), tipicamente a settembre o ottobre, più altre cerimonie religiose sparse durante l’anno; per i malesi, le tradizione tipiche del mondo islamico, quindi il ramadan e le feste di eid-al-fitr e eid-al-adha (che qui vengono chiamate in malese “hari raya puasa” e “hari raya haji”). Ma hanno anche adottato con piacere il nostro Natale e capodanno ed altri appuntamenti più laici e moderni, quali il National Day (9 agosto) o il gran premio di F1, che stanno diventando delle vere e proprie tradizioni.

 

Com’è il clima rispetto all’Italia?

 

Semplice: essendo all’equatore, caldo e umido, senza una vera alternanza di stagione delle piogge e stagione secca. 30 °C e 80-90% di umidità tutto l’anno. Piove una o due ore al giorno ogni due o tre giorni, come se avessero tirato lo sciacquone. Per fortuna c’è aria condizionata ovunque!

 

Cosa puoi dirci riguardo al costo della vita?

 

Gli affitti sono alti, almeno $4.000 al mese (€2.400) più spese per un bilocale e come già detto, anche le scuole sono costose. I tempi in cui l’azienda pagava casa e scuola agli expat sono finiti con la crisi del 2007 e molti contratti sono stati convertiti in contratti locali. Sì, ci sono ancora dei fortunati, ma ormai Singapore è una metropoli che attira talento da tutto il mondo – incluso dall’Europa in crisi – e non è raro che i Singaporesi studino nelle migliori università del mondo, quindi non c’è più necessità per le aziende di “attirare” expat con contratti vertiginosi, si compete tutti sullo stesso piano. C’è da dire che gli stipendi sono alti e la tassazione molto bassa, direi per stipendi da expat sul 15-18%. Nel carrello della spesa, i prodotti occidentali costano più che in Italia, ma quelli locali – incluse molte verdure, pesce, crostacei, frutta tropicale – costano molto meno. Come già detto, mangiar fuori può costare dai $5 ai $1.000 a persona. Bevande alcoliche e, per chi fuma, sigarette sono tassate tantissimo, quindi molto più care che in Italia: una bottiglia di vino al supermercato costa almeno $20 (€12) e lo stesso vale quando si va fuori. Ad ogni modo, a Singapore non si può fumare in nessun luogo pubblico al di fuori delle aree designate, incluso per strada, dove ci sono dei “quadrati” disegnati per terra, al di fuori dei quali non si può fumare, quindi è meglio smettere!

Che consiglio daresti a tutti coloro che volessero venire a vivere a Singapore?

 

Innanzitutto consiglierei di informarsi bene, capendo quali sono le opportunità e creandosi delle aspettative realistiche riguardo al tipo di lavoro e allo stile di vita che si può avere qui. È fondamentale capire che Singapore non è una città in cui gli expat vengono “pagati per andare”, ma una città in cui molte persone “competono per andare”: il mercato del lavoro è molto dinamico e offre molte opportunità, ma c’è anche tanta gente di talento da tutto il mondo che compete per queste opportunità. In secondo luogo, consiglierei di venire con una mente aperta a culture e ritmi diversi: non c’è nulla di più triste dell’expat che frequenta solo ristoranti e amici occidentali e si lamenta continuamente perché non trova del buon pane o perché qui si mangia intestino di maiale o vescica di pesce e così via. Con le giuste aspettative, un buon lavoro ed una mente aperta si può vivere ottimamente a Singapore e fare un’esperienza lavorativa e personale assolutamente fantastica.

 

Pensi che la tua vita sarebbe andata diversamente se fossi rimasto in Italia?

 

Se fossi rimasto in Italia, sarei ancora a fare lo stesso lavoro per uno stipendio sostanzialmente simile, ricevendo molte pacche sulle spalle e sentendomi dire di “avere pazienza che sono ancora giovane”… fino a 35 anni; poi da 35 anni avrebbero cominciato a dirmi che ormai ho un’esperienza consolidata e sono vecchio per cambiare carriera. Nel frattempo, avrei continuato a vedere i “figli di” fare carriera ed avrei ricevuto altre telefonate delle risorse umane che mi avrebbero chiesto di assumere qualcuno nel mio team, perché “amico di famiglia” di qualcun altro.

D’altra parte, sicuramente avrei fatto più vela e avrei avuto la possibilità di vivere in un Paese in cui ogni città e paesaggio trasuda bellezza e racconta storie, cosa non possibile qui.

 

A tal proposito, ci tornerai prima o poi?

 

Per le vacanze sempre. Per viverci, non credo: mia moglie non parla (ancora) italiano, quindi non potrebbe trovare lavoro, mentre per me credo ci sarebbero poche opportunità di miglioramento professionale ed economico. In realtà non ci sentiamo legati a nessun luogo e questo ci consente di pensare al nostro futuro in modo molto libero. È molto più probabile che ci trasferiremo in un’altra città in cui si lavora in inglese e con un mercato del lavoro internazionale, come Hong Kong o Londra, piuttosto che tornare in Italia… ma mai dire mai!

 

 

A cura di Nicole Cascione