Ezio de Lilla, 38 anni di vita in Medio Oriente

 

Ezio De Lilla, nel 1978, ha preparato la “valigia di cartone” ed è partito per la Libia. Una scelta difficile che ha condizionato tutta la sua vita, perché da allora Ezio ha scoperto la bellezza e le potenzialità di una terra come il Medio Oriente, che pur martoriato dalle guerre, è un territorio in grado di dare molto all’imprenditoria italiana. Infatti, come egli stesso afferma in quest’intervista: “l’Iraq è un Paese da costruire, non da ricostruire! Un Paese unico al mondo, con grandi potenzialità lavorative”. Ormai sono passati trent’anni da quando Ezio ha lasciato l’Italia, ora vive felicemente in Kuwait e si occupa di edilizia privata.

 

Ezio ci racconti dal principio? Perché hai scelto di andare via dall’Italia?
 

Dopo aver conseguito il diploma da geometra a Siena, ho cominciato a cercare lavoro, ma le risposte che ottenevo erano sempre le stesse: non hai esperienza, ripassa il prossimo mese, ecc… Così ho deciso di fare come i nostri nonni: ho preparato la valigia di cartone e sono andato via, a cercar lavoro fuori Italia. Il primo lavoro, nel 1978, l’ho ottenuto presso una società di Milano che costruiva strade in Libya – Benghazi, ci sono rimasto per un anno, poi sono rientrato nuovamente in Italia e sono stato assunto dalla Comex di La Spezia, per un lavoro a contratto con l’Ansaldo per 4 dissalatori, più uno “nucleare” sperimentale.
 

Qual è stata la reazione della tua famiglia, dinanzi a questo radicale trasferimento?
 

All’inizio erano preoccupati. Sono rimasto orfano di padre nel 1973 e ci trovavamo a vivere una situazione difficile. Insieme a mio fratello maggiore, anche lui partito per l’estero, abbiamo deciso di intraprendere quest’avventura che, oltre a portare ottimi frutti a tutta la famiglia, ci ha permesso di vivere un’ esperienza di vita unica. Avevo tanta voglia di imparare e di lavorare, ma il mio non è stato solo un desiderio di guadagno, quanto piuttosto, quello di entrare nel mondo del lavoro: l’estero è stata la mia università. Ho sostenuto e continuo a sostenere esami di vita non indifferenti, ma tutto sommato, devo farmi un complimento: sono in gamba! Parlo tre lingue: arabo, urdu e inglese …il mio italiano invece è pessimo!

 


 

Eri legato sentimentalmente a qualcuno all’epoca del tuo trasferimento?
 

No ed ero deciso a rimanere single, ma in Kuwait ho conosciuto la mia anima gemella in tutti i sensi: una bellissima egiziana mussulmana, che lavorava in Kuwait per una catena alberghiera locale…..e così abbiamo messo su famiglia e abbiamo avuto tre figlie meravigliose. Tre ragazze ormai grandi, due sposate e una in lista d’attesa. Sono tutte laureate e parlano tre lingue: italiano, inglese, arabo. Ma la cosa bella è che non dicono mai parolacce! Stranamente questa peculiarità italiana non l’hanno mai assorbita. Sono molto educate e riservate. Si vestono solo all’italiana….non immaginate quanto mi costano, ma è un piacere vederle sempre eleganti e positive. La più piccola lavora all’università di Kuwait City, dove insegna la lingua inglese. La seconda è sposata con un pilota di linea civile in Kuwait, l’altra è anche lei sposata e vive in Egitto.
 

E tu dove risiedi attualmente?
 

Ho casa e famiglia in Kuwait dal 1980, ma il mio lavoro dal 2002 è concentrato in Iraq, tra Baghdad, Naseriya e Basra.
 

Perché? Di cosa ti occupi?
 

Di edilizia privata, di tutto quello che riguarda le opere civili: ville e qualche palazzo. Mi occupo principalmente della parte strutturale e delle tamponature, anche se spesso qualche cliente ci chiede anche la rifinitura e in quel caso importo molti materiali, come la ceramica, i marmi, gli infissi e l’arredamento, tutti dall’Italia. Con l’Ansaldo ho avuto l’opportunità di vivere una bella esperienza professionale durante il cantiere in Kuwait. Le opere civili erano imponenti: palificazione e fondazioni profonde a mare. Dopo quell’esperienza sono rimasto in Kuwait e ho aperto, nel 1983, una impresa edile che si occupava di edificare ville per la gente locale: solo per kuwetiani. In quel periodo il Kuwait pagava bene, la gente locale era fantastica, gentile, ospitale verso noi occidentali, ma soprattutto verso gli italiani.
 

Il tuo lavoro ti ha portato a girare in lungo e in largo il Medio Oriente, in quali zone hai vissuto?
 

In Kuwait, a Dubai, in Oman, in Qatar, in Bahrain, in Libano e attualmente in Iraq. In Egitto risiedo con mia moglie, ci vado ogni volta che stacco dall’Iraq, mi piace moltissimo come posto. La gente locale è sempre molto gentile e disponibile soprattutto con noi italiani, sono sempre allegri anche se afflitti da mille problemi.
 

Attualmente è ancora possibile investire in quelle zone?
 

Sì certo, l’importante è seguire sempre le regole del posto, regole che spesso anche i locali non rispettano, oltre ad avere i giusti contatti a livello governativo. E’ importante conoscere le loro abitudini, la loro cultura, bisogna sapere come parlare e come rivolgersi, odiano troppi discorsi, hanno un sistema molto tradizionale, ma anche professionale. Noi occidentali siamo considerati da loro delle persone serie, pronte e preparate a risolvere qualsiasi problema. Loro credono molto in noi, ci rispettano e ci stimano. Purtroppo però, a rovinare i rapporti, molto spesso ci pensano i mercenari occidentali che approfittando di questa fiducia nei nostri confronti, organizzando delle truffe incredibili. Spediscono addirittura container di merce senza alcun materiale, nonostante abbiano già ricevuto il pagamento. Quando mi è capitato di incontrare degli italiani che cercavano di entrare in queste zone con le loro aziende e con i loro prodotti, mi sono reso conto che si fidano più dell’arabo locale che dei propri connazionali, che vivono sul posto. E’ chiaro che oggi il mondo arabo non è più quello di 20/30 anni fa, come d’altra parte anche l’Italia o l’Europa non sono come 20/30 anni fa: quindi se all’arabo gli si presenta un pivello occidentale che ha bisogno di lavorare, ne approfitta, facendolo girare come una trottola, fino a quando non si ritrova con un pugno di mosche. Con questo voglio dire che è molto importante scegliere il partner giusto, meglio ancora se parla la nostra lingua. Se solo le aziende italiane seguissero la strada dell’onestà, della serietà e della professionalità, avrebbero più successo, soprattutto nel mondo arabo. Qui se hai un problema e ne parli con il tuo partner locale, trovi sempre una soluzione pacifica, ma se provi a fare il furbo, stai tranquillo che perdi tutto e in quella zona non lavori più. Io sono felice se un’azienda italiana qualsiasi mi chiamasse un giorno e mi chiedesse di venire in Iraq, non ho segreti, anzi al contrario credo e adotto sempre il solito sistema, massima sincerità, massima collaborazione, supporto logistico sul posto e contatti reali. Il territorio dell’ Iraq offre lavoro a 360 gradi per almeno 20/30 anni, se poi si pensa che oggi l’Iraq ha bisogno di agenzie fornitrici di prodotti italiani, allora il periodo di lavoro si allunga notevolmente.
 

In quali campi ci sono maggiori possibilità?
 

In primis nel settore delle infrastrutture, poi nel petrolchimico, nel metallurgico, nel campo edile, alimentare, agricolo, universitario, ospedaliero, oltre anche al settore dell’artigianato: forni per il pane, autofficine, carrozzerie, falegnamerie, ecc… L’Iraq è un Paese non da ricostruire, ma da costruire. Manca tutta la piccola-media azienda e l’artigianato. Gli iracheni sono persone molto serie e degli ottimi lavoratori, hanno voglia di crescere, di imparare ed hanno soprattutto un buon rapporto con noi italiani. Chi non ama gli italiani? Ovunque andiamo siamo sempre quelli che facciamo sorridere la gente, anche quella con mille problemi e mille difficoltà! Quando arriviamo noi, è come se arrivasse la croce rossa.
 

Per quanto riguarda il livello sicurezza, l’Iraq, la Libia, il Kuwait sono zone “calde”..cosa puoi dirci in merito?
 

La sicurezza è un elemento importante. Il Kuwait è tranquillo e ha un ottimo sistema di intelligence, la Libia sicuramente è più a rischio dell’Iraq. Purtroppo in Iraq vige un conflitto tra religioni e tra le tribù, anche se sembra che finalmente stiano raggiungendo un accordo. Noi, come azienda, spendiamo all’anno circa 6,5 milioni di dollari in sicurezza, che ci sia o meno il progetto. Nel momento in cui va in porto il progetto, si aggiunge un budget di costo per la sicurezza, che può variare dal 15% al 30%. E’ molto importante conoscere il territorio, le varie tribù degli anziani e i governatori. Bisogna rispettare le loro abitudini e tradizioni, soprattutto quelle religiose, bisogna avere un profilo basso, non essere i soliti occidentali che ridono degli altri, di quello che fanno e come lo fanno. Io stesso mi sono trovato a vivere delle situazioni particolari che sono riuscito a superare con molto sangue freddo e pazienza: la prima è stata nel 1990, quando vivevo in Kuwait con la famiglia e ci fu l’invasione irachena. Venni preso come ostaggio dai militari iracheni e rimasi a Baghdad per quattro mesi e mezzo, fino al momento in cui, fortunatamente, ci lasciarono andare. La seconda, l’ho vissuta in Iraq, tra il 2002 e il 2006, quando, seguendo la missione militare italiana a Naseriya, andavamo su e giù dal Kuwait/Iraq con i nostri mezzi e c’erano i gruppi di Al Qaeda che tagliavano la testa agli occidentali! Sono situazioni che ti lasciano un segno, ma nello stesso tempo ti insegnano moltissimo, ti insegnano ad essere così veloce da pianificare i tuoi movimenti, a cominciare dal respiro. Mai farsi sfuggire la situazione, soprattutto se hai con te altre persone. Insomma, 32 anni di vita in Medio Oriente, credo valgano più di un corso universitario o di un anno di servizio militare. Dentro di me ho una corazza di conoscenze non indifferente. Comunque, nonostante queste due esperienze terribili, penso che l’Iraq sia un Paese unico al mondo con grandi potenzialità lavorative e mi fa rabbia vedere come si sta riducendo ora la nostra Italia. E pensare che un solo appalto in Iraq farebbe vivere felicemente 100 aziende con le rispettive famiglie e parenti. Dove sono gli italiani con la valigia di cartone? Permettetemi di fare un commento pratico, ma non politico: a tutti gli italiani imprenditori e non, che vogliono continuare a vivere e lavorare felicemente, non ascoltate i politici, venite a vedere di persona quello che potreste fare in Iraq.

 


 

 

In caso di problemi, a chi si può fare riferimento?
 

Solo all’ambasciata italiana a cui bisogna sempre comunicare gli spostamenti e i recapiti telefonici, ma è chiaro che, nell’immediatezza, bisogna avere almeno tre piani di fuga, che bisogna pianificare spesso, soprattutto se si cambia zona frequentemente. Io ho un security officer che pianifica il tutto per ogni gruppo che si sposta, oltre a rinfrescarci giornalmente sulla situazione sicurezza. Tutto il nostro gruppo segue degli aggiornamenti e training sulla sicurezza, siamo ad un buon livello, non lasciamo niente al caso, tutto è pianificato!
 

Quali sono le cose da evitare assolutamente?
 

Evitare di parlare del vecchio regime “Saddam” e della religione, di guardare o parlare alla donne locali e fare battute sul mondo arabo.
 

Ti ringrazio dei preziosi consigli! Per il resto, come si vive in Medio Oriente?
 

Secondo me si vive bene. Ovviamente è chiaro che bisogna sapersi adattare, non si mangiano spaghetti tutti i giorni, non si bevono alcolici, nel periodo del Santo Ramadan non si fuma e si segue il digiuno, ma dentro i nostri campi e alloggi siamo tranquillamente liberi di fare quello che vogliamo. 

 

Quali sono le principali difficoltà che incontri normalmente?
 

Il reperimento dei materiali. L’Iraq ha un territorio immenso, alcuni cantieri sono situati nel deserto e lontano dai centri abitati. Ecco la necessità di approvvigionamento dall’Italia…

 

Ti occupi di un’organizzazione umanitaria la “Babylon Eden”, ci parli di questo progetto?
 

E’ un’organizzazione umanitaria creata in Iraq nel 2004. Tramite un mio ingegnere iracheno, conobbi una direttrice dell’Università di Baghdad e tramite questa, conobbi il direttore del museo di Baghdad. Da loro partì l’iniziativa di riprendere la storia della Babilonia che appartiene all’umanità. Mi chiesero di affiancare a questo progetto, qualche università e museo italiano, che li aiutasse a reperire dei fondi. Inoltre ci sono degli scavi ancora da scoprire, addirittura su Naseriya. E’ un progetto che è stato preso da subito in considerazione, ma che non è mai partito. Ho fatto molte riprese sulla Babilonia insieme ad una direttrice del museo, ho cercato dei finanziamenti, ma soprattutto, ho richiesto una compartecipazione italiana. Ma, come al solito, quando si ha a che fare con le Istituzioni italiane, il tuo progetto non è mai preso sul serio o manca sempre qualche cosa. Comunque, con le nostre forze, noi andiamo sempre avanti. Nel 2004 abbiamo consegnato due generatori di corrente da 850 kwa al museo di Baghdad, poi abbiamo anche fatto alcuni rilievi sulla Babilonia, ma senza alcun progresso positivo: in ogni caso il progetto è sempre attivo.
 

Cosa ci racconti del Kuwait?
 

Qui la vita si svolge normalmente, come in qualunque posto del mondo. Abbiamo tutto quello che ci serve, scuole arabe e occidentali, le più grandi università americane, auto americane, tedesche, giapponesi e di tutte le marche, abbigliamento e negozi all’occidentale e così via. La sanità nel Paese è sempre monitorata. Gli ospedali sono ben serviti, l’assistenza è gratuita, anche se in questi ultimi anni, hanno inserito il pagamento di circa 3-4 euro a visita, ci sono ottimi medici, tra cui alcuni europei e americani e molte cliniche private, alcune molto specializzate.

 


 

Cosa pensi della situazione in cui versa l’Italia attualmente?
 

Parlare di politica mi angoscia, ormai i nostri politici sono bugiardi, pensano solo ai propri interessi, sono privi di responsabilità sociale e di interesse nei confronti della comunità. Sono bravi a finire i soldi pubblici, senza un risultato positivo. Basta ascoltarli quando parlano in televisione, propongono sempre delle soluzioni, che alla fin fine si rivelano solo dei tentativi. Non c’è accordo tra i partiti. Non abbiamo una politica di sviluppo, non guardiamo i Paesi che necessitano della nostra tecnologia, pensiamo solo a fare missioni in Paesi come il Brasile, portando solo imprenditori della loro cerchia e spendendo cifre astronomiche solo per fare delle visite di due tre giorni. Li vedo anch’io in Kuwait, in Iraq, nel Kurdistan, in Egitto, sono veramente ridicoli. Ormai spero che tutti abbiano capito che questo Stato, così come è strutturato, ci costa troppo senza offrirci niente, vedi la questione lavoro. Come si fa a parlare di occupazione se le aziende chiudono? Avete mai sentito parlare di appalti, di commesse, di ordini? Se vogliamo dare occupazione, dobbiamo far pervenire alle aziende commesse, ordini, che si tramutano in soldi, in guadagno! Liquidità che gira! Oggi invece, le banche si sono sostituite alle imprese e investono in operazioni speculative. Non ci siamo, abbiamo svenduto l’Italia e la nostra italianità: in questo non mi riconosco. Nel mondo arabo sono apprezzato proprio per la mia dignità italiana e soprattutto per l’Italia che rappresento e che tutto il mondo ci invidia e spera di visitare. Di certo non siamo apprezzati per la classe politica e per come hanno ridotto il nostro Paese.
 

Ormai vivi fuori dall’Italia da quasi 30 anni. Cosa conservi ancora del tuo essere italiano?
 

Tutta la sua bellezza e il suo splendore. L’Italia è il primo Paese al mondo che tutti ci invidiano, anche gli americani e gli inglesi, non solo i Paesi del Terzo Mondo. Abbiamo un territorio unico, un’agricoltura fantastica, un paese di sole, di arte, di italiani ingegnosi, lavoratori, inventori ……devo continuare? Vorrei vedere i nostri connazionali lavorare, impegnarsi, inventare. Vorrei vedere una classe dirigente giovane, snella, laboriosa, impegnata nel sociale, che consideri la possibilità di un minimo comune multiplo nella società per far sì che tutti e dico tutti, abbiano un minimo di vitalizio e assistenza. Il diritto al lavoro per tutti, soprattutto per i nostri giovani, assistenza agli anziani, ospedali, anche se tutto questo vuol dire buttare giù il sistema massonico politico finanziario italiano e costruirne uno di sana pianta, unico e funzionale. Il nostro sistema è vecchio, statico, contraddittorio, falso, illegale. Basta leggere lo statuto di Bankitalia o di una qualsiasi banca, ma non capite che sono usurai!!!?? Vorrei vedere un’Italia che dice “basta” alla politica e ai politici. Permettetemi di dire un’ultima cosa: basta con le imposizione dell’Unione Europea, che non fa altro che boicottare il nostro Paese e soprattutto la nostra imprenditoria! Voglio essere un italiano di valore come lo è il nostro territorio: un diamante. Questo all’Europa non va bene. Noi potremo essere in Africa, in Asia, in Medio Oriente, in tutto il mondo, invece dobbiamo vedere imprenditori che si sparano e milioni di disoccupati morire di noia e disperazione. Fuori dall’Italia il mondo gira in un altro modo e noi italiani siamo apprezzati e stimati, proprio come accade in Iraq!

 

Per contattare Ezio: 

 

ITALIAN D & D GROUP
Without Prejudice
Ezio G. de lilla
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Skype : elkuwait
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ez********@ya***.com

 

A cura di Nicola Cascione