Roberto Cazzolla Gatti, Professore associato presso la Tomsk State University in Russia

 

Roberto Cazzolla Gatti è Professore associato presso la Tomsk State University in Russia, dove insegna “Ecofisiologia” e “Biodiversità” al corso di laurea in Biologia e al corso di formazione dei dottorandi in Ecologia. Lavora, inoltre, come Wildlife filmmaker e fotografo documentarista  freelanceLa sua seconda vita la dedica interamente alla fotografia, attraverso cui cattura la straordinaria bellezza della vita sulla Terra. Uno tra i suoi numerosi progetti è quello di realizzare un documentario nella remota Mongolia, sui monti dell’Altai, dove vivono il leopardo delle nevi e alcune antiche popolazioni indigene.

 

Roberto, da circa 6 anni conduci ricerche in vari Paesi del mondo. Parlaci del percorso professionale che ti ha portato a realizzare i tuoi sogni.

Posso dire con certezza che il mio primo amore (come penso avvenga per la maggior parte dei bambini prima che la civiltà annulli questa istintiva sintonia) sia stata la Natura. L’aver trascorso i primi anni della mia vita insieme a mio fratello in campagna dai miei nonni, alla scoperta di querce, orchidee, volpi, uccelli e farfalle è stato certamente decisivo per la costruzione della mia personalità. I miei genitori e mia zia hanno assecondato la mia diversità d’interessi rispetto a molti miei compagni, scorrazzandomi su e giù per parchi naturali e montagne, regalandomi libri su animali e piante, etc. Dopo il liceo, mi sono iscritto al corso di laurea in biologia all’Università di Bari. In questo ateneo, così come al liceo, ho avuto degli ottimi professori e l’opportunità di partecipare ad alcune attività di raccolta dati sull’ittiofauna del Mediterraneo e sulla visione stereoscopica di rapaci e primati, potendo soddisfare la mia costante voglia di viaggiare dedicandomi alla riflessione sulla Natura. In quegli anni ho anche coordinato un gruppo WWF locale ed è stata un’esperienza davvero formativa. Abbiamo realizzato molti progetti insieme e pubblicato anche una guida naturalistica sulla Puglia. Dopo la laurea in Biologia ambientale ed evolutiva (un indirizzo che mi stava a pennello), ho conseguito un Master di II livello in “Politiche internazionali e protezione dell’ambiente globale” presso il Ministero dell’Ambiente a Roma e l’Università della Tuscia. Sapevo che quella specializzazione mi avrebbe aperto le porte del mondo e così è stato. Ho avuto la fortuna di trovarmi al posto giusto al momento giusto perché, dopo il tirocinio che ho seguito proprio per quel master alla FAO, sono stato assunto presso questa agenzia delle Nazioni Unite come Environmental scientist e per tre anni ho lavorato in un posto che mi sembrava irraggiungibile sino a poco prima. Avevo solo 25 anni all’epoca e prestavo consulenza alle Nazioni Unite. Col tempo, però, l’ufficio mi stava stretto. Volevo la Natura, l’esplorazione, la scienza e i viaggi. Ho mollato tutto (i miei amici e parenti stentavano a crederci) e sono partito per i Balcani e poi in Indonesia per lavorare in centri di recupero della fauna selvatica. Al ritorno ho iniziato una collaborazione internazionale con l’IUCN (con la quale ho pubblicato un libro sull’adattamento ai mutamenti climatici) e poi ho vinto il concorso di dottorato all’Università della Tuscia e col progetto del prof. Riccardo Valentini, a cui devo molto, sono stato in Africa una dozzina di volte per condurre ricerche sull’ecologia delle foreste tropicali, per mesi immerso nella straordinaria bellezza di quelle giungle e da allora non ho più potuto far a meno di tornarci ogni anno. In quel periodo sono stato anche invitato come relatore al famoso Festival del Documentario Naturalistico CMS Vatavaran, che si tiene in India ogni due anni e ho colto l’occasione per svolgere ricerche nel Delta del Bengala con l’Università di Calcutta. Sono stato in Australia in visita all’Università di Cairns e in Francia e Germania, dove ho seguito la scuola di specializzazione in “Biodiversità e Servizi ecosistemici” del PIK Institute di Potsdam. Poi sono tornato per due anni in Italia, per fare ricerca come PostDoc presso il Centro Euro-mediterraneo sui Mutamenti Climatici (CMCC), ho pubblicato le mie ricerche sull’Africa, un romanzo sulla natura e i popoli indigeni (“Il paradosso della civiltà”) e un manuale universitario sul mio principale interesse scientifico: la biodiversità (il libro s’intitola infatti “Biodiversità in teoria e in pratica”). Ho continuato a scattare fotografie (che ho pubblicato in alcuni libri di viaggio per Villaggio Globale Editore) e a girare documentari (l’ultimo in 3D sulle foreste del Ghana), che sono sempre stati la mia seconda passione. Poi, viste le scarse prospettive della ricerca italiana, ho inviato molte candidature all’estero e la Tomsk State University, in Russia, mi ha offerto un posto come Professore Associato. Non potevo rifiutare.

 

Di cosa ti occupi nello specifico?

Il mio principale interesse scientifico è sempre stato l’ecologia e in particolare l’evoluzione e la diversità biologica. Qui in Siberia, in questa prestigiosa università e in un ambiente culturale ricco e stimolante, ho la possibilità di condurre ricerche avanzate sia teoriche sia pratiche, formulando ipotesi e raccogliendo e analizzando dati sulla biodiversità di questo territorio magico e inesplorato. Una delle domande a cui sto cercando ti trovare risposte è se le specie animali e vegetali sono in grado di adattarsi al rapido cambiamento climatico, che qui in Siberia è molto evidente. Inoltre, insegno “Ecofisiologia” e “Biodiversità” al corso di laurea in Biologia e al corso di formazione dei dottorandi in Ecologia. Tra ricerca e insegnamento il tempo è sempre troppo poco, ma sono entusiasta e questo rende tutto piacevole. Inoltre, la mia seconda vita da fotografo e documentarista ha trovato in questa parte del mondo un’ulteriore conferma della straordinaria bellezza della vita sulla Terra e ho in progetto la realizzazione di un documentario nella remota Mongolia, sui monti dell’Altai, dove vivono il leopardo delle nevi e alcune antiche popolazioni indigene.

 

 

Attualmente lavori  in un’università che rientra fra le tre più importanti in Russia e fra le 500 migliori al mondo. Raccontaci qualcosa in merito:

Quando ho ricevuto la lettera d’invito da questa università non avrei mai immaginato quanto prestigiosa potesse essere. Sappiamo così poco in Europa della Russia e, soprattutto della Siberia, che spesso ci risulta difficile persino immaginare che in un luogo così remoto ci sia una delle più antiche e prestigiose accademie del Paese più esteso sul pianeta. Prima di partire avevo fatto qualche ricerca e scoperto che la Tomsk State University (TSU) rientra tra le 500 università più prestigiose al mondo (sulle circa 24 mila esistenti). Proprio qualche giorno dopo la firma del contratto come Professore Associato e Ricercatore, abbiamo ricevuto la notizia che la TSU era entrata a far parte delle prime 3 università russe come qualità d’insegnamento, ricerca e riconoscimenti ottenuti. E il prestigio si vede, non solo si sente. Strutture all’avanguardia, laboratori d’eccellenza, aule multimediali, una delle più grandi biblioteche universitarie russe (che tra l’altro custodisce i manoscritti originali di alcuni famosi autori europei), palestre, campi sportivi e piscina, una serra tropicale e un orto botanico con la flora siberiana. Ma su tutto, ricercatori eccezionali che hanno scoperto e anticipato di molto idee proposte in Occidente molti decenni dopo, tra i quali il coordinatore del laboratorio dove faccio ricerca (il Bio-Clim-Land Centre), il prof. Sergey N. Kirpotin. Insomma, un territorio culturale fertile, nonostante il clima rigido, dove sono stato accolto con grande professionalità e interesse.

 

A parte il freddo siberiano, quali sono le altre differenze sostanziali tra la Siberia e la calda Puglia?

Il freddo, inaspettatamente, è gestibile. L’inverno è davvero rigido ma molto secco e la percezione del gelo non è insopportabile, basta coprirsi bene. Poi da marzo a novembre il clima è piacevole, piove poco, c’è spesso il sole e primavera ed estate segnano picchi anche di 25° e 35° C, rispettivamente. Insomma, il freddo non è assolutamente un problema (a parte durante quei pochi giorni all’anno in cui i -40/-50° C ti costringono a non uscire di casa). Ovviamente il mare e il cibo pugliese mancano spesso, ma ho ferie lunghe e tempo per recuperare. La lontananza con parenti e amici a volte può rendere un po’ tristi, ma per fortuna le nuove tecnologie fanno sentire meno la distanza. Inoltre, la gente qui è davvero molto “pugliese” nell’animo. Sono tutti sempre pronti ad aiutarti, a capire le tue esigenze (anche se ti esprimi in un russo sgrammaticato) e ti accolgono come se fossi uno di famiglia. Come scriveva il famoso scienziato-anarchico siberiano Peter Kroprotkin, qui scopri davvero che “il mutuo appoggio è ciò che regola il mondo”. Ogni volta che sono lontano dalla mia Puglia, però, penso che non ci sia al mondo una regione più bella e che l’Italia non ha davvero pari.

 

Quale Paese ti è rimasto nel cuore? E in quale hai avuto maggiori difficoltà di adattamento?

La risposta alla prima domanda è senza dubbio l’Africa. Non un paese in particolare, ma un intero continente è nel mio cuore. Dalla prima volta che ci sono stato, circa sette anni fa, non ho mai potuto dimenticare suoni, odori e colori del continente nero. Ci torno ogni anno, spesso in paesi diversi. È una sorta di dipendenza. Poco prima di arrivare qui in Russia, a gennaio del 2015, ho intrapreso una missione esplorativa in un’area remota delle foreste del Gabon. Per un mese a piedi ho attraversato con la mia compagna e un gruppo di “sherpa” locali 140 km nel parco nazionale dell’Ivindo, in un territorio mai esplorato prima. L’avventura è una parte fondamentale della mia vita e non potrei farne a meno. Credo sia l’aspetto imprescindibile della creatività: si può esplorare con la mente e col corpo allo stesso tempo. Dopo qualche settimana di ritorno da zanzare, scimpanzé e liane ero già pronto ad affrontare i 40° C di escursione termica che mi separavano dalla Siberia. Quest’estate ho in previsione un’altra spedizione in Africa. Un vizio che cerco di spacciare per virtù. Non c’è, invece, un posto in cui credo sia difficile adattarsi se si parte con lo spirito di conoscere, esplorare e non giudicare. Spesso s’incontrano difficoltà quando dimentichiamo che la diversità (non solo quella biologica) è la base della vita. Se impariamo ad accettare le differenze culturali, sociali, culinarie e ambientali siamo in grado di esser felici ovunque.

 

Mediamente, quanto tempo resti in uno stesso luogo?

Dipende, ma ho una sorta di regola di permanenza minima che cerco di rispettare. Durante le mie ricerche di dottorato in Africa sono stato nel continente, ogni volta, per periodi di un mese (raccogliendo dati sulle foreste) e poi in Italia per il mese successivo (per elaborare le informazioni raccolte), prima di ripartire per un’altra missione di ricerca. E così ho fatto per circa 4 anni. Anche in altri luoghi come Australia, India e Indonesia un mese è stato il mio tempo di permanenza medio e ritengo che questo sia il periodo minimo necessario, se davvero si vuole conoscere un luogo molto diverso dal nostro paese d’origine. Qui in Russia, però, prevedo di restare 3 anni e poi chissà…

 

Cosa ti affascina maggiormente del tuo lavoro?

Mi ritengo privilegiato perché ho la possibilità di esser pagato per pensare. Questo a molti sembrerebbe hippy, ma la scienza è esattamente questo: riflettere e devo ammettere che a volte è più faticoso star seduto a riflettere su dati, idee, articoli, etc. che camminare sudati dalla testa ai piedi per chilometri in una foresta tropicale. Pensare è un privilegio, ma è necessario guadagnarselo giorno dopo giorno. Se smetti di farlo bene, ti viene tolto. Ho sempre sognato un lavoro che mi permettesse di riflettere sulla natura e di viaggiare. Dopo varie esperienze, tra ONG e UN, credo proprio di averlo trovato. La ricerca, questo tipo di ricerca sulla biologia ambientale ed evolutiva, è la mia idea di lavoro ideale. E poi credo di avere la possibilità e la responsabilità, di allertare la gente su ciò che sta avvenendo al nostro pianeta.

 

Verso quale direzione pensi si stia muovendo il mondo per quel che riguarda la biodiversità?

Purtroppo su questo aspetto la mia visione non è altrettanto ottimistica. In un secolo abbiamo posto a rischio di estinzione e fatto estinguere più specie che negli ultimi milioni di anni. È incredibile se ci si ferma a riflettere: prima dell’uomo nessuna estinzione di massa era mai stata causata da un essere vivente, solo le forze geologiche potevano provocarle. Ora un’unica specie distrugge mari e foreste, inquina l’acqua, il suolo e l’aria, immette in atmosfera tutto il carbonio stoccato durante il Carbonifero (circa 360 milioni di anni fa) e pensa di farla franca. Che la tecnologia l’aiuterà. Non potrà accadere, perché se l’uomo esiste sulla Terra è solo grazie alla biodiversità. È necessario limitare la crescita della popolazione umana (argomento scomodo a molti) ed economica (argomento scomodissimo a quasi tutti), perché altrimenti abbiamo poche speranze di preservare la diversità che ci tiene in vita.

 

 

Perché e quanto è importante la biodiversità?

La diversità, in generale, è l’unica forza di base della vita e noi pensiamo di poterne fare a meno con l’omologazione degli individui, la limitazione dell’espressione, lo sterminio dei popoli e delle specie. Non capiamo quanto sia importante essere diversi. L’uguaglianza deve esistere solo nel diritto alla vita e alla libertà. Spesso sentiamo frasi come “siamo tutti uguali”, ma è necessario specificare che questa uguaglianza c’è nel rispetto e nei diritti, ma che uomo e donna, caucasici, orientali, africani, etc., cani e gatti sono diversi tra loro e per fortuna, altrimenti non potrebbero esistere. Senza la diversità biologica non potrebbero esserci gli ecosistemi e senza di essi non si sarebbe potuta evolvere la vita. Neanche l’uomo potrebbe esistere come unica forma di vita sul pianeta, tutto ciò che facciamo, mangiamo, beviamo, respiriamo e persino pensiamo dipende da altri esseri viventi. E più questi sono vari più la Terra in toto è sana e viva.

 

Sei anche un fotografo freelance. Cosa cerchi di catturare attraverso la tua macchina fotografica? E cosa vorresti trasmettere con i tuoi scatti?

Per me la fotografia è sempre stata una forma d’arte volta a documentare. Mi ritengo un documentarista infatti, non un fotografo vero e proprio. Non mi piacciono gli studi fotografici, i pannelli riflettenti, i faretti, gli esposimetri, le nature morte, etc. per me la natura dev’essere viva; fotografare, ovvero documentare, vuol dire conoscere meglio il mondo, capirne i dettagli e questo non è possibile se lo adattiamo alle nostre esigenze. Dobbiamo ritrarlo nella sua essenza più vera, senza artifici. Per questo sono estremamente contrario all’elaborazione grafica delle immagini. Può andar bene per i pubblicitari moderni, ma per documentare il mondo non c’è bisogno di sofisticarlo. È già bello, vivo e ricco di sfumature senza Photoshop. Credo che ci sia estrema necessità, in un’epoca dove la visione è fondamentale, di fornire immagini forti e al tempo stesso utili. Amo fotografare la Natura e le sue componenti, gli animali nei loro comportamenti e i dettagli, che sono ciò che sfugge all’occhio indaffarato, ma non alla macchina fotografica. Spero di trasmettere quel senso di diversità e bellezza presente in ogni angolo del pianeta e che per ingordigia e sete di dominio distruggiamo ogni giorno. Spero di immortalare qualcosa perché resti immortale non solo nell’immagine, ma anche nella realtà. Documentare, come forma d’arte e di scienza, e sensibilizzare, come imperativo morale, è questo che cerco di fare con la fotografia.

 

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Da qualche anno mi sono avvicinato al mondo del documentario naturalistico, in particolare quello in 3D, e questa forma d’espressione insieme alla fotografia mi piace moltissimo. Credo che sia molto efficace per far immergere chi non può (immagino l’impatto che potrebbe avere negli ospedali, ad esempio) nelle bellezze del mondo. Così dopo un primo documentario che ho girato sulle foreste del Ghana in 3D, ora sto lavorando sull’editing delle immagini riprese durante la spedizione in Gabon. Abbiamo documentato animali ignari dell’esistenza dell’uomo e lembi di foresta inimmaginabili. Questo nuovo documentario dovrebbe esser pronto per la fine di quest’anno e l’idea è quella di farlo partecipare al concorso internazionale sul documentario naturalistico del 2017, a Nuova Delhi. Intanto la ricerca e l’insegnamento assorbiranno l’80% del mio tempo, ma nel restante 20% cercherò di continuare a documentare il mondo non solo con la scienza, ma anche con l’arte. È in uscita un nuovo libro fotografico sull’Africa per Villaggio Globale Editore e sto scrivendo un testo universitario in inglese sulla biodiversità. Intanto, questa estate visiterò i monti Altai in Mongolia e poi tornerò in Africa. Devo darmi un limite, lo so, ma per ora va bene così…

 

Indirizzi email: ro***********@gm***.com; ro******************@ma**.ru

Siti: www.robertocazzollagatti.com; www.facebook.com/paradossodellacivilta

 

A cura di Nicole Cascione