MAORI: ricchezza e problema della Nuova Zelanda

 

Se vi chiedessero “Cosa ti viene in mente se pensi alla Nuova Zelanda?”, oltre a “paesaggi mozzafiato”, “kiwi”, “pecore” e “rugby”, la risposta più frequente sarebbe probabilmente “Māori”. E non si tratterrebbe di uno stereotipo. La cultura Māori è parte integrante della Nuova Zelanda ed è uno dei tratti che contribuiscono a formarne il carattere e a renderla unica. Guidando lungo qualsiasi strada neozelandese è impossibile non imbattersi in qualche impronunciabile nome Māori di cittadina, monte o località. Camminando per le strade di Wellington può capitare, con una certa frequenza di notare un volto maschile completamente tatuato. Accendendo la TV o la radio è normalissimo sentire parole in Māori all’interno di un programma in lingua inglese o addirittura vedere od ascoltare programmi interamente in lingua Māori. Sfogliando un quotidiano, è naturale imbattersi in parole che, chiaramente, non sono inglesi.

 

Così, se sei una persona anche solo mediamente curiosa, vieni inevitabilmente attratto dalla cultura Māori e inizi ad osservare, ascoltare e leggere con maggior attenzione tutto ciò che li riguarda. E, in un primo momento, più osservi, ascolti e leggi e più rimani affascinato. Allora scopri, ad esempio, che il tatuaggio, come per la maggior parte delle popolazioni indigene, riveste un ruolo fondamentale nella cultura Māori, per i quali la testa rappresenta la parte più importante del corpo umano. Pertanto il tipo di tatuaggio (moko) più diffuso è quello facciale, caratterizzato da forme circolari e disegni spiraliforme. Ogni tatuaggio facciale è talmente dettagliato ed accurato che non è possibile imbattersi in due tatuaggi simili, ognuno è unico ed irrepitibile. Per i Māori i tatuaggi sono simbolo di rango sociale, autorità e prestigio, oltre ad essere un mezzo per rendere una persona più attraente agli occhi dell’altro sesso. L’operazione di tatuare rappresenta, inoltre, un rito di passaggio da un fase della vita a quella successiva, viene generalmente compiuta durante l’adolescenza e, successivamente, ripetuta per celebrare i momenti più significativi della vita di una persona. Per eseguire i tatuaggi, i Māori non utilzzano aghi, ma coltelli e altri strumenti simili a scalpelli, in modo da non lasciare la pelle liscia e morbida, ma ricoperta da scalanature. L’inchiostro che viene utlizzato è ricavato da prodotti naturali. L’uomo viene tatuato su tutta la superficie facciale, mentre il tatuaggio femmminile è circoscritto al mento e alle labbra. Naturalmente ai giorni d’oggi il numero di Māori con il volto tatuato è irrisorio rispetto al passato, ma è comunque ancora piuttosto frequente trovarsi di fronte ad un volto tatuato. Poi scopri che hongi è il nome del tradizionale saluto Māori e marae il nome del luogo sacro. Lo hongi viene utilizzato ancora oggi in cerimonie ufficiali o occasioni formali e consiste nel premere dolcemente il naso e la fronte contro quelli dell’interlocutore. In tal modo ci si scambia il soffio di vita (ha) o, secondo alcune interpretazioni, si condivide il proprio spirito con l’altro. Questa tradizione ha un’origine divina: secondo la cultura Māori la donna fu creata dagli Dei, modellando la Terra. Successivamente il Dio Tane (che signifca maschile) abbracciò la figura femminile appena creata ed espirò all’interno delle sue narici, donandole la vita. Il Marae, invece, è un complesso costituito da edifici e terreni che appartengono ad una particolare tribu o famiglia. I Marae sono utilizzati per incontri, celebrazioni, funerali, workshop educativi o altri importanti eventi delle tribu. Bisogna seguire un preciso rituale e togliersi le scarpe prima di potervi accedere.

 

Questa prima infarinatura sulla cultura Māori è come bere un aperitivo e mangiare un leggero antipasto in attesa di una succulenta cena: ti rende ancora più affammato. Così inizi a porre domande ai Neozelandesi e a leggere materiale più tecnico e proveniente da fonti più sicure. In questo modo vieni a sapere che circa 40 anni fa, la lingua Māori è conosciuta e parlata da un numero limitatissimo di persone, residenti principalmente nelle aree rurali, e che, pertanto, era destinata ad estinguersi. A partire dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso, iniziano a formarsi i primi movimenti per il recupero della lingua Māori. Tali movimenti ottengono il supporto del governo che nel 1987 dichiara la il Māori lingua ufficiale della Nuova Zelanda e successivamente supporta, promuovendo e finanziando, le iniziative e i progetti volti al recupero ed alla rivitalizzaione della lingua Māori. Non solo, el 2003 il governo neozelandese pubbblica il Māori Language Strategy”, un piano in cui vengono delineati i 5 obiettivi per mezzo dei quali giungere ad avere, entro il 2028, una situazione in cui la lingua Māori è nuovamente ed ampliamente parlata dalla popolazione Māori. In particolare, dovrà essere di uso comune all’interno delle famiglie, case e comuninità Māori. Inoltre tutti i neozelandesi dovranno apprezzare e riconoscere il valore della lingua Māori all’interno della società neozelandese.

 

Scavando ancora più in profondità, emerge il Treaty di Waitangi, il documento forse più importante, e non solo sotto il profilo costituzionale, della Nuova Zelanda. Il Treaty di Waitangi viene sottoscritto il 6 febbraio 1840 a Waitangi, località della Bay of Islands, dal capitano William Hobson, rappresentante della Corona Britannica, da numerosi residenti inglesi e da circa 45 capi Māori. Successivamente il testo del Treaty of Waitangi viene fatto girare all’interno dell’intero territorio neozelandese in modo che venga sottoscritto dal maggior numero possibile di Māori. Così, alla fine del viaggio, oltre 500 capi Māori hanno sottoscritto il trattato. Esso è costituito da due testi, uno in Māori e l’altro in inglese, con cui il popolo Māori dà alla Corona Brittannica il diritto di governare ed insediarsi sul territorio neozelandese, mentre la Corona assicura ai Māori piena protezione dei loro interessi e status e riconosce loro la piena cittadinanza. La versione inglese del trattato non è un’esatta tradizione del testo Māori. Di conseguenza ci sono due diverse interpretazioni che hanno dato origine ad accesi dibattiti sull’attuazione e sul rispetto dello stesso. Ciò che ha causato i maggiori problemi è il testo dell’articolo 1, in particolare le scelte lessicali che sono state fatte. Nella versione Māori, il popolo autoctono cede alla Corona il kawanatanga ossia il diritto di amministrare. Secondo il loro punto di vista, essi mantenevano, quindi, l’autonomia ed l’indipendenza nella gestione dei loro interessi. Nella versione inglese, invece, i Māori cedono la sovereignity, ossia la sovranità. Risulta evidente come i due termini non definiscano il medesimo concetto e come la scelta di uno, anzichè dell’altro, porti inevitabilmente a due conclusioni divergenti. I problemi interpretativi hanno dato origine a numerose ed accese proteste aventi ad oggetto la mancata, o errata, applicazione dei principi contentuti nel trattato. Ciò ha indotto il governo a dar vita, nel 1975, al Waitangi Tribunal, un organo indipendente che ha il compito di fornire pareri al governo per quanto concerne i reclami mossi dai Māori, contro la Corona, per presunte violazione del trattato di Waitiangi.

 

 

Leggendo ed osservando tutto ciò, si ha la sensazione di ascoltare una meravigliosa favola dove i protagonisti indifesi e dall’animo puro devono difendere la loro lingua, i loro riti, le loro tradizioni e combattere contro l’antagonista e conquistatore crudele che alla fine, come ogni favola che si rispetti, soccombe. Ma, proprio perchè si tratta di una favola, questo quadro non rispecchia interamente la realtà e dietro al limitante ed impreciso concetto “buoni vs cattivi”, si nasconde un mondo, quello vero, che ha diverse sfaccettature e che è tutt’altro che lineare e piatto. Infatti, se inizi ad osservare ed ascoltare con occhi ed orecchi meno romantici e naïf, allora vedi anche l’altra faccia della medaglia. Oggi alcune delle piaghe sociali della Nuova Zelanda, quali l’alcolismo, la disoccupazione e condizioni abitative indecenti, sono diffuse in particolare tra i Māori. Poi grazie al tuo insegnante di inglese, hai modo di confrontarti con una diversa versione della storia: i Māori non sono stati conquistati e privati delle loro terre dai conquistatori europei, ma sono stati salvati dagli stessi. Secondo la versione meno popolare della storia, nel momento in cui i Britannici sbarcarono in Nuova Zelanda, le varie tribu Māori stavano ferocemente combattendo le une contro le altre e l’intervento del popolo bianco ha evitato che si autodistruggessero. E sempre grazie a lui, vieni a contatto con un certo David Round, avvocato neozelandese e professore presso l’università di Canterbuty, specializzato in diritto pubblico e storia del diritto. Periodicamente scrive anche articoli aventi ad oggetto il Trattato di Waitangi e la questione Māori, per http://breakingviewsnz.blogspot.co.nz.

 

È sufficiente leggere qualche suo pezzo per capire come non abbia nessun timore nel prendere una posizione ben definita, e probabilmente scomoda, contro il governo eccessivamente accondiscendente di fronte alle continue richieste e pretese da parte dei Māori, contro il Treaty of Waitangi e contro i Māori stessi. Semplificando in maniera estrema, quindi imprecisa, il suo pensiero, David Round è convinto che il Trattato di Waitangi stia bloccando lo sviluppo dell’intera Nuova Zelanda, in quanto il governo sta, da anni, investendo energie, tempo e denaro in tutto ciò che riguarda i Māori, la loro lingua, i loro presunti diritti ed i loro ricorsi. In tal modo, viene deviato da temi e questioni molto più importanti e gravi. La sua penna è a tratti ironica ed impertinente, quindi, nonostante la delicateza del tema, la lettura dei suoi articoli è piacevole. Per sostenere le sue teorie, oltre ad argomentazioni strettamente giuridiche, utilizza spesso argomentazioni logiche. Un esempio? Se, come sostengono i Māori, essi non hanno mai ceduto la sovranità alla Corona Brittannica e, quindi, non riconoscono, ritenendo privo di efficacia tutto ciò che essa ha generato, allo stesso modo anche il Waitangi Tribunal, creato dal Parlamento neozelandese, non dovrebbe avere alcun potere ed efficacia agli occhi dei Māori. Non siamo in grado di giudicare quanto il pensiero di David Round, o di coloro che hanno la sua stessa visione, sia fondato. È un argomento troppo ampio, profondo e delicato e la nostra conoscenza è troppo limitata. Riteniamo, tuttavia, che egli sia un’altra conferma del fatto che non esiste mai un’unica versione della storia. Inoltre, ha contribuito a rendere la questione Māori ancora più interesante e aumentato la nostra fame di conoscenza.

 

Willy ed Irene

(Per saperne di più su Willy ed Irene potete dare un’occhiata al loro blog: www.feetprint.it)

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