Benvenuti in Cambogia, terra di templi, pigiami e uan dollá

 

 

 

Attraversare la frontiera della Cambogia può essere un’esperienza veramente divertente. Specialmente se si passa dalla Thailandia.

 

La mia Odissea inizia a Bangkok in una caldissima giornata di fine febbraio quando mi imbarco in un mini-furgoncino pieno fino all’ultimo centimetro quadrato con altri 10 sventurati e i loro bagagli. Vogliamo andare tutti in Cambogia, per la precisione a Siem Reap la città che ospita il meraviglioso complesso dei templi di Angkor (l’ottava meraviglia del mondo per intenderci).

 

Arriviamo dopo 4 ore vicino alla frontiera e scopriamo che l’Ufficio dei visti cambogiani ha una simpatica filiale nel retro bottega di un ristorante sulla statale per Poipet dove si possono compilare i fogli per il visto insieme alla degustazione di una zuppa fumante di noodles.

 

 

L’autista dello stesso bus cercherà di fregarci il doppio dei soldi del visto ( che in sè vale 20$) con delle scuse migliori di quelle usate da Pierino per non andare a scuola. Ci dirà che deve fare una fatica immensa per scannerizzare la nostra foto, che le foto tessera non sono uscite bene e rendiamo il suo lavoro più difficile e bla bla bla. Povero cane bastonato, sono tutte balle. Per evitare questo spiacevole inconveniente si possono fare 2 cose: fare a meno dei mini-furgoni super scontati Bangkok-Siem Reap disseminati in tutto il centro della capitale thailandese che hanno la trappola autista inclusa e acquistare quindi i biglietti tappa per tappa, oppure, cosa che risparmierà circa un’ora di fila alla frontiera, fare domanda per il visto direttamente all’ambasciata della Cambogia a Bangkok. In entrambi i casi in cui il visto si debba fare alla frontiera o che sia già bell’e pronto sul passaporto, bisogna prepararsi a spendere un paio d’ore di fila tra caldo umido, persone che sorpassano in sordina, poliziotti che invece di fare il loro dovere stanno seduti dormicchiando davanti al ventilatore e poliziotti che davanti ai vostri occhi ricevono passaporti con dentro soldi da viaggiatori che vogliono saltare la fila. Evviva la solidale disonestà internazionale.

 

Una volta passato il confine, non si è più un essere umano. Si diventa un dollaro con le gambe.

 

In Cambogia si usa la doppia moneta, il riel ( che ai cambogiani non piace molto) e il dollaro americano. Tutto o quasi sembra costare uan dollàAppena verrete avvistati, voi musi bianchi con occhiali da sole, bermuda e infradito, verrete bombardati da venditori che vi chiederanno di comprare questo o quello, autisti di tuk-tuk o scooter che vi assilleranno con le loro ( che faranno spacciare per vostre) richieste e bambini che cercheranno di vendervi cartoline per uan dollà. Con uan dollà si può comprare una bottiglia d’acqua grande, 1 bottiglia d’acqua piccola, una bottiglia d’acqua grande e una piccola, un mango, un’ananas, un’ananas e un mango, un caffè, un fruit shake, un kg di bucato stirato e circa il 90% delle cose che servono quotidianamente.

 

 

Ma passiamo alla meraviglia delle meraviglie, il motivo per cui si giunge a Siem Reap: i templi di Angkor Wat. L’ottava meraviglia del mondo è finalmente davanti ai nostri occhi.

 

Se vi capiterà di arrivare qui all’alba complimenti per il coraggio, oltre ad avere un’ottimo rapporto con la sveglia avrete la possibilità di vedere un’alba uguale in milioni di altre parti nel mondo ma con in sottofondo la nebbia e i templi di Angkor (così mi è stato detto visto che il mio rapporto con la sveglia non è proprio ottimo). Se arriverete qua per le 10 o le 11, verrete travolti dalle ondate di turisti giapponesi, cinesi, coreani o russi (che viaggiano sempre tutti in gruppo, chissà perchè) e allora addio foto che volevate fare da soli con lo sfondo del Mother Temple o seduti tra le rovine. Quindi meglio arrivare tra le 7 e le 8, turisti ce ne saranno sempre ma si potrà respirare senza essere sgomitati da una parte all’altra o essere la comparsa involontaria di foto scattate ogni 0,2 secondi.

 

Dopo un paio d’ore di visita tra i numerosi templi a 40 gradi all’ombra, le chance di vedere Puffi e Mio Mini-Pony saltellare tra le rovine sono altissime. Per evitare di cadere tra il delirio da solleone e le grinfie di Gargamella bevete più acqua che potete. In fondo vi costerà solo uan dollà.

 

Attraversando la Cambogia, vi capiterà inoltre di vedere donne in pigiama in strada, a lavoro, nei negozi. No, non sono vestiti che sembrano pigiami, sono dei veri e propri pigiami con orsetti, fiorellini, cagnolini e tanti altri disegni "ini". Le vedrete al mattino ai mercati, mangiando arselle e altri frutti di mare, ananas o mango con polvere di peperoncino e ragni fritti.Stanno facendo uno spuntino. O se preferite colazione visto che sono in pigiama.

 

 

Un ottimo modo per girare la Cambogia è usare la bicicletta. Non solo avrete il tempo di godervi i piccoli villaggi e la campagna, vera essenza di questa terra, ma vedrete un’altra prospettiva di questo Paese fatta di vita rurale e gente semplice, sorridente e amichevole. I bambini vi rincorreranno e faranno da sottofondo alla passeggiata con calorosissimi e lunghissimi "helloooooo".

 

C’ è però un lato oscuro, triste e opprimente della Cambogia. Qua purtroppo sono concentrati i contrasti tipici di un Paese da poco uscito da diversi anni di guerra civile, uno spaventoso genocidio e turbolenze con i paesi limitrofi. I politici e la polizia sono tra i più corrotti al mondo e le donazioni degli aiuti umanitari si fermano nelle loro tasche. Il governo firma contratti come autografi, tutti cercano di approfittarsene e fare il grande business con questo gioiello dell’Asia, ma i grandi partner di affari come la Cina non scelgono mai il benessere della Cambogia ed anzi la indeboliscono e l’avviliscono con l’approvazione dei governanti cambogiani incapaci e inetti.

 

D’altronde si sa che Pechino e Bruxelles non seguono le stesse regole.

 

Nella capitale circolano macchine lussuosissime mentre la gente poverissima vive di stracci ed elemosina. Le campagne sono disseminate di mine anti-uomo ed è molto frequente vedere dei mutilati aggirarsi per i villaggi o le città e chiedere la carità.

 

 

 

Si dice che qualcosa di magico pervada la Cambogia. Un viaggio nella sua terra non può lasciare certo indifferenti con la sua storia che può allo stesso tempo inspirare e deprimere. Si può salire in paradiso con la madre di tutti i templi, Angkor Wat che fonde simbolismo magia e spiritualità e scendere all’inferno davanti alla prigione S-21 di Phnom Penh e i campi di sterminio dell’orribile massacro dei Khmer Rouge, un trauma psicologico da cui i cambogiani devono ancora riprendersi. Eppure nonostante tutte queste contraddizioni di povertà e ricchezza, sofferenze e ingiustizie, nuvole di polvere e sporcizia, incapacità e devastazione, il sorriso e l’accoglienza del suo popolo rimane intatto.

 

E così alla fine del viaggio vi accorgerete che, pur avendo l’ottava meraviglia del mondo a portata di mano, il vero tesoro della Cambogia è la sua gente.

 

Dedicato a George Washington, che mai avrebbe sospettato di essere cosi famoso in Cambogia e di valere uan dollà.

 

Silvia Muscas