Chiara: “vi racconto la mia Cina”

Penso di aver deciso di andare via in prima elementare”. Ha sempre avuto le idee chiare fin da bambina Chiara Lagni, che a diciotto anni è riuscita a coronare il suo sogno e a vivere un anno in Estremo Oriente, nella grande Cina che tanto l’ha affascinata, e dove torna ogni volta che può.

 

Come hai fatto ad alzarti la mattina e decidere di andare in Cina?

 

Con i miei genitori non ho mai viaggiato molto, ma sono una persona molto curiosa e non vedevo l’ora di poter andare a vedere il mondo da sola. Quando in terza superiore una ragazza mi ha parlato della possibilità di andare via per un anno intero con un’associazione, ho iniziato subito ad informarmi per poter cogliere l’opportunità che aspettavo da tempo e devo dire che all’inizio mi sono orientata sul mondo anglosassone. Ma la ragazza che mi ha fatto conoscere l’associazione, che era stata in Danimarca, mi continuava a dire che se avesse potuto tornare indietro allora avrebbe osato di più. Quindi dopo averci pensato un po’ ho deciso di andare in Cina. Infatti da una parte ero interessata alle lingue orientali, dall’altra la Cina si stava affermando come nuova potenza mondiale e dunque mi piaceva l’idea di esplorare questo grande Paese.

 

Dove sei andata vivere?

 

A Deyang, una “cittadina” di 4 milioni di abitanti nello Chengdu, in Sihuan. Io sono sempre vissuta in un paese di 33mila abitanti e dunque all’inizio mi è sembrata una metropoli gigantesca. Invece i ragazzi che erano lì con la mia stessa associazione venivano una da Maracaibo, una da Mosca e uno da Copenaghen , dunque non erano facilmente impressionabili dalle dimensioni. Inoltre col tempo ho avuto modo di visitare le vere megalopoli cinesi, dunque alla fine mi sono adattata a quella città che si è rivelata più che mai comoda e vivibile.

 

Come ti sei trovata in famiglia?

 

Nel corso del mio anno di permanenza ho cambiato tre famiglie.

La prima era composta da una donna e dalla figlia. Il padre viveva in Tibet per lavoro. Mi sono trovata molto bene, si vedeva che davvero ci tenevano a che mi sentissi un’ospite gradita e rispettata. Mi avevano dato come camera la stanza più grande della casa, la madre cercava di cucinarmi cose che mi piacessero e cercava di insegnarmi il cinese chiacchierando con me quasi ogni sera. Nonostante non parlasse inglese riusciva a farsi capire e ho sempre apprezzato tantissimo i suoi sforzi e la sua dedizione. A Febbraio tuttavia ha dovuto raggiungere il marito in Tibet, così mi ha affidata a un’altra famiglia. Non era certo il periodo migliore perché eravamo a ridosso del Capodanno Cinese: durante le festività ci si sposta e si va a trovare i parenti, come da noi a Natale, quindi non erano in tanti ad essere disposti a sobbarcarsi un onere del genere.

Nonostante ciò, ho trovato ospitalità presso la famiglia di una mia compagna di classe. Ci sono rimasta solo un mese perché mi sono trovata piuttosto male, per tutta una serie di motivi. Innanzitutto abitavano ai confini della città, nella zona meno sviluppata e più rurale. Non mi lasciavano stare fuori casa oltre le 7 di sera per paura che mi succedesse qualcosa, anche se io nella mia vita non mi sono mai sentita tanto sicura ad andare in giro come in Cina. Il cibo che cucinavano mi faceva stare spesso male perché non riuscivo a digerirlo, l’acqua della doccia era sempre fredda, il rubinetto del lavandino del bagno non andava mai, ma soprattutto mi trattavano come una diva. Per loro non ero un membro della famiglia, ma quasi un fenomeno da baraccone: mi filmavano mentre facevo le cose più semplici come pettinarmi o lavarmi i denti, mi chiedevano in continuazione, con uno zelo quasi servile, se stavo bene e se avevo bisogno di qualcosa… insomma, sono stati gentilissimi ma troppo freddi, troppo distaccati perché io mi sentissi a mio agio. Quando poi mi sono ammalata e dopo due settimane non accennavo a guarire, mi son convinta che non avrei più potuto continuare a vivere con loro.

Quando ho chiesto di cambiare famiglia ci sono stati dei problemi, sembrava impossibile trovare qualcuno. Allora ho chiesto aiuto alla mia precedente famiglia: ci tenevano così tanto a me, che mi hanno fatta ospitare da loro amici. Mi sono finalmente trovata benissimo. Sono stati davvero ospitali: la figlia mi ha lasciato il suo letto e tutta la sua camera, per andare a dormire su un tappetino nella camera dei suoi genitori. Io a quel punto della mia esperienza avevo iniziato a parlare il cinese e lei parlava poco l’inglese: l’amicizia che è nata tra noi mi ha aiutata tantissimo a migliorare. Mi sono stati davvero vicini, e ancora oggi mantengo vivi i rapporti.

 

 

Continui a dire che nessuno parlava inglese: è una realtà diffusa?

 

Sicuramente nella città che ho visto io. L’inglese viene insegnato a scuola, anche rigidamente, ma non viene insegnato nel modo giusto. Ripetono a memoria le regole grammaticali e i vocaboli, ma non si esercitano a parlarlo. Quindi spesso i miei compagni di classe mi scrivevano dei bigliettini piuttosto che parlarmi: sono abituati a imporsi di fare tutto perfetto, non esiste ‘provare’.

 

Raccontami della scuola!

 

Noi 4 studenti stranieri frequentavamo tutti la stessa scuola e seguivamo corsi preparati ad hoc di cinese, arte, arti marziali, e altro. Gli studenti cinesi invece studiano le materie che studiamo anche noi, dalla chimica alla storia, dalla letteratura alla grammatica, dalle scienze politiche alla matematica: le studiano tutte e tutte assieme. Infatti la scuola inizia alle 7.30 (ma bisogna essere in classe alle 7.15 perché a quell’ora entrano l’insegnante alternativamente di cinese o di inglese per fare ripetere ad alta voce alla classe le parole imparate il giorno prima, mentre dei gruppi di studenti, a rotazione, puliscono la classe, dato che non ci sono i bidelli) e finisce alle 21! In mezzo ci sono una pausa di un’ora per il pranzo, e di due ore per la cena. In realtà questi orari sono caratteristici del Sichuan: poiché tradizionalmente parlano dialetto, hanno più ore del normale di mandarino.

 

Ma così non hanno tempo per fare nient’altro!

 

Esatto. In Cina o studi, o fai sport. Non puoi dedicarti a entrambe le cose. Inoltre il sistema scolastico è molto selettivo, fin dalle elementari. Le scuole medie sono classificate per numeri (dove la 1 e la 5 sono le migliori) e così anche le superiori. In base ai voti della pagella della scuola elementare, puoi accedere a una determinata scuola media e lo stesso per le superiori. Le materie e il carico di studio sono identici, ma il livello d’insegnamento è diverso e il fatto di studiare in scuole più “elevate” ti dà la possibilità di entrare in università più “elevate”. Se non hai i voti abbastanza alti rimani nelle scuole peggiori e non puoi essere selezionato per andare all’università. E in Cina tutti vogliono andare all’università, perché solo così possono aspirare a un’alta qualità della vita futura. Ah, non è tutto: all’interno delle scuole anche le classi sono differenziate per livello. Nella scuola che frequentavo, che era una numero 5, per ogni anno ci sono 12 classi. Le prime sette sono le classi migliori, quelle che danno la possibilità di andare all’università, dalla 8 alla 12 ci sono gli studenti che devono migliorare. Dunque durante i 3 anni di superiori puoi essere spostato di classe: se i tuoi voti si alzano vieni messo in una classe tra le prime sette, se si abbassano vieni retrocesso a una delle ultime 5.

 

Che ansia…

 

È tutto altamente selettivo. E il loro esame di maturità non è come il nostro: l’esito determina quali saranno le future possibilità nella vita. Questo sistema crea moltissimo stress. Gli studenti del terzo anno non escono mai, non fanno nulla oltre che studiare! Il fatto è che i cinesi sono tantissimi e detta semplicemente, non ce n’è per tutti. Per emergere e poter beneficiare del progresso economico devono per forza competere tra di loro, è l’unico modo che hanno per garantire ai più meritevoli le possibilità migliori. Anche per questo tutte le relazioni amorose sono tenute nascoste, almeno fino alla fine delle scuole superiori: spesso sono i professori stessi a sollecitare i genitori a troncare qualsiasi tipo di rapporto sentimentale dei figli. Un fidanzato distrae troppo dallo studio, non se lo possono permettere. In un certo senso viene anche imposto dalla legge, che vuole che fra un ragazzo e una ragazza in pubblico ci sia sempre un metro di distanza. Quando sono stata in Cina io la legge non c’era ancora, ma è come se fosse stata sott’intesa. L’università è una liberazione anche da questo punto di vista. Esplodono!

 

Leggevo che i genitori di quei ragazzi che alle superiori dimostrano di essere bravi, risparmiano a livelli quasi maniacali pur di potergli offrire le migliori università. Memori della povertà passata e consci delle possibilità per il futuro, puntano tutto sui figli.

 

Infatti sono molto severi da questo punto di vista. Sanno cosa vuol dire vivere bene o male in Cina, e fanno di tutto per poter offrire ai figli le possibilità migliori.

 

 

Anche tu eri obbligata a stare a scuola tutte quelle ore?

 

No, potevo uscire alle 17 e quindi evitare le lezioni serali. Di pomeriggio uscivo con gli altri studenti stranieri. Il venerdì sera o il sabato pomeriggio riuscivo a vedermi con qualche cinese, ma in pochi uscivano. La scuola finirebbe il venerdì, ma di sabato in tanti fanno corsi extra, per lo più potenziamenti di matematica o nelle lingue straniere. Per tre mesi ho tenuto uno di questi corsi extra: lezioni di lingua italiana!

C’è chi è interessato a seguire corsi di italiano?!

 

Sì! O meglio, gli insegnanti hanno chiesto a noi studenti stranieri se fossimo disposti a tenere dei corsi di lingua di italiano e spagnolo. Abbiamo accettato ma in realtà solo io ho portato avanti il corso fino alla fine: erano più interessati all’italiano! Si applicavano moltissimo. Verso la fine del corso qualcuno è perfino riuscito a usare la “r”!

 

Come sono i cinese nelle relazioni interpersonali?

 

Sono delle persone difficilissime. Ho fatto poche amicizie perché fanno davvero fatica. In cinese le parole sono fondamentali e i sentimenti vengono espressi prevalentemente attraverso il linguaggio. Io, abituata ad esprimere l’affetto anche attraverso il corpo, con abbracci, baci e carezze, all’inizio mi sono sentita isolata e a disagio. Ma pian piano sono “entrata nella cultura” e iniziando a studiare e capire il cinese ho anche capito il loro atteggiamento. Sono davvero timidi e ho notato che si sentono molto in soggezione davanti a uno straniero. Mi vedevano come una persona da imitare e seguire, della quale valeva la pena seguire l’esempio. Io da parte mia ho sempre cercato di rispettare il più possibile la loro cultura e le loro regole. Ad esempio non ero obbligata a rispettare i loro orari scolastici, ma lo facevo lo stesso. I professori mi hanno sempre elogiata per il mio comportamento e il fatto che avessi imparato il cinese li riempiva d’orgoglio: per loro uno straniero che parla il mandarino è sensazionale. Gli altri ragazzi stranieri saltavano spesso le lezioni e alla fine penso abbiano ricevuto di meno di me, anche materialmente: alla fine dell’anno i miei compagni mi hanno riempita di regali e mi hanno perfino organizzato una festa d’addio, mentre a loro no. I cinesi riconoscono quando una persona dà o quando riceve e basta.

 

Come sono stati i festeggiamenti del Capodanno?

 

Il Capodanno Cinese dura un mese, il periodo varia ogni anno ma indicativamente è sempre fra dicembre e febbraio. Lo sentono molto, nelle scuole per esempio si fanno gli spettacoli e si fa il countdown il giorno esatto del Capodanno, anche se i festeggiamenti sono continui. La cosa più bella sono le lanterne! Quando vuoi esprimere un desiderio accendi una lanterna (ci sono un sacco di venditori ambulanti per strada che le vendono) e la lasci andare in cielo. Ogni lanterna ha un colore diverso a seconda del desiderio e possono essere anche disegnate o coperte di scritte. Più ci si avvicina alla fine più il numero di lanterne cresce ogni giorno, fino all’ultimo giorno, quando il cielo si ricopre di lanterne! È molto bello. Ci sono i dragoni per strada e i fuochi d’artificio, le decorazioni per strada indicano quale anno si sta lasciando e in quale si sta entrando. Quando si entra nell’anno del dragone si entra nell’anno più importante: i festeggiamenti per quest’occasione sono il triplo di quelli soliti!
Purtroppo per il Capodanno la mia famiglia ospitante (la seconda) mi ha portata dai parenti in campagna, dove ho visto una realtà molto povera. Famiglie costrette a dormire per terra, con cuscini scomodissimi riempiti di spighe di grano. Qualità del cibo scarsa. Le stesse cittadine di campagna trasmettono un grande senso di povertà: sono brutte, sporche, gli autobus vecchissimi, internet quasi inesistente se non negli internet point, luoghi bui e squallidi.

 

Il cibo che trovi qui nei ristoranti cinesi e quello che mangi in Cina sono la stessa cosa? Immagino di no.

 

Assolutamente no! Il cibo qui è molto occidentalizzato, i sapori sono diversi. I tipi di piatti sono gli stessi (involtini, riso cantonese, ecc.) ma sono cucinati in modo diverso. Per esempio in Cina gli involtini non vengono mai fritti, ma arrostiti. In realtà non mangiano quasi nulla di fritto, al contrario di quanto si potrebbe pensare.

 

 

Com’è stato vivere per un anno in un paese che non è una democrazia, ma un regime dittatoriale?

 

Io non ho percepito una grande differenza: gli stranieri sono liberissimi. Lo straniero in Cina è padrone, può fare qualsiasi cosa. Io non mi sono mai sentita dire di no, a nessuna mia richiesta. Ti posso dire che non ho mai potuto usare Facebook o Youtube e Google, dopo un periodo in cui è stato oscurato, va molto lento. I cinesi in ogni caso non usano i nostri social network o i nostri motori di ricerca, hanno i loro.

 

Confermi che imparare il cinese è difficilissimo?

 

Sì! Dopo un anno intero ho raggiunto solo un livello B1, quindi un livello intermedio. I cinesi stessi, quando escono dalle superiori, ancora non conoscono tutte le parole che esistono nella loro lingua. Per riuscire a leggere un giornale devi per forza aver fatto le superiori perché gli articoli sono scritti con caratteri difficili che in tanti non conoscono. Dicono sempre che quando vai in un paese straniero a fare un’esperienza del genere devi aspettarti di non capire nulla per i primi 3 mesi, ma dopo ti sblocchi e inizi a parlare la lingua. Con il cinese il discorso è a parte. Dopo 4 mesi inizi a capire cosa ti dicono, forse. Ma dopo hai bisogno di almeno altri 2 mesi per poter iniziare ad avere dei dialoghi, anche semplici. Il fatto è che ogni cosa la puoi dire in tanti modi diversi, quindi può succedere che ti facciano una domanda alla quale potresti benissimo rispondere, ma che te la formulino con dei caratteri o in un modo che non conosci e quindi non riesci a capire cosa ti stanno chiedendo. E poi non c’è una grammatica e nemmeno un alfabeto! È tutta una miriade di modi di dire: di sicuro è una lingua che non si può imparare sui libri.

 

 

Tu hai anche lavorato in Cina, vero?

 

Sì, ho lavorato per conto di un’azienda di assali (componenti per camion) veneta che l’estate scorsa ha organizzato un viaggio a tappe in Cina per incontrare i fornitori. Io ho fatto da interprete. Ho visto tanti mondi diversi: ho visto grandi imprese super tecnologiche e super organizzate che mi hanno letteralmente sbalordito e ho visto anche piccole imprese con operai costretti a lavorare per terra.

 

La città più bella?

 

Pechino: una perfetta via di mezzo fra la Cina di un tempo e la nuova Cina emergente. Ma te ne dico anche un’altra, meno scontata: Harbin, al confine con la Russia, dove d’inverno costruiscono la Città di Ghiaccio, assolutamente da visitare. Shanghai è incredibilmente moderna e futuristica, ma ormai non è più una città cinese.

 

Dunque sei contenta di aver “osato di più”, come ti aveva suggerito quella ragazza?

 

Assolutamente sì. La Cina mi ha dato tanto. Mi ha insegnato a dare più peso alle parole, a cercare l’autocontrollo, mi ha mostrato un rispetto per gli anziani che qui è andato perduto, mi ha mostrato che davvero ogni sforzo viene ricompensato. E dunque non mi voglio fermare qui, voglio continuare a esplorarla!

 

 

Giulia Rinchetti  

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