Microsoft, il grande sogno (realizzato) di Enzo

 

 

 

Redmond, città degli Stati Uniti d’America, fa parte della grande area metropolitana di Seattle, da cui dista circa 20 Km. E’ molto conosciuta nel resto del mondo perché ospita la sede della Microsoft e la filiale americana della Nintendo. Proprio la Microsoft è stata le sede lavorativa di Enzo per diversi anni, fino a quando ha deciso per sua scelta, di iniziare a lavorare per un’azienda fondata da uno dei decani di Microsoft, nonché due volte turista spaziale: Charles Simonyi. 

 

 

Sono originario di Gravina in Puglia, in provincia di Bari. Ho lasciato l’Italia ad ottobre del 1998, ormai sono passati più di quattordici anni da allora. Il mio trasferimento è stato dettato da ragioni lavorative; nel 1998 la Microsoft era in forte espansione e ricercava personale; aveva la necessità di attingere a personale specializzato da ogni parte del mondo. All’epoca ero molto giovane e mi sembrava un’opportunità più unica che rara”.

 

Quali erano i tuoi principali dubbi al momento della partenza?

 

Precedentemente mi ero già trasferito a Roma, a ragionevole distanza dai miei luoghi di origine e quindi sapevo che la partenza sarebbe stata dolorosa, che avrei perso il legame forte con i miei amici, parenti e tutto quello a cui ero affezionato. A parte questo, ho sempre avuto paura che la lingua potesse essere una barriera insormontabile o di non essere magari all’altezza dei compiti che mi sarebbero stati assegnati.

 

Hai deciso di trasferirti negli States liberamente o è stata un’opportunità colta al volo?

 

È stata una via di mezzo. Avevo cominciato i colloqui nel dicembre del 1997 e le cose sembravano andare sempre per il meglio; mi aspettavo potesse arrivare un’offerta e mi ero ripromesso che se fosse stata ottima, non ci avrei pensato più di tanto. Lo è stata e ho dovuto prendere il treno al volo…

 

Ora dove vivi precisamente e di cosa ti occupi?

 

Vivo a due passi dal main campus del quartiere generale di Microsoft a Redmond, dove l’indotto software è molto forte, tra aziende interinali che offrono personale temporaneo a Microsoft e sedi di multinazionali come Amazon, Google, Facebook e altre. Mi occupo di software come ho fatto da sempre.

 

 

Sei uno dei pochi che è riuscito a fare della propria passione un lavoro. Ma cosa significa effettivamente lavorare in un colosso come Microsoft?

 

Mi ritengo fortunato in quanto appartenente ad una generazione che ha potuto farlo. Oggigiorno il software e l’informatica sono completamente pervasivi, quando ho iniziato era tutto molto visionario. L’idea stessa di un PC per ogni famiglia sembrava fantascientifica. Lavorare in un colosso come Microsoft significa lavorare su prodotti che hanno milioni di installazioni. Si impara molto in fretta a pensare in larga scala. È stata un’esperienza altamente formativa anche per l’estrema attenzione alla qualità.

 

Ci sono molte opportunità lavorative nella Microsoft?

 

Ce ne sono sempre tante, c’è chi va, chi viene, chi torna. Chiaramente essere uno sviluppatore anziché, che ne so, un esperto di marketing, aiuta molto.

 

Come mai poi, ad un certo punto, hai preferito lasciare l’azienda?

 

Non c’è stato un motivo particolare, ci sono stati molti fattori che mi hanno fatto capire che era arrivato il momento giusto. Forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il lavorare alla nuova release di Windows, una versione a quanto pare estremamente controversa.

 

Attualmente lavori in un’azienda fondata da uno dei decani di Microsoft, nonché due volte turista spaziale: Charles Simonyi. Hai avuto modo di conoscerlo personalmente?

 

Sì, Charles – incredibilmente – continua a fare della sua passione il suo lavoro. Sono nel suo team e ci vediamo praticamente tutti i giorni. C’è sempre qualcosa da imparare da lui.

 

Ci racconti qualcosa sul posto in cui vivi?

 

La qualità della vita è abbastanza alta. Ci sono molti servizi, supermercati aperti 24 ore su 24; molta professionalità a tutti i livelli, estremo rispetto ed educazione per il cliente. È uno dei posti più costosi degli Stati Uniti, ma tutto sommato il rapporto tra stipendio medio e costo della vita è tra i più positivi. C’è pochissima criminalità, è una società fortemente multiculturale senza lacerazioni tra le varie comunità. I servizi sono eccellenti e c’è tantissimo verde e svariati parchi pubblici. Di contro c’è il cielo quasi sempre grigio, la pioggia (una costante del posto) e la difficoltà a reperire prodotti ed ingredienti italiani.

 

Cosa ti piace principalmente di Redmond? E cosa invece non sopporti?

 

Il ritmo poco frenetico è fortemente assuefacente. La netta separazione con enormi distanze tra zone commerciali e zone residenziali è invece uno dei limiti: è necessaria la macchina per spostarsi, soprattutto quando si è una famiglia.

 

Cosa apprezzi maggiormente della società americana e del suo sistema?

 

La società americana è apprezzabile per l’estrema pragmaticità. Se un’idea funziona viene promossa. C’è davvero scarso clientelarismo, almeno da queste parti: non paga e non giova a nessuno.

 

Come hai affrontato il problema del visto?

 

Se ne è occupata l’azienda. Non ho dovuto fare niente se non compilare i moduli giusti e firmare in calce.

 

Redmond è conosciuta negli Stati Uniti come Bicycle Capital of the Northwest perché i suoi abitanti fanno largo uso della bicicletta. E’ proprio così?

 

Credo che la denominazione sia dovuta più al fatto di aver ospitato una delle più “vecchie” gare di ciclismo, che non all’uso della bicicletta da parte dei suoi abitanti, considerando le antipatiche condizioni metereologiche quotidiane.

 

Ormai sono tanti anni che sei via dall’Italia. Ti manca qualcosa?

 

La famiglia, gli amici, la buona tavola. Ma anche alcuni posti, le sagre, le feste patronali. La piazza, l’estemporaneità.

 

Con quale frequenza torni in Italia?

 

Cerchiamo di tornare una volta all’anno, magari in coincidenza di qualche grande evento – in genere matrimoni in famiglia – in modo da incontrare più gente possibile.

 

Professionalmente cosa ti ha offerto questo Paese che in Italia non avresti potuto mai raggiungere?

 

Ho avuto la possibilità di fare una carriera basata esclusivamente sulle mie capacità e affinità lavorative. In Italia è quasi impossibile trovare una realtà lavorativa dove ci si possa occupare solo di software, senza doversi arrangiare con qualche altro “mestiere”.

 

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A cura di Nicole Cascione