Silvia: in Senegal ho trovato meno bisogni e più certezze

 

E quando pensi che sia finita è proprio allora che comincia la salita”. Così è stato per Silvia: una vita come tante, stravolta da una grave malattia. La scelta di rifiutare le cure tradizionali per seguire una strada più naturale e sana in Africa. Una svolta decisiva che le ha regalato una nuova vita che l’ha resa più ricca pur essendo di fatto diventata più povera.

 

Mi sono trasferita in Senegal, spinta dalla necessità di operare un cambiamento radicale nella mia vita precedente. Sono stata operata per un cancro, ma dopo la radioterapia ho rifiutato le cure standard, tra cui la chemio e le terapie di mantenimento, per seguire una strada più naturale e sana, accompagnata dal fitoterapista Silvio Rossi, deceduto qualche anno fa, che si occupava di erbe africane e che da anni lavorava in Africa. Così sono partita per l’Africa. Dopo un certo periodo di cure a base di erbe e di sole, sono tornata in Italia per il controllo e gli stessi medici sono rimasti basiti nel vedermi così in salute! La medicina in Africa parte dal concetto che se sei malato devi cercare di capire cosa realmente può aver causato l’abbassamento della tua energia vitale. Durante il mio soggiorno, mi sono resa conto di chi fossi veramente e di cosa volevo occuparmi da quel momento in poi: vivere nel verde, piantare alberi, coltivare, trovare l’acqua, abbassare le necessità e i bisogni, coltivare il mio spirito, capire i miei sogni e prendermi cura del mio essere unico e irripetibile, stare in silenzio ad ascoltare, perdonare, chiedere scusa e ringraziare, ma soprattutto amare. Così ho venduto casa, laboratorio, mi sono separata dal mio compagno, ho chiuso la società e sono andata a costruire un pozzo. Dapprima ho vissuto al mare, pagandomi il soggiorno lavorando con un falegname, realizzando sedie e tavoli per un campo mas; successivamente ho vissuto in mezzo alla foresta nel sud del Senegal, fuori da un piccolo villaggio, nella terra di una maman che mi ha ospitato, accudita e nutrita e di un granpère ora deceduto, che ha difeso i miei primi passi. Ho vissuto per due anni in una capanna, ho costruito il pozzo, il forno, ho preso una piroga per pescare, ho coltivato 2 ettari di terra con l’aiuto di 15 senegalesi, raggruppatisi nel tempo e poi ho cominciato a lavorare la terra. Si sono sviluppate collaborazioni, formazioni, molti italiani sono venuti a lavorare da noi. Attualmente ospitiamo i tirocinanti di Scienze della formazione ed educazione e in futuro ospiteremo quelli di Agraria. Insieme a loro, organizziamo dei corsi in cui le donne imparano a fare marmellate e dolci, sapone naturale e dentifricio, in questo caso con la collaborazione dei dentisti della Cooperazione Internazionale Odontoiatrica, COI Robert Elmar Cafasso e Laura Basile. Organizziamo anche dei momenti ludico didattici dopo la scuola, così da sostenere il futuro lavoro delle donne e accudire i figli delle madri che lavorano. Abbiamo presentato un progetto che andrò a discutere a novembre, riguardante un prestito a resa per l’acquisto di un frutteto di 6 ettari e per la costruzione di un laboratorio di marmellate. Tutto questo è il frutto di un lavoro di 4 anni, che ha visto la collaborazione di un gruppo diventato negli anni autosufficiente e indipendente. Ora finalmente possiamo lavorare con la comunità, offrendo lavoro e, se tutto andrà bene, anche sostegno a numerose famiglie. Al progetto partecipa un seneglese di Torino, che desidera investire nel suo Paese e il gruppo Jamm.”

 

 

Hai affermato di aver venduto casa, laboratorio e di aver chiuso la società. Eri sicuramente una persona molto impegnata, di cosa ti occupavi?

 

In Italia mi sono sempre occupata di grafica e comunicazione, scenografia e pittura. Ho lavorato alla Ferrero per 3 anni come illustratrice, allo studio Testa come grafica per 11 anni, sono stata scenografa ad Experimenta Regione Piemonte per 8 anni, ho svolto per 3 anni corsi di grafica e modellato, scultura sia su legno che su creta, presso un centro di formazione professionale e presso la scuola Virtual Multimedia Parking di animazione 3d. Ho svolto per 9 anni il lavoro di consulente artistica in centri di disagio mentale e handicap fisico, ho gestito per 2 anni “il Cortiletto”, un laboratorio per bambini e per 7 anni ho gestito gruppi con utenza mista, quindi altre esperienze con la mia società di servizi multimediali: mostre, stand, installazioni, grafica ecc. Stress, linguaggi, malattie, emergenze, clienti e utenze difficili, rapporti impegnativi, ricerca e aggiornamento continuo, tecniche nuove, sperimentazioni, corse e tanta tanta distanza dal mio vero senso artistico della vita. Tutto mischiato: vita personale, lavoro, passioni ed esperienze. Ho una figlia, Giulia di 25 anni appena compiuti, che lavora e studia, sta ultimando l’Università. E’ brava, responsabile quanto basta per non essere anche noiosa, è giovane, intraprendente, andrà a vivere presto in Spagna, mi è sempre stata vicino e ha appoggiato la mia scelta di andare a vivere in Senegal.

 

Quali scopi ti eri prefissata quando hai deciso di affrontare questo lungo viaggio?

 

Ho chiesto a me stessa di guarire e ho considerato la malattia come una “benettia”. Arrivata in Africa ho subito compreso che avrei dovuto cominciare a rallentare e ad imparare a sentirmi a posto in un luogo qualunque. Il viaggio verso il caldo, verso i colori, verso l’assenza di abitudini, mi hanno portato alla fine a non pensare più a niente, ad ascoltare, a sentire… La grande mamma Africa ti fa sentire parte di un disegno al di sopra del tuo controllo. Quando arrivi abbandoni lo zaino delle responsabilità, quelle non tue che ti porti sempre in spalla e tieni solo le tue cose. E’ quello che ho fatto io.

 

Cosa rappresentano per te l’Italia e il Senegal?

 

L’Italia è la mia storia passata, mentre il Senegal è la gioia, è la possibilità di godere di ciò che da piccola trovavo meraviglioso, come andare sul mulo, andare al pascolo, coltivare l’orto, correre nei prati, lungo il fiume, stare a piedi nudi, trovare meno bisogni e più certezze, anche se sembra impossibile. L’Africa ti regala la possibilità di partecipare al cambiamento, sapendo di poter fare meno errori, consigliando quindi la gente ad avvicinarsi con cura ai cambiamenti senza perdere la testa.

 

 

 

 

Come hai affrontato questo “salto” culturale e di vita?

 

Con tranquillità. Mi piace essere me stessa in ogni luogo, senza perdere la mia cultura e le mie idee, rispettando ovviamente quelle del Paese che mi ospita. Qui puoi permetterti di essere impresentabile, dislessica, bruttissima, nessuno ti dirà mai nulla. Ti guardano, fanno spallucce e muovono la testa, rassegnati a un’evidenza che vedono solo loro. Purtroppo i problemi vissuti qui non vengono capiti dall’altra parte del mondo e sei costretta a tenerteli per te. Ma i pensieri in Africa galleggiano, tornano su e vanno giù, pesano meno.

 

La popolazione senegalese come recepisce i tuoi sforzi?

 

Alcuni pensano che sia stupida, altri pensano che sia buffa, le donne pensano che sia davvero strana, gli uomini dicono di aver visto raramente una donna coltivare in mutande e fare il falegname e il muratore come fosse un uomo, i bambini pensano che sia come Mary Poppins. Mi vedono come una bianca non ricca, che si batte per riconoscere ad ognuno il diritto di sognare, una persona che se ti deve dire che sei st*** anche se sei nero, non si fa problemi perché si sente ugualmente pronta a sentirselo dire. Insomma alcuni mi scoraggiano, alcuni mi sostengono, altri sono invidiosi dei ragazzi con cui lavoro, altri vorrebbero approfittare. Certo non è sempre facile contraddire le istituzioni e trovare il modo di difendere i giovani dalla mafia, dalla corruzione, dallo sfruttamento degli ex coloni, degli investitori, ecc. Stiamo parlando di un Paese che ha ricevuto e buttato nel cesso migliaia di fondi per lo sviluppo, migliaia di opportunità mal gestite e perse nelle tasche dei vari ministri, governatori, militari, ecc…

 

Come si vive in Senegal?

 

Il costo della vita è inspiegabile, certi articoli sono molto costosi, come il materiale idraulico, la corrente elettrica, il gasolio, il cemento, l’acqua, mentre altri, soprattutto i generi alimentari, costano poco. Si mangia bene, si conduce una vita semplice ed economica, si hanno pochi bisogni e c’è molta fantasia, ci si arrangia e difficilmente non ci si cura dell’altro. La tradizione senegalese vuole la famiglia unita, che arriva a diventare un piccolo mondo indipendente, ognuno, dal più piccolo al più grande, ha dei compiti, delle mansioni e nessuno protesta, perché se hai un ruolo sei uno che conta, sei uno che sta crescendo e che sta imparando a vivere nella società, per cui è un privilegio. La gente è ospitale, ma ci tiene alla forma e alle tradizioni, per cui bisogna sapere ciò che si aspettano da te. E’ molto importante non dimenticare di rispettare gli anziani e di rivolgersi a loro per ogni evento e per ogni problema. Le donne al principio sono diffidenti, poi però cambiano atteggiamento e diventano inseparabili e scherzose, i bimbi sono timidi ma coraggiosi. Qui se ti trovi in difficoltà si fermano per darti una mano, difficilmente non trovano il tempo per ascoltare, “inschallah” (se Dio vuole), è la loro risposta a tutto. Qui regna il concetto che gli uomini sono come gli alberi e hanno sia le radici che le fronde che li uniscono, un concetto di legame universale che unisce gli uomini, l’armonia collettiva per il singolo benessere. Tutto questo in Italia non esiste, per questo la catena si spezza. Se tu dici ai bimbi ” laggiù c’è un cesto di dolci e frutta, chi arriva per primo lo vince”, loro si prendono per mano e arrivano insieme, dividendo il cesto fra di loro. Ho portato le fragole dall’Italia e le ho piantate, la prima che è nata l’hanno mangiata in sei !

 

 

Questo è sicuramente un grande insegnamento! Ma a tuo parere, qual è la difficoltà più grande del vivere in Senegal?

 

Condividere tutti i giorni la devianza straniera. Purtroppo gli stranieri stanziali fanno schifo, sono alcolizzati, fanno uso smodato di droghe pesanti, ci sono molti pedofili, ricchi e pensionati che approfittano delle giovani donne e dei ragazzini, fomentando bisogni in cambio di sesso o di servitù. Gli stranieri, se facessero in Italia ciò che fanno in Senegal, andrebbero in galera, forse. Relazionarmi con quella gente mi mette in difficoltà perché influisce sui miei rapporti con le istituzioni corrotte e mi porta a combattere contro le mie stesse radici. E’ vergognoso vedere come si comportano alcuni di loro. Con i barconi a vela arrivano molto vicino alle spiagge, dunque i bimbi non possono bagnarsi e i pescatori hanno difficoltà ad usare le loro piroghe, ci sono fabbriche di eternit, c’è il viagra, tutto ciò che in Italia è vietato arriva in Africa, a quintali, costa meno che disfarsene. I cinesi sono ovunque e danno lavoro per pochi centesimi al giorno, lavori del cavolo, come vendita di oggetti inutili e già rotti e questo rovina il mercato dell’artigianato locale. Molti senegalesi cambiano rotta, escono dal loro magnifico universo per diventare schiavi di un sistema marcio e complici della mafia russa, americana, inglese, francese, ecc. Vedere tutto questo mi mortifica e nello stesso tempo mi dà la forza di lottare per difendere con loro la loro terra, le loro abitudini, il loro meraviglioso cuore puro.

 

Come è vista secondo te l’Africa in Italia?

 

Come un popolo da aiutare, quando invece è tutto l’opposto. E’ l’Africa stessa che è in grado di aiutarti a capire cosa devi cambiare in te stesso, per vivere secondo la vita vera e vitale, per vivere secondo natura. Si pensa che siano indietro e invece sono stati i primi viaggiatori del mondo anche se da schiavi e come tali, hanno portato musica e arte in tutto il mondo, influenzando la cultura di molti Paesi. Qui si pensa che i bambini siano tristi e bisognosi, invece chi non sa cosa potrebbe volere non vuole, non conosce e non desidera. Sono bambini coraggiosi e forti che giocano con giochi ancora semplici come la palla, oggetto sempre tanto ambito. A questo proposito faccio un appello, se ci sono calciatori che vogliono donare tute, divise, scarpe, ecc, sono ben accetti. Questo chiedono: il pallone, le scarpe, i quaderni e le matite colorate. Si mangia insieme, si dorme insieme, si lavora insieme, si tiene la famiglia come nucleo sempre unito, come potere economico a risparmio. E’ vero che il Senegal è il Paese più ricco dell’Africa (sempre per inciso) e meno afflitto da malattie, ma è sempre Africa, con le sue morti inspiegabili, con la difficoltà a comunicare nei momenti di emergenza, con tanti ricchi quanti sono i poveri…. è la storia di tutti i popoli. Tanti casinò e hotel, residence e piscine, tante bidonvilles e indigenti, tante sette e tanto sfruttamento religioso. Tanti flussi economici che si perdono e di cui si perde l’obiettivo, forse un metodo per alleggerire la coscienza e scaricare le tasse. I veri problemi non vengono affrontati, come la piaga dell’aids, (qui vista non come una vera e propria malattia, bensì come una punizione inviata da satana per seminare panico); come la malaria, la cui fonte spesso è la mancanza di fogne, di disinfestazioni, di siccità, di inquinamento; come le coltivazioni massicce che impoveriscono il terreno; come gli abusi edilizi, la perdita di identità e di tradizioni.

 

 

Quindi, quale aspetto del Senegal pensi che possa essere migliorato?

 

Secondo me ci vorrebbe un maggior sviluppo delle attività imprenditoriali, femminili e di cooperazione sociale, ci vorrebbe più sostegno scolastico e attenzione allo sviluppo delle attività interne, sia agricole che di pastorizia e pesca. Ci vorrebbe più assistenza per l’igiene dei villaggi, per la pulizia e un sistema migliore di reti fognarie. Ci vorrebbe una maggiore informazione sulle sette che vendono ed espatriano i bambini nel mondo. Ci vorrebbe più riconoscimento nei confronti delle loro tradizioni, della loro lingua, della loro storia. Mi spiego meglio: mentre da noi il processo di avanzamento del progresso tecnologico avviene lentamente, da loro questo non succede. Ad esempio: loro da usare il tam tam per comunicare, passano direttamente all’ultimo modello di cellulare; lavano a mano fino a quando non avranno la lavatrice con asciugatrice; il giorno in cui avranno la tv, quest’ultima sarà grandissima e con schermo piatto. Non esistono vie di mezzo. Dalle stalle, direttamente alle stelle. Così avviene anche per le cattive abitudini. Bisognerebbe anche migliorare l’opinione che hanno dell’Europa e dell’occidente, perché è distorta dai senegalesi ritornati in patria, i quali raccontano di aver vissuto benissimo in Italia, pur essendo stati in 5 in una camera, pur avendo spacciato e pur avendo mangiato una sola volta al giorno. A loro manca il senso critico, mancano i parametri per decidere cosa è giusto da cosa non lo è. Ti faccio un esempio: un pedofilo francese, con villa sull’oceano, che gira in fuoristrada sulle spiagge dove le donne camminano con i bimbi per vendere la frutta, dove ci sono pescatori, dove ci sono mandrie di mucche. E’ uno di quelli che paga la polizia per mantenere il suo vizio nascosto ed è protetto perchè “fa del bene”, infatti, pur abusando di ragazzini, poi li aiuta, comprando loro ciò di cui hanno bisogno. A me certa gente dà il voltastomaco! Fortunatamente sono riuscita ad impedire ai miei ragazzi di familiarizzare con certe persone, anche se a volte è difficile prendere determinate iniziative contro questa gente, perché poi ti trovi a pagare un prezzo pesante come il sequestro del furgone, il blocco dell’attività, il furto della tv e addirittura la distruzione della capanna (reato punibile con 10 anni di arresto se la bruci e 5 se la distruggi). Insomma c’è tanto da fare e tanto da evitare. Bisognerebbe tenersi stretta la terra, comprendere la propria missione e lavorare per non cadere negli errori dell’occidente, difendere la propria lingua, la propria natura, cercare compromessi accettabili con il progresso, creare attività di commercio, di conservazione e trattamento del cibo, ricoltivare le risaie, favorire il commercio interno con mezzi di trasporto sicuri, pulire le strade e risolvere il problema dei rifiuti…..

 

Per quanto tempo pensi di restare in Senegal?

 

Per sempre, fino a che morte non ci separi! Qui ho un lavoro e ho delle responsabilità morali e spirituali. E’ il posto che mi ha guarita e sento che è casa mia. Anche quando vivevo in una capanna, sentivo di stare a casa, ora ho una casetta che funge anche da ufficio, dove si svolgono le riunioni di lavoro. I mattoni fatti da noi, il tetto di paglia sotto il quale non piove, i ranocchi che mi tengono compagnia, le piccole finestre con le tendine che si affacciano sull’agrumeto, le papaie, i fiori sempre coloratissimi, tutto questo per me è casa! L’altra casa sarà il posto dove mia figlia vorrà andare, solo allora mi prenderò una pausa dall’Africa.

 

 

C’è qualcosa che ti manca della tua “vita precedente”?

 

A volte mi mancano le amiche, talvolta mi mancano i momenti di confronto con chi ha condiviso con me pezzi di storia, anche se queste mancanze mi portano a raffinare altri canali che altrimenti sarebbero dormienti o assenti. Ogni tanto mi manca la birra con gli amici, il cinema, la passeggiata per le vie conosciute, i giri in bici nella notte in città. Ma le stelle e i tamburi e il fuoco, hanno di sicuro la magia che serve per dimenticare il vuoto che qui sento ogni giorno più spesso.

 

A cosa ti stai dedicando attualmente?

 

Stiamo producendo delle borse con la plastica raccolta nel villaggio e qui in Italia le facciamo cucire. Il mio intento è quello di trovare fondi per mettere i pannelli solari e utilizzare le macchine da cucire che ho portato qui con un container lo scorso natale. Il marchio, nato in Senegal, è “Plaztika”, noi organizziamo diversi eventi per la vendita e sul sito www.adeane.org è possibile trovare tutte le indicazioni. Qui organizziamo anche concerti per autofinanziarci, cene con cucina senegalese, corsi di autocostruzione di serre e orto, corsi di cultura africana con un griot senegalese e dei musicisti. Il prossimo mese arriveranno i primi tirocinanti e a fine novembre i dentisti COI. Siamo sempre pronti ad ospitare tutti coloro che desiderano venire a trovarci. I costi non sono alti, chiediamo un contributo di 30 euro al giorno che comprende vitto e alloggio, con camera, servizi, verdura dell’orto, polli e uova nostrani, frutta del frutteto, pesce direttamente pescato e pane e dolci fatti nel forno dal nostro panettiere. Organizziamo anche delle escursioni lungo il fiume e nelle isole. Naturalmente i formatori sono sempre ben accolti, sarebbe un motivo di scambio altamente utile per i ragazzi.

 

 

In cosa ti ha cambiata la permanenza in Senegal?

 

Mi ha fatto tornare bambina. Ho ascoltato le voci vere di una Silvia vera. Mi ha allontanato dalla prospettiva che avevo di insegnare, di comunicare e di trovare soluzioni a disagio, follia e cattive abitudini sociali. Mi ha dato una chance per capire e sentire veramente chi sono, quali sono i miei limiti e quali ostacoli sono pronta a superare. Mi ha dato l’umiltà di riconoscere le mie doti e i miei difetti senza vergogna, mi ha dato altre motivazioni e altre cose a cui pensare, come la religione universale, come il vero senso della vita, come dormire il sonno dei giusti, come sentire le emozioni come fossero organi, sentire gli organi come fossero pelle, insomma, mi sono sentita più ricca pur essendo diventata più povera. Sono diventata paziente e ascolto, forse sono diventata anche più calma e sicuramente più rilassata di fronte alle cose che mi hanno sempre terrificata, come le bollette, la burocrazia, gli oneri fiscali, le multe, le tasse, le marche e i bisogni indotti.

 

Se dovessi tornare in Italia, cosa porteresti nel cuore di quella terra?

 

Se dovessi decidere di tornare definitivamente, mi porterò il calore del sole e la luce dei tramonti, le voci dei bambini e le risate delle donne, mi porterò la potenza dell’oceano, il colore dei manghi, il dolce delle banane. Mi porterò la sensazione che la terra dove cammini sia una calamita che ti tiene sempre in piedi, il silenzio dei pescatori, la calma dei vecchi, il potere delle erbe, la consapevolezza dei bambini e la loro maturità, il rispetto per tutto ciò che esiste. Mi porterò la pietà per chi è più sfortunato e forse avrò nostalgia delle scimmie che attraversano la strada mentre cammino o forse delle stelle che creano una bolla tonda senza fine con te al centro. Mi porterò dietro anche la sensazione della sabbia sotto i piedi e l’odore del mare, i colori della foresta e i canti degli uccelli. Porterò con me la gioia di aver conosciuto grandi persone.

 

Chi era Silvia prima di partire per il Senegal e chi è ora Silvia?

 

Silvia ieri, oggi e domani sarà sempre alla ricerca delle cose vere. Prima ero in conflitto con alcune parti di me, oggi sono in conflitto con altre parti di me, domani probabilmente anche. Quello che accomuna noi “Silvie”, è la voglia di vivere in modo consapevole, sapendo che la strada che calpesti è la tua strada. Ieri ero assillata da cose a cui non riuscivo a stare dietro, oggi sono assillata da cose che mi stanno davanti. Volendo, invertendo il senso di marcia, siamo uguali, cambia la prospettiva di vita. Oggi ho eliminato cose inutili e rinunciato a certi agi a cui ero abituata, ma di sicuro mi sento in grado di vivere, perché mi trovo in un posto al mondo in cui sento la terra, ascolto le piante crescere e tengo in memoria le cose e le persone nel cuore, non nell’agenda. Silvia era sempre in mezzo a mille riunioni, tra lavori finti e dispendiosi di energie, tra soldi pubblici e privati, era coinvolta in istituzioni malate e rigide, in luoghi che non cercano soluzioni e risoluzioni, ma problemi e insabbiamenti. Oggi ho i polli da carne e da uova, le galline hanno un nome e anche le piante, i montoni, l’asino, come anche tutti noi abbiamo un nome, un nomigliolo, un suono, un gesto e siamo tanti e uno. Oggi io sono Silvia, consapevole che fare arte e coltivare in mezzo alla foresta è un gesto unico come una pennellata di colore su una tela bianca.

 

www.adeane.org

 

ja********@gm***.com

 

 

A cura di Nicole Cascione

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