Turisti o viaggiatori?

 

Sono già passati tre anni dal nostro primo viaggio attorno al mondo.

 

A luglio 2010 infatti, partimmo per un anno e passammo sei mesi tra sud e centro America e altri sei mesi in Oriente con poi, rientro in Italia. Prima di partire, avevamo trascorso un anno circa risparmiando ogni centesimo possibile per comprarci un biglietto One World (biglietto con cui ci si assicura la visita di 2/3/4 continenti, alcuni voli intermedi, nonché il rientro nel paese di origine) ma soprattuto per poterci permettere di viaggiare con autobus notturni provvisti di cuccetta/bagno/colazione, di dormire ogni notte in ostello, e di fare tutte le escursioni desiderate nei posti più belli della terra oltre che, chiaramente, di mangiare.

 

Non a caso, tornammo in Italia senza nemmeno un euro in tasca. Ma per me e Pierluigi i soldi non sono mai stati importanti; proprio per questo, stavolta, abbiamo deciso di ripartire senza denaro e quindi abbiamo dovuto trovare modalità completamente diverse di viaggiare. Non avevamo, non abbiamo, ma soprattutto non avremo mai nessuna certezza: nessuna copertura medica, nessun volo di ritorno, nessun lavoro e dunque nessuna entrata, nessuna casa di proprietà, nessuna rendita, nessuna macchina, ma soprattuto nessuna pensione che ci aspetti in futuro. Un’unica certezza: ripartire. Sposare il nomadismo come stile di vita. 

 

"Il nomadismo e’ l’unica forma di vera conoscenza del mondo e chi non ha mai camminato non sarà mai un vero nomade". 

 

Fu così che, prima di partire ripensammo ai tipi di spese a cui eravamo andati incontro tre anni prima, e potemmo osservare che le si potevano riassumere in quattro voci: trasporto, alloggio, escursioni e cibo. È stato così che abbiamo trovato un modo per eliminarle quasi tutte: la bici ha sostituito i lussuosi autobus, la tenda ha sostituito gli ostelli, infine di escursioni non sentiamo il bisogno visto che ogni giorno viaggiamo pedalando per ore immersi nella natura più selvaggia e nella bellezza più incredibile del pianeta. Non è rimasto che il cibo, per pagare il quale, ci siamo sempre detti che avremmo trovato qualche lavoretto da fare in giro per il mondo o avremmo imparato a produrre e vendere qualcosa di nostro; proprio da qui nacque l’idea di apprendere l’artigianato macramè, ovvero la lavorazione del filo incerato con cui produciamo braccialetti, cavigliere, collane, portachiavi, rosari, orecchini, mandala e molto altro garantendoci non solo il cibo, ma anche eventuali alloggi in camping quando, per forza di cose, dobbiamo passare da posti estremamente turistici o nelle grandi città.

 

Ripercorrendo il passato e soprattuto vedendo ciò che stiamo facendo ora (bici-tenda-fornellino da campo) dobbiamo ammettere che il viaggio di allora fu molto diverso da quello attuale; in particolare, seppur per noi fosse un viaggio-avventura visto che da sempre eravamo i classici italiani abituati alle sole vacanze-villaggio-all inclusive in pieno agosto, si rivelò essere molto più turistico del previsto. Seppur non arrivammo a spendere più di 15$ giorno (escludendo le escursioni naturalmente) è evidente a tutti che muoversi alloggiare e vivere senza un lavoro, in paesi del secondo e terzo mondo dove la gente ancora affronta problemi di fame, igiene e sanità, vuol dire avere le possibilità economiche di farlo: coloro che, con noi prendevano autobus a 150$ a tratta, alloggiavano in ostelli a 7/8$ a notte e non esitavano a farsi le escursioni più belle consigliate dalla Lonely Planet, non potevano che essere turisti internazionali che si avvalevano di una moneta forte.

 

 

La nostra scelta dunque, è stata quella di fare un passo avanti, di evolverci e distanziarci dal concetto di turista, per arrivare finalmente al concetto che ci piace e a noi più si confà, che è quello di viaggiatori. All’inizio la cosa mi spaventava abbastanza; a parte aver messo in conto la fatica che si possa fare nel trascinare in giro per il mondo una bicicletta carica di ben 40/45 kg, uno non ha un’idea concreta di cosa lo aspetta finché non lo prova sulla sua stessa pelle. Viaggiare in bicicletta significa andare lentamente da un paesino all’altro, fare mediamente 80 km giorno e arrivare senza sapere dove potrai montare la tua tenda, se potrai farti una doccia, cosa troverai da mangiare e come ti tratteranno le persone. Molti dubbi e nessuna certezza: proprio quello che auspicavamo, con tutti i timori e le gioie del caso.

 

Quello che abbiamo scoperto io e Pier viaggiando in bicicletta ha dell’incredibile.

 

Viaggiare in bicicletta vuol dire non essere un turista ma un vero viaggiatore, un nomade, un pellegrino che si muove su una terra sconfinata e difficile come l’Argentina, senza paura di rimanere esposto agli elementi della natura e per questo già di per sé degno del più assoluto rispetto nonché di tutto il supporto morale e materiale di cui possa aver bisogno.  Vuol dire scoprire il mondo proibito al turista che paga: vuol dire andare al mercato con i locali e comprare le stesse cose allo stesso prezzo che pagano loro; si avete capito bene, spesso ai "turisti" vengono applicati prezzi più alti poiché, facilmente riconoscibili, si ipotizza che se stanno viaggiando è perché si possono permettere di non lavorare e dunque di sborsare i loro bei soldini. Vuol dire dover imparare la lingua locale o sei tagliato fuori, vuol dire essere sempre pronto a chiedere informazioni, vuol dire dipendere dalla benevolenza altrui, vuol dire confidare nel disegno divino e nella sua perfezione affinché non ti accada nulla di male. Viaggiare in bicicletta vuol dire credere nella bontà e nella compassione della gente; vuol dire essere sicuri che la gente è prevalentemente buona, che ad un sorriso ti restituisce un sorriso, che al tuo aver bisogno, non negherà il suo aiuto perché sa che verrà ricompensata in altro modo (è la legge del Karma). Viaggiare in bicicletta vuol dire entrare nella case delle persone che, come noi, confidano nella provvidenza e non fanno prevalere la diffidenza all’amore, alla condivisione, vuol dire essere adottati da famiglie intere, trovare dei nuovi nonni, dei fratelli, degli amici che non dimenticherai mai e che mai ti dimenticheranno anche se con loro non hai condiviso più che una chiacchiera durante la cena.

 

 

Vuol dire rimontare in groppa alla tua bici, il giorno dopo, con la gente che ti "ringrazia" per avergli fatto visita, che ti ricorda per l’ennesima volta che la sua casa è la tua casa, che le porte per te saranno sempre aperte qualunque sarà il momento in cui vorrai tornare e che, per finire, ti chiarisce che, l’unica condizione a cui potrai tornare sarà quella di fermarsi più tempo con loro, perché di te hanno apprezzato tutto e non vedono l’ora di poter continuare a condividere ed evolvere in tua compagnia.

 

Viaggiare in bicicletta vuol dire scoprire un mondo migliore, un mondo nuovo, quello che tutti pensano si sia ormai perso dal dopo guerra in poi; quel mondo dove tutti si aiutavano perché non si erano ancora dimenticati che siamo tutti una cosa sola, perché l’individualismo, la diffidenza, la paura, la ragione, non avevano ancora prevalso sul cuore, sullo spirito. Viaggiare in bicicletta non è solo viaggiare ma è vivere una vita diversa, nuova che non avresti mai sognato, ma soprattuto è catapultarsi in una realtà che non avevi mai conosciuto e che, si ti avessero raccontato, avresti stentato a credere. Io viaggio in bicicletta, sono una nomade, una pellegrina, per questo il mio mondo è molto più bello di quello che tutti conoscono o raccontano di conoscere.

 

 

Melissa e Pierluigi

www.theevolutionarychange.com

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