Francesco, 36 anni, cardiologo a Brooklyn

 

Scarsità di posti di lavoro, condizioni retributive più allettanti, maggiori opportunità in ambito professionale, sono solo alcuni dei motivi che spinge i medici italiani, delusi dalla situazione del Bel Paese, a spostarsi oltre confine, alla ricerca di un posto in grado di offrire loro una maggiore stabilità e una maggiore valorizzazione dal punto di vista umano e lavorativo. Tra i tanti che hanno scelto di svolgere questa professione all’estero, abbiamo incontrato Francesco Rotatori, 36 anni, medico specializzato in Cardiologia in Italia, che vive e lavora dal 2005 a Bay Ridge, a Brooklyn e che ha accettato a raccontare la propria testimonianza. Francesco ha appena terminato la fellowship in Cardiology e attualmente sta seguendo un anno di interventional Cardiology.

Francesco in che modo sei riuscito ad accedere al mondo sanitario americano? Qual è l’iter da seguire?

L’iter ufficiale (che io ho seguito) è il seguente:

1. Iscrizione al sito di ECFMG, ente che si occupa di equiparare lauree estere con quelle americane.

2. Richiedere i documenti (in inglese) dall’Università italiana.

3. Esami da sostenere:

 

USMLE step1 (esame di 9 ore a domande multiple choice che riguardano le materie del nostro primo triennio di università)

USMLE step 2 CK (sempre 9 ore, sempre mutiple choice, domande sulle "cliniche", tipo il secondo triennio)

USMLE step 2 CS (prova pratica con finti pazienti per dimostrare la conoscenza della lingua e del sistema medico americano)

USMLE step 3 (questo si può fare più avanti, durante la residency e serve per avere la Licence)

 

4. Una volta che sei ECFMG certified, puoi iscriverti ai concorsi di ammissione alle residency. Scegli gli ospedali che ti interessano, mandi le application attraverso un sito online e se sono interessati a te, ti invitano per il colloquio. Un complicatissimo sistema di "match", che avviene una volta all’anno (a Marzo), determina se sei assunto o meno.

 

5. La Residency (a seconda delle specialità) dura dai 3 ai 5 anni. Se vuoi fare qualche sub-specialy (come Cardiologia, cosa che ho fatto io), con lo stesso processo dopo la Residency cerchi di essere preso ad una fellowship (da 1 a 5 anni).

                                        

6. Se sei sopravvissuto a questo, puoi cominciare a cercare lavoro. Il problema della VISA è presente per tutto il processo, perché alcune institution non sponsorizzano visti e tanto meno carta verde. Quando il training è terminato si può andare a lavorare in una underserved area e dopo tre anni ti sponsorizzano una green card.

 

Ora, conosco persone che sono riuscite a tagliare un anno qua e là (per meriti acquisiti in Italia, sponsorizzati da professori americani), ma i dettagli mi sono oscuri. Discorso diverso è invece se si vuole venire a fare una fellowship per poi tornare in Italia. I punti da 1 a 3 sono gli stessi, ma poi si va direttamente per una fellowship. Qui contano le connection tra professori italiani e americani.

 

 

Com’ è organizzato il sistema sanitario americano?

Il sistema sanitario come tutti sanno è molto diverso e questo crea molte differenze anche nella professione. In generale, il medico in America è più retribuito, anche se ci sono differenze geografiche, a volte difficili da capire. Per esempio, una città come New York, che ovviamente ha un costo della vita molto più alto se comparato al Minnesota, ha dei salari per i medici più bassi (c’è maggiore competizione, tutti vogliono rimanere a New York, nessuno vuole andare nel Midwest!). Per quanto riguarda la qualità del lavoro, per quello che ho visto, è sicuramente migliore. Innanzitutto il training: il sistema di residency-fellowship dopo la laurea (che dura da un minimo di 3 ad un massimo di 7-8 anni) è sicuramente impostato meglio rispetto all’Italia e forma medici capaci di essere indipendenti fin da subito, dal punto di vista teorico ma soprattutto pratico. Poi c’è il lavoro vero e proprio: qui ci sono diverse figure. Una possibilità è quella di lavorare (salariato) per una institution (grossi centri come la Columbia a New York o il Mount Sinai); in questo caso la medicina è veramente ad alto livello e c’è facile accesso alla ricerca (con fondi federali) e clinica all’avanguardia. Il salario non è particolarmente alto (anche qui la competizione detta legge). Oppure si può lavorare come private practice: anche questo settore lo trovo interessante, in quanto il medico diventa anche manager e crea un equipe di persone che lavorano per lui (tecnici, infermieri ed altre forme professionali che non esistono in Italia, come physician assistant, medical assistant, etc…). Si crea un vero e proprio business, in cui il medico è "responsabile". Un lavoro molto gratificante per certi versi.

Che differenza c’è tra la professione medica svolta in Italia e quella svolta in America?

Qui negli States il rispetto nei confronti del medico come professionista è alto, tuttavia devo dire che un’altra differenza con l’Italia, in questo caso negativa, è la presenza nel campo medico di tantissimi avvocati che pubblicizzano (anche fuori dagli ospedali) battaglie legali per denunciare medical malpractice. Ora, non voglio dire che un medico negligente non debba essere penalizzato, purtroppo però, soprattutto in aree povere come in quella in cui lavoro io a Brooklyn, questo sistema è visto come un modo per persone in difficoltà, di cercare di ottenere un vantaggio economico. Un buon avvocato può sempre mettere in difficoltà un medico che ne sa poco di tribunali! Il risultato finale è che il medico si tutela comprando un’assicurazione per malpractice costosissima e, per recuperare i soldi di questi investimenti, il costo del medical care incrementa (e chi ci rimette sono i pazienti!).

 

 

Esistono anche lì tutti quei meccanismi che non premiano la meritocrazia?

E’ fin troppo banale affermare che in America va avanti chi vale. Aggiungerei però alcune cose, in primis il sistema della raccomandazione. In Italia è inteso come forma di favoritismo sotto banco tra persone che si conoscono, qui invece è presente alla luce del sole. Non c’è domanda che puoi mandare per residency, fellowship o lavoro, senza presentare 2 o 3 "lettere di raccomandazione" scritte da chi ha lavorato con te e ha apprezzato il tuo lavoro, prendendosi così la responsabilità di quello che afferma. Mi spiego, se io raccomando un medico per una posizione in ospedale e quel medico si rivela un fallimento, ci rimetto anche io. Raccomandando qualcuno ci metto il mio prestigio, quindi non conviene raccomandare parenti o "amici" se non ne vale veramente la pena. C’è da dire comunque che le lettere di raccomandazione sono solo un fattore nella scelta dei candidati, ovviamente subentrano altri fattori oggettivi, come gli esami conseguiti o personal statement o interview dirette. Secondo: purtroppo per chi viene dall’estero c’è un po’ di discriminazione. Per essere presi in una residency nelle università più famose è necessario aver frequentato la med school in America (conosco rarissime eccezioni). In un certo senso è chiaro che questi studenti americani che spendono cifre esorbitanti per le med school (40-50 mila dollari all’anno almeno per 4 anni) vengano tutelati dal sistema, così che non rimangano "a piedi". E’ anche vero però che (anche in questo caso) ci sono differenze geografiche e che, anche se cominci la residency in un ospedale meno "famoso", se sei bravo e ti fai valere puoi completare la formazione in posti sempre più di prestigio.

Se avessi l’opportunità di tornare in Italia lo faresti?

Se ci tornerei? In vacanza sempre, in pensione pure, a lavorare penso proprio di no. E comunque, una volta tagliati i ponti, come ci torno in Italia?

 

A cura di Nicole Cascione

 

Per trovare lavoro all’estero come medico visitate: Voglio Vivere Così

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