Marco, da sette anni a Reading (UK)

 

Marco, trasferitosi a Reading in Inghilterra ormai da sette anni, lavora nel settore informatico presso la Dell. La sua è stata una scelta di vita dettata dalla drammatica situazione economica italiana, che spinge ogni anno, molti giovani a trasferirsi all’estero. Sono tanti gli aspetti che il nostro Paese dovrebbe apprendere da un Paese estero e Marco ne illustra alcuni nell’intervista che segue. Ha anche creato un sito: www.readitalians.org, nel quale descrive la città, illustrandone alcune particolarità e caratteristiche.

 

Marco, vivi a Reading da ormai sette anni e nelle informazioni che ci hai inviato, mi è piaciuta molto la tua affermazione: “L’Inghilterra non è solo Londra (per fortuna)”. Perché quel “per fortuna”?

 

Londra è di certo una bellissima città, ma è incredibilmente molto cara e caotica. Prendere la tube in certi orari è un’esperienza “drammatica” (certe volte più di Roma, anche se devo dire che ne passano veramente tantissime: una al minuto nell’ora di punta). Reading è più a misura d’uomo.

 

Ci racconti qualcosa del percorso che ti ha portato a vivere e a lavorare in Inghilterra?

 

Dopo aver cambiato vari lavori nell’ambito IT e aver vissuto un periodo di cassa integrazione e disoccupazione, ho accettato un contratto per la Prefettura di La Spezia (tramite le solite catene di caporalato informatico) ed ho avuto l’opportunità di poter lavorare per la LANDesk nei pressi di Reading. Un po’ per scommessa ho deciso di inviare il curriculum e, dopo alcuni colloqui telefonici, mi hanno pagato un biglietto per andare a sostenere il colloquio finale. Al termine del colloquio (10 minuti) mi hanno offerto il lavoro e fatto firmare il contratto.

 

Al tuo arrivo cosa ti aspettavi di trovare?

 

Mi aspettavo di fare una bella esperienza di un anno… ora sono qui da 7. Ci sono stati alti e bassi nella mia carriera, ma alla fine non tornerei mai indietro. Nel mio settore solo i dirigenti (Vice President) hanno la segretaria, tutti gli altri si fanno le fotocopie ed il caffè per conto loro.

 

Attualmente lavori in Dell e ti occupi di training. Prima ancora per chi lavoravi?

 

Lavoravo per la LANDesk Software e facevo il Technical Leader per il supporto EMEA.

 

 

Dopo 6 anni ti sei dimesso e hai cambiato azienda. Una cosa impensabile in Italia. Perché all’estero invece è ancora possibile scegliere il proprio lavoro?

 

Non è tutto rosa e fiori! Sono partito avvantaggiato avendo un altro lavoro che non rischiavo di perdere ed ho meticolosamente guardato ad altro. Ci ho messo un anno o poco più a trovare l’azienda giusta che mi offrisse la mansione desiderata e lo stipendio giusto. Dopo vari colloqui (alcuni assurdi..altri li ho “droppati” io) sono andato in vacanza per due settimane ed al mio ritorno ho trovato due contratti da firmare. Ho scelto Dell perché mi sembrava la migliore (e forse lo è). Qui c’è molta più flessibilità nel mondo del lavoro e quindi movimento di persone. Chi sta troppo a lungo in un’azienda senza mai cambiare mansione o azienda stessa non è “visto bene” dal mercato. Oltretutto c’è molta meno discriminazione sull’età.

 

Ormai hai ottenuto la cittadinanza inglese. Hai tagliato del tutto i ponti con l’Italia?

 

Sto pensando di rinunciare alla cittadinanza italiana anche se non sono obbligato a farlo, ma lo vorrei fare come gesto di protesta per molte cose che veramente mi fanno star male solo a pensarci. Anche se è un gesto di protesta costoso: 200 Euro + spese accessorie. Ho ancora i miei genitori in Italia e molti amici, ma non mi sento molto italiano (già da prima di venire in UK): penso di aver dato abbastanza allo Stato in termini di incazzature, di tasse ed un anno della mia vita in una caserma operativa (il militare di leva vero, modello Parà). Penso che lo Stato in cambio mi abbia costretto all’esilio per sbarcare il lunario: non ne posso più di COCOCO, del Partitaivismo, dei contratti fittizi…io sono una persona seria e ve ne potrei raccontare delle belle in materia.

 

A livello sociale e professionale cosa ti ha offerto Reading?

 

Socializzare con gli inglesi è complesso: secondo me hanno un concetto dell’amicizia molto “light”. Ho stretto ottime amicizie con i colleghi (era un team internazionale di francesi, svizzeri, austriaci, ungheresi, spagnoli [il mio director] ed italiani). Ho stretto amicizie anche al di fuori del mondo del lavoro con altri italiani, francesi e greci ed una ragazza svedese/inglese. Reading non è molto “ridente”, ma ha il vantaggio di essere ben localizzata: col treno vai quasi dove vuoi. E’ un importante snodo ferroviario.

 

Mi hai raccontato di non avere alcuna laurea eppure lavori alla Dell. Questo vuol dire che ci sono buone prospettive lavorative anche per tutti coloro che non hanno il famigerato “pezzo di carta”?

 

Secondo me sì: almeno nel mio settore, se dimostri di avere la competenza (certificazioni di settore per l’IT) e l’esperienza, la laurea non è fondamentale. E comunque, la sola laurea non basta, ma esistono vari “graduate program’’ per fare esperienza (stage), che però dovrebbero essere di norma retribuiti.

 

Come si vive a Reading?

 

Bene direi. Non è grandissima però ha i sui vantaggi. È ben collegata con Londra (25/30 minuti di treno). Inoltre, ha molto verde e si possono fare delle bellissime passeggiate lungo il Tamigi: ci sono interi sentieri pedonali che collegano le varie città della valle del Tamigi. Spesso vado da Reading ad Henley o Sonning a piedi quando c’è bel tempo. A tal proposito ho creato un sito www.readitalians.org, in cui parlo della città.

 

Quali sono i pro e i contro del viverci?

 

Pro:

  • Ben collegata

  • Non carissima

  • Ci sono alcune aree per lo shopping molto fornite

  • E’ a misura d’uomo

  • I politici locali ti ricevono personalmente per ascoltare i tuoi problemi

  • Ci sono bellissimi sentieri lungo il Tamigi che collegano tutta la vallata: per coloro a cui piace il trekking è un paradiso

  • Ci sono degli ottimi rowing club e club di canoa che costano pure poco

  • Negozi aperti anche la domenica, supermercati (alcuni) aperti 24h

Contro:

  • La domenica sera è un mortorio!

  • I posti dove andare a divertirsi (se non ti piace ubriacarti a morte) sono limitati.

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Cosa ci racconti della realtà inglese? E in generale cosa dobbiamo imparare dall’estero e cosa invece l’estero dovrebbe imparare da noi italiani?

 

Ehh…qui ci vuole un libro! Dovremmo imparare ad accendere il cervello e a pensare di più. Verificare i fatti che la stampa ci propone e seguire meno il calcio (oppio del popolo italiano) e più le notizie.Dovremmo imparare che Stato italiano e Stato Vaticano sono due cose ben diverse e che qui non esiste l’8 per mille e che i preti non sono stipendiati dallo stato. L’arcivescovo di Canterbury ed i suoi emissari non stanno in TV a dirci ogni 5 minuti cosa ne pensano delle decisioni del governo.

 

Dovremmo imparare che le leggi qui si rispettano e che si finisce in galera se si mente alla polizia: recentemente un politico ha affermato il falso in merito ad un episodio e per questo andrà in prigione. In Italia invece un certo signore (e non solo lui) da più di 20 anni…

 

Dovremmo osservare che qui esistono pochissimi albi professionali, ma molte associazioni professionali.

 

Dovremmo imparare che qui le persone si chiamo Mr. o Miss. e non Ing. Dott. Prof. Geom.: il nome della persona e non la professione! Qui dottore è solo chi ha un dottorato e Prof è colui che è a capo di un dipartimento dell’università. Semmai qui i titoli seguono il nome (post nominal letters), ma si scrivono solo sui curriculum o su documenti molto formali.

 

Dovremmo imparare a essere più tolleranti verso gli stranieri in un modo totalmente diverso da come lo intendiamo in Italia. Tolleranza non vuol dire ‘buonismo spinto, tutto permesso’ qui è un po’ diverso: ci sono regole ben precise per l’immigrazione e anche un po’ troppo ferree, ma molta meno discriminazione. E’ addirittura vietato chiedere nei colloqui di lavoro età, religione o stato civile.

 

Dovremmo imparare a non trattare un quarantenne in cerca di lavoro come uno zombie sfuggito alla cremazione.

 

Dovremmo iniziare a pensare che (piccola goccia nel mare) qui di motorizzazione civile ce n’è solo una, che in 10gg ti rilascia la patente per posta (si fa tutto per posta) e che in Italia ce ne sono tantissime e ci mettono mesi e mesi per fare delle semplici cose.

 

Dovremmo imparare che qui la POLIZIA fa la POLIZIA ovvero si occupa del crimine (con fortuna alterna) e non esiste la polizia amministrativa: personale armato che passa il tempo a mettere timbri e ricevere il pubblico. Non ci sono le file ai commissariati per nessun motivo.

 

Dovremmo pensare che qui non esistono certificati di nessun tipo se non quelli di morte e nascita, eppure le cose funzionano lo stesso.

 

Dovremmo pensare che con una manciata di persone comparate all’Italia la Bank of England tira avanti.

 

Dovremo pensare che non esistono marche da bollo e si fa tutto per posta: le pubbliche amministrazioni accettano carte di credito od assegni personali se c’è da pagare una tassa.

 

Secondo me siamo arrivati in Italia alla “Sindrome di Stoccolma”, nel senso che stiamo iniziando a giustificare l’esistenza di strutture borboniche come l’ACI, le motorizzazioni, le circoscrizioni, le prefetture, i comuni e le provincie che vomitano certificati e succhiano soldi, come strutture necessarie a dare lavoro alle persone…una sorta di assistenzialismo. Ma non vi ricorda molto la Grecia!?!? Non si può continuare così e creare lavori utili per mantenere uno Stato di burocrati che generano solo carta straccia. Perché non ci chiediamo come mai con un numero nettamente inferiore di dipendenti il Tax Office risponde al cittadino per lettera in media in meno di due settimane?!?!

 

 

Gli inglesi invece, cosa dovrebbero imparare da noi?

 

A cucinare!! A non mettere il pollo sulla pizza e mangiare schifezze assurde.

 

A capire che ci si può divertire anche senza spaccarsi di alcool e vomitare per strada il venerdì sera.

 

Ad essere meno flemmatici nei bar: per prendere un caffè ci vuole un sacco di tempo.

 

Ad avere più elasticità mentale e più “self awareness’’: a volte vedi impiegati nelle banche e nei negozi che non sanno neanche perché stanno lì. Per fortuna che hanno il cartellino con il nome sopra…così almeno non se lo dimenticano.

 

Credi che qui in Italia ormai, oltre che carenza di lavoro, ci sia anche assenza di stimoli?

Assolutamente sì: penso che la gente si sia veramente esaurita di subire i CO CO CO , CO CO PRO, rapporti di lavoro mascherati con partita iva e lettere di dimissioni firmate in bianco. L’abuso di questa pratica ha raggiunto livelli vomitevoli che demotivano le persone. La burocrazia e lo stato vorace di tasse schiacciano la persona: qui per aprire una società si fa tutto per posta, costa circa 12 sterline e ci vogliono meno di 10 giorni: non c’è bisogno di nessun NOTAIO. Un giovane (o vecchio), con un minimo investimento, può mettere in pratica la propria idea…se va va…se non va…ci ha investito molto poco. Ai liberi professionisti che fatturano un massimo di 79mila sterline annue non è richiesta nessuna partita iva (chiaro che pagano le tasse lo stesso!) [fonte: www.hmrc.gov.uk/vat/start/register/when-to-register.htm ]

 

Dopo 7 anni quali sono le considerazioni sulla tua vita all’estero?

 

Dopo sette anni l’Italia appare lontana, borbonica e in default mentale. Purtroppo anche molti giovani sono vecchi dentro, si parano dietro i loro titoli altisonanti (tutti Dottori) o appartenenze ad improbabili quanto vetusti Ordini o titoli professionali. Sembra di essere in un film di Fantozzi, Ingegnere…geometra.. viene da ridere. C’è ancora troppa influenza della Chiesa nella società e purtroppo c’è ancora molta mentalità mafiosa. Secondo me la mentalità mafiosa non è solo quella del boss e dei suoi picciotti, ma anche quella dell’impiegato che si presta a timbrare i badge altrui per estendere la pausa pranzo o coprire le assenze o anche chiudere un occhio su molte illegalità, tanto una mano lava l’altra…è qualcosa che fa ormai parte del DNA degli italiani medi.

 

Tra i ricordi di una vita italiana ed uno sguardo al futuro, dove ti piacerebbe vederti un domani?

 

Non saprei…forse proprio qui, anche se mi piacerebbe molto fare un’esperienza in Asia (Hong Kong), ma di un solo anno. Chissà che poi non mi piaccia pure lì e decida di rimanere..

 

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A cura di Nicole Cascione