La bolla immobiliare ha “partorito” città fantasma nel mondo

 

 

Durante gli ultimi dieci anni l’economia di molti paesi è stata mantenuta sotto perfusione grazie a un debordante sviluppo immobiliare.

 

Poi la bolla è esplosa in tutta la sua violenza e dal 2007 l’attività di molti promotori, lanciatissimi in vasti progetti d’espansione, si è bloccata di colpo, quando non ha causato la bancarotta per vie direttissime. Dall’altro lato, numerose famiglie prendevano a poco a poco la strada del “super-indebitamento” finendo sepolte da montagne di debiti.  Risultato: urbanizzazioni, ovvero mini-città, semi finite e quasi deserte disegnano i connotati di zone periferiche in molti paesi europei.

 

Un interessante reportage pubblicato dal magazine online Journaldunet, dà un volto a queste città fantasma che, dalla California alla Mongolia, passando per Spagna e Irlanda, sono affiorate alla superficie dall’esplosione della bolla immobiliare che ha scosso il primo decennio del nuovo secolo.

 

L’America, da cui pare tutto sia partito intorno al 2006/2007, ha la sua città simbolo: Stockton. Questa città sita in California aveva certo altre ambizioni che quelle di divenire il simbolo del crollo dell’immobiliare – e della rovina di migliaia di famiglie – negli Stati Uniti. Nel 2000, approfittando di un andamento particolarmente favorevole del mercato, numerose famiglie hanno iniziato a comprare qui i loro immobili indebitandosi con molta facilità. Con l’esplosione della bolla, la città è diventata – oltreché sempre più vuota – il simbolo degli sfratti coatti per impossibilità di pagare il mutuo, al ritmo di una casa requisita su 10 nel 2010. Anche a Detroit, la culla dell’industria automobilistica, si sono rivelati nefasti gli effetti non tanto della bolla quanto della crisi economica. Il tasso di disoccupazione nel settore automobilistico tocca il 19,6% (dati del 2012) e sono numerosi gli alloggi rimasti vuoti a causa della fuga verso altri Stati per cercare lavoro. La dicono lunga i dati sulla confisca di appartamenti nella “città dei motori”: a settembre del 2012 le banche possedevano ancora 5.000 alloggi, finiti nelle loro casse per l’impossibilità di pagare da parte dei proprietari.

 

 

Quando si parla di bolla immobiliare in Europa, il pensiero corre immediatamente a Spagna e Irlanda. Questi paesi dieci o quindici anni fa crescevano economicamente a ritmi vertiginosi, godevano del pieno impiego e di uno sviluppo immobiliare che depositava gruppi di case sul territorio con la stessa facilità con cui si piantano le patate. I due paesi, dove fino a pochi anni fa si urlava ai quattro venti al “miracolo economico”, vivono oggi una profonda crisi economica, politica e sociale, dalla quale non si sa come si rialzeranno. Sono due i nomi spagnoli che resteranno indelebilmente legati al tragico fenomeno delle “cittadelle fantasma”. La prima, Seseña, a quaranta chilometri circa da Madrid, incarna molto bene le manie di grandezza del suo promotore: il costruttore Francisco Hernando. Rovinato dalla crisi nel 2008, Hernando fu costretto a far spegnere i motori alle ruspe occupate a costruire un insieme di 13.500 alloggi nell’urbanizzazione che aveva nominato “Seseña la nuova”. Dei 3.500 alloggi terminati pochi sono abitati, mentre le due statue raffiguranti i genitori del costruttore si ergono in modo beffardo sulla piazza principale dell’agglomerato, dove nessun bambino probabilmente giocherà mai al pallone. La seconda, Valdeluz, fu costruita nella provincia di Guadaljara, in teoria per dare alloggio a 30.000 persone, ma non è abitata da più di 1.200 anime (dati del 2011). La prossimità di Madrid (60 chilometri) non ha giocato a favore; il probabile arrivo di una stazione del treno ad alta velocità, la costruzione di un enorme centro commerciale sono soltanto promesse rimaste lettera morta e la costruzione della cittadella, iniziata nel 2004, si è bloccata nel 2008.

 

In Irlanda la furia costruttiva ha creato numerosi villaggi, cittadine e cittadelle soprattutto nelle aree del Nord Est. Con un termometro dei prezzi che segna temperature da brivido – pari a -50% per le costruzioni nuove rispetto all’apice registrato nel 2007 – gli esempi del mal uso di cemento e mattone sono sotto gli occhi di tutti, tanto che le autorità stanno meditando di far abbattere questi appartamenti a schiera e non pensarci più. Keshcarrigan, dove una villa con quattro camere da letto viene offerta attorno ai 100mila euro, era stata lanciata come vasto progetto di sviluppo immobiliare. Con il fallimento dei numerosi promotori coinvolti, molte delle costruzioni in fieri sono rimaste incompiute. Galway nella provincia di Connacht, si estende per oltre 6.148 mq. Dal 2007 i prezzi sono precipitati a meno 45% e molti dei quartieri rimasti vuoti hanno già assunto un aspetto spettrale. In altre zone del paese l’abbandono dall’oggi al domani ha creato veri e propri problemi di sicurezza pubblica. È notorio, infatti, il caso del bambino di due anni che a Midlands, altra città fantasma di Athlone, perse la vita scivolando in un fossato rimasto aperto. Nel 2010 erano circa 33.000 gli alloggi vuoti registrati dal Ministero dell’Ambiente.

 

Che la Cina sia sull’orlo di sperimentare una bolla immobiliare è una di quelle notizie che circolano già da qualche tempo. Lo lasciava intendere molto chiaramente qualche mese fa Jim Chanos in un’intervista rilasciata al magazine di CNNMoney (www.cnnexpansion.com/economia/2012/05/03/pronto-burbuja-inmobiliaria-china-chano). Secondo il presidente di Kynikos Associates, società d’investimenti hedge molto presente nel paese del dragone, i Cinesi e gli investitori stranieri dovrebbero tenersi pronti all’esplosione della bolla, che non tarderà ad arrivare. I segni? Quelli classici: si costruisce a ritmo troppo inteso e si comincia a vendere meno, mentre i calcoli del PIL – su cui si basano le decisioni degli investitori – effettuati dalle autorità cinesi non tengono conto tanto degli alloggi venduti quanto di quelli in produzione, come dire: scenario già visto! E poi, anche la Cina ha già le sue cittadelle fantasma. Una di queste, Kangbashi, fu concepita come un’estensione della città-prefettura d’Ordos – nell’interno della Mongolia – Kangbashi è senz’altro la più famosa in Cina tra le città semi-desertiche.

 

Questa città costruita negli anni ’90 per accogliere istituzioni politiche, culturali, economiche, scientifiche … non è riuscita a popolarsi. La causa? Il costo proibitivo degli alloggi: dei milioni di persone attese, soltanto 30.000 sono diventati residenti. Numerosi sono gli edifici costruiti a metà e gli appartamenti invenduti abbondano. Dantu è un quartiere nella provincia di Zhenjiang dalle strade praticamente vuote, perché le case non sono mai state abitate. Secondo un rapporto del principale fornitore di elettricità del paese – State Grid Corporation of China – sarebbero 65milioni gli alloggi vuoti registrati in tutto il paese nel 2010. E l’attività delle ruspe cinesi è stata barattata anche al di là della Grande Muraglia. In Angola, costruttori cinesi hanno creato Kilamba, a trenta chilometri circa dalla capitale Luanda. In cambio di petrolio, i promotori cinesi si sono adoperati per far nascere una città rimasta praticamente deserta. Il mezzo milione di Angolani che avrebbe dovuto accogliere non si sono mai visti e su 2.800 appezzamenti, soltanto 220 sono abitati. Rari sono gli Angolani che possono permettersi di comprare un appartamento a 120mila/200mila$: due terzi della popolazione vive con meno di 2 $ al giorno!

 

Riprenderanno mai i lavori o tutte queste cattedrali nel deserto rimarranno incompiute e vuote? Se così fosse la posterità avrà di che porsi numerose domande.

 

Fonte: www.journaldunet.com

 

Di Paola Grieco

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