Casa fredda casa! Le gelide dimore neozelandesi

 

Appena siamo arrivati a Wellington, per circa due settimane ci siamo dedicati esclusivamente alla ricerca di una stanza in cui stare per i successivi mesi. Pertanto abbiamo avuto l’occasione di vedere un consistente numero di abitazioni. Nonostante ciò e nonostante siamo qui da più di sei mesi, non siamo ancora riusciti ad abituarci allo standard della tipica casa neozelandese e non riusciamo ancora a comprendere come nel 2013 una nazione appartenente al cosidetto Primo Mondo possa, per quanto riguarda le abitazioni, avere una situazione tanto catastrofica, quanto inaccettabile.

 

Se osservata dall’esterno, la tipica casa neozelandese è così carina da incutere quasi tenerezza. Le attuali abitazioni non superano i 100 anni di vita (la maggior parte delle quali risale alla seconda metà del XX secolo) e sono costruite in legno rivestite con tetti di lamiera ondulata. Spesso sono dotate di un garage e di un piccolo giardino. Inoltre qui a Wellington si aggrappano alle pendici delle colline che circondano il centro cittadino e sono dipinte in diverse tonalità di colori, offrendo un indiscutibile spettacolo per gli occhi di ognuno di noi. Ma non dovete farvi ingannare dall’apparenza. Come la casina di pane, ricoperta di focaccia e con le finestre di zucchero di Hänsel e Gretel, anche la tipica casa neozelandese nasconde, al suo interno, una terribile strega. Infatti appena avrete modo di passare un po’ di tempo, specialmente in inverno, all’interno di una di queste abitazioni scoprirete immediatamente che non sono dotate di alcun sistema di isolamento, di riscaldamento centralizzato o di finestre con il doppio vetro. Sono tre condizioni che possono rendere un mite inverno in Nuova Zelanda un incubo. E non potete realmente comprendere cosa questo significhi e quanto questo possa influenzare le vostre giornate, e quindi influire sul vostro umore, finchè non lo avrete sperimentato. Vivere in una di queste case significa alzarsi il mattino e non avere bisogno di uscire di casa per sentire quale temperatura c’è dato che è la stessa (se non più bassa) che c’è all’interno della vostra stanza da letto; significa andare in cucina per fare colazione e vedere il proprio fiato ad ogni respiro; significa desiderare di arrivare a casa il più tardi possibile ed uscire il prima possibile in modo da trascorrervi esclusivamente il tempo strettamente necessario; significa cenare indossando il giubbotto; significa andare a letto stringendo la borsa dell’acqua calda o attivando la coperta elettrica; significa odiare il momento che precede l’entrata in doccia ed affezzionarsi alla sensazione di sporco sul corpo perchè ti convinci che possa contribuire a ripararti dal freddo. Alcune fortunate case sono dotate di ventilconvettori che generalmente si trovano nell’area soggiorno/cucina e che vengono accesi per riscaldare l’ambiente nei mesi invernali. Quindi in questi casi si ha, in primo luogo, uno sbalzo termico innaturale -ed insalutare- tra tale area estremamente calda, a volte troppo, ed il resto della casa estrememante freddo e, in secondo luogo, una bolletta dell’elettricità particolarmente salata.

 

 

Quanto descritto sopra non è un’esagerazione, ma la reale situazione nel settore casa e una delle maggiori piaghe della Nuova Zelanda. Se a qualcuno dovesse sfuggire la serietà del problema, è sufficiente rammentare come, in base all’articolo 25 comma I della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, “ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari […]”, Inoltre l’articolo 11 comma I del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR) adottato dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1996 recita “gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sè e per la sua famiglia, che includa alimentazione, vestiario, ed alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita […]”.

 

La Nuova Zelanda è ben consapevole di ciò e la commissione nazionale dei diritti dell’uomo nel 2010 ha pubblicato una ricerca dal titolo Human Rights in New Zealand today in cui, tra le varie cose, analizza e descrive dettagliatamente la situazione delle abitazioni nazionali. Dalla lettura di tale relazione emerge come proprio l’abitabilità delle case sia tra gli aspetti che generano maggior sconcerto e preoccupazione tra i gli autori della ricerca. Infatti si legge che l’umidità, il freddo e l’affollamento sono tre fattori che contribuiscono a collocare la Nuova Zelanda al di sotto degli standard internazionali nel settore casa. È sorprendente leggere come quasi un terzo delle case neozelandesi non garantisca la temperatura minima di 18° C per gli ambienti interni richiesta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il quadro si fa ancor più allarmante se si pensa che i tre fattori sopraccitati giocano un ruolo fondamentale nella crescita, salute e sviluppo di ogni bambino. Tant’è che a causa delle condizioni della abitazioni in cui vivono, i bambini neozelandesi sono colpiti da disfunzioni e patologie in numero maggiore rispetto ai bambini degli altri paesi del Primo Mondo o da malattie che in ogni altro paese del Primo Mondo sono ormai estinte o comunque rare.

 

Pertanto siete avvisati, se mai deciderete di trascorrere un inverno in Nuova Zelanda, siate pronti a stringere i denti e, sopprattutto, scordatevi il detto “casa dolce casa”. Qui trova scarsa applicazione.

 

Willy ed Irene

(Per saperne di più su Willy ed Irene potete dare un’occhiata al loro blog: www.feetprint.it).