“Angeli a Calcutta”, il nuovo libro di Paola Pedrini

 

 

"Come cambiano i punti di vista e come crollano le costruzioni mentali. Mi riprometto sempre ad ogni partenza di lasciare a casa aspettative e pregiudizi ma non è così semplice. Concedere il beneficio del dubbio, partire con un pensiero e avere l’umiltà di tornare con un altro, trasformato, evoluto, contestualizzato, non può che essere costruttivo predisponendo la mente e il cuore a una visione più ampia". Credo non vi siano parole più belle per iniziare a parlare del nuovo libro di Paola Pedrini "Gli angeli di Calcutta" Sguardi sulla città e sul volontariato". Parole che restituiscono perfettamente lo sguardo con cui l’autrice ha guardato e vissuto il suo viaggio in India con tutti i terremoti emotivi che una tale esperienza può provocare.

 

Paola Pedrini è una giornalista di Piacenza che fa della sua passione per i viaggi e la scrittura un tutto inestricabile, in cui le parole diventano non solo semplice resoconto ma vero e proprio specchio delle sensazioni di volta in volta vissute. Paola Pedrini è già nota ai lettori di Voglio vivere così perché l’avevamo intervistata in occasione dell’uscita del suo libro precedente "La mia India. Pensieri in viaggio". Anche questa volta Paola torna nel paese che tanto ama e ci racconta di un’esperienza di viaggio decisamente potente e capace davvero di sovvertire tutte le convinzioni che, forse inevitabilmente, ci si porta dietro ogni volta che si parte. Durante questo viaggio a Calcutta Paola ha prestato volontariato in uno dei centri fondati da Madre Teresa di Calcutta e, leggendo questo libro, si ha la sensazione che sia stato scritto, oltre che per condividere questa esperienza, quasi per un bisogno di mettere ordine nella corrente di pensieri che lo ha accompagnato e seguito.

 

L’aspetto più interessante di questo testo è il tono usato dall’autrice: completamente privo di quella retorica melensa che, spesso, serpeggia dietro esperienze di questo tipo. Paola descrive, non giudica, si pone domande e, con l’umiltà del vero viaggiatore, non pretende di trovare risposte; non immediate per lo meno. Così anche l’interrogativo su cosa l’abbia spinta a vivere un’esperienza di questo tipo resta con tutta la potenza di un punto di domanda, senza diventare una fastidiosa pretesa di insegnare alcunché.

 

 

Malattie, miseria, condizioni igieniche indescrivibili, violenza e abbandono: tra gli ultimi degli ultimi di Calcutta, Paola trova significati inaspettati e imprevedibili, così lontani dalle categorie a cui l’Occidente si aggrappa per paura di ciò che davvero non si può comprendere. E allora anche un pensiero come quello che porta l’autrice a dire che li un sorriso ha un valore inestimabile acquista un significato davvero sovversivo; perché quelle persone non hanno davvero altro da offrire e lo offrono, sempre. Anche quando per noi è difficile capire cosa ci sia da sorridere. Noi, spesso così impegnati e occupati da non riuscire a levarci di dosso maschere seriose e arcigne, rischiamo di rimanere spiazzati di fronte ad un sorriso che arriva nonostante una vita che non sembra neanche tale. E Paola, semplicemente descrivendolo, ci suggerisce che anche la parola "dono" diventa qualcosa di diverso: chi dona a chi? Lei a quella donna con il volto sfigurato dall’acido o quella donna a lei con il suo sguardo mentre Paola le prende il viso tra le mani? Il viaggio è anche questo.

 

Questo è il racconto di un viaggio fatto di incontri con malati e altri volontari, con persone che, senza bisogno di dirsi perché, si ritrovano a condividere un pezzo della loro vita decidendo di dedicare del tempo nella discesa agli inferi della miseria più nera, di un abisso che forse è anche loro. Ma sapere perché lo fanno non è la cosa più importante; e Paola insiste molto su questo aspetto perché "fare" in questi casi, è molto più importante delle intenzioni; anche perché queste ultime rimangono comunque insondabili.

Un altro aspetto interessante del libro è la leggerezza (che nulla ha a che fare con la superficialità) con cui Paola ci racconta di come un viaggio capovolga completamente le convinzioni, anche le più nobili, e costringa a guardare con occhi diversi le differenze, valorizzandole e non annullandole in nome di un fastidioso e offensivo tentativo di dire: "Siamo tutti uguali." Perché non lo siamo e il viaggio, soprattutto un viaggio come quello fatto da Paola, insegna proprio questo. Indicativo di ciò l’episodio del risciò: All’inizio l’autrice si rifiuta di farsi trasportare da un mezzo trainato da un essere umano. Poi, quell’essere umano la guarda e le dice che, se tutti ragionassero come lei, lui sarebbe senza lavoro. Allora quale gesto diventa più pietoso? Quale definizione di rispetto seguire come bussola? L’India che ci racconta Paola diviene allora qualcosa in cui ciò che è giusto e ciò che è sbagliato fluiscono in continuo movimento e trasformazione, senza fissarsi mai in categorie rigide; anche quando queste categorie nascono dal più nobile dei pensieri.

Un libro bellissimo e umile, pieno di domande non formulate ma che non lasciano tregua. Un altro modo di viaggiare, né migliore né peggiore di altri, semplicemente diverso; molto bene dipinto dalle parole di un poeta indiano che Paola cita spesso nel suo libro e cioè Rabindranath Tagore: "Il viandante deve bussare a molte porte straniere per arrivare alla sua, e bisogna viaggiare per tutti i mondi esteriori per giungere infine al sacrario più segreto all’interno del cuore."

 

 

A cura di Geraldine Meyer

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