Sebastian: dall’ Italia a Dresda per una doppia Laurea

 

Sebastian Romano è cresciuto a Milano, ma quando è arrivato il momento di iscriversi all’Università ha deciso inaspettatamente di spostarsi a Trento, città di 1 milione e 100mila abitanti in meno. “ Certo, quello da Milano a Trento non è un passo facilissimo, però è vero anche che Milano me la sono goduta, è sicuramente una città in cui c’è tutto e dopo un po’ di tempo ci si accorge che alla fine quel tutto è relativo: ci sono tante cose che una città piccola può vantarsi di offrire.” Il motivo del trasferimento? La possibilità della Doppia Laurea a Dresda.

 

Tu hai scelto l’università proprio in funzione della possibilità della doppia laurea in Germania offerta dall’Università di Trento, vero?

 

Verissimo. Quando ero ancora all’ultimo anno di liceo ho partecipato alla giornata delle porte aperte dell’Università di Trento e sono andato all’incontro, in realtà organizzato per gli studenti dell’università, sulle Doppie Lauree. Se Trento non avesse offerto questa possibilità, probabilmente sarei rimasto a Milano. C’è anche da dire che a questa mia principale motivazione si affiancava la voglia di uscire di casa e provare a vivere finalmente da solo. Dunque sono arrivato a Trento con una grande determinazione, fin da quando ho 14 anni mi sono portato dietro una grandissima voglia di viaggiare e di vedere il mondo vivendo nei posti che visito. Perché non partire dalla Doppia Laurea in Germania? Un’ottima occasione dato che io sono mezzo tedesco, un’occasione da cogliere per riavvicinarmi ad un Paese che è un po’ parte di me.

 

Una cosa che noto è che molte persone con la famiglia mista sentono più di altri il bisogno di andare all’estero…

 

Può essere, forse perché cresci a stretto contatto con due culture e questo ti apre la mente e ti infonde la voglia di andare oltre. Non bisogna per forza andare in India per trovare una cultura diversa. Ciò che rende così speciale l’Europa e così affascinante, è che ogni 50km c’è qualcosa di interessante da vedere e ogni 50km o 100 km ci sono persone diverse, che ragionano in modi diversi e parlano lingue diverse.

 

Hai partecipato al primo progetto di Doppia Laurea dell’Università di Trento, e dunque non avevi nessuno con cui confrontarti, da cui ascoltare un’esperienza simile. Oltre al fatto che alla fine dell’esperienza all’estero avresti dovuto scrivere una tesi e discuterla in due lingue: di sicuro il progetto si prospettava impegnativo!

 

C’è anche da dire che non sapevo poi così bene il tedesco perché negli anni le mie visite ai parenti in Germania si sono ridotte all’osso. Avevo sicuramente una base ed ero sicuro di sapermela cavare, ma devo ammettere che una volta a Dresda, alla prima lezione ho capito poco! Comunque la mia forza è stato il coraggio di affrontare esperienze del genere. Quando si parte per una cosa del genere la prima ansia di solito è data dal fatto che non si conosce assolutamente nessuno. Ma io non ho mai avuto paura di stare da solo e questo ti dà una spinta in più per riuscire a salire sull’aereo e partire. Poi alla fine dell’esperienza ti accorgi che tutto è stato meno spaventoso e difficile di quello che ci si era prospettato.

 

 

Come ti sei trovato? Hanno mai tenuto conto del fatto che tu fossi straniero?

 

La maggior parte no, perché una volta che sei lì ti immatricolano e ti presenti agli esami con il tuo numero di matricola: non sei un Erasmus, sei a tutti gli effetti uno studente straniero che studia in Germania. Mi è capitato più volte di partecipare a lavori di gruppo in cui dovevo fare la mia parte come gli altri, senza grandi aiuti. In Germania infatti nel corso del triennio organizzano numerosi workshop che prevedono la stesura di tesine, tutte finalizzate alla presentazione della tesi finale. Loro ci tengono molto più di noi alla tesi, fin dal secondo anno seguono corsi che spiegano proprio come prepararla.

 

Lo trovi un approccio migliore di quello dell’università italiana?

 

Mah, non saprei! Ti posso dire che i tedeschi sono estremamente legati alla formalità. Anche in una tesi, ad esempio, trovano fondamentale la bibliografia e si possono soffermare a correggere le virgole con le quali hai separato il titolo dall’anno, facendo segnacci rossi che poi valutano anche molto male! È una cosa tipicamente tedesca, ed è quello che li rende così efficienti, anche se a volte si perdono i contenuti. Fare i lavori di gruppo è molto bello anche per vedere come ragionano e lavorano i giovani tedeschi. Loro sono molto seri, non divagano mai, quando ci si incontra si lavora, punto. Ma continuano a perdersi per le formalità. Una volta ad un meeting i miei compagni hanno discusso animatamente per un’ora intera per decidere come impostare un punto della presentazione del lavoro. Comunque per quanto riguarda un confronto fra i due sistemi universitari, direi che ognuno ha i suoi pro e contro.

 

Quali sono secondo te i punti a favore del sistema italiano e quali i punti a favore di quello tedesco?

 

A favore di quello tedesco metterei gli argomenti che vengono trattati, già in triennale. In Italia è tutto troppo teorico. Sono d’accordo che una solida base di teoria sia importante ma, e qui faccio riferimento in particolare alle facoltà di economia ovviamente, in Germania riescono a far fare le materie fondamentali con l’aggiunta di materie molto innovative. Io per esempio ho potuto studiare i mercati energetici: del petrolio, dei natural gas, del carbone… cose che in Italia fai fatica a trovare in specialistica. In Germania puoi abbinare degli esami cosiddetti minor ad esami major, riuscendo ad approfondire seriamente determinati argomenti. È una marcia in più secondo me. Un’altra mancanza dell’impostazione classica della didattica in Italia: si fa poco riferimento ai casi aziendali, mentre in Germania si fa continuo riferimento a casi concreti. Se ci vogliamo spostare su ingegneria, anche in quel campo sono molto più avanti: ingegneria gestionale, che da noi c’è da pochi anni, in Germania la si trovava anche trent’anni fa. Vorrei anche far notare questo: i tedeschi hanno una visione dell’università molto più tranquilla e rilassata della nostra. Noi siamo fissati che si deve assolutamente studiare medicina, ingegneria, economia o giurisprudenza, altrimenti sei uno sfigato. È il mondo del lavoro che fa nascere una percezione del genere, purtroppo in Italia tutte le altre facoltà sono delle mezze fabbriche di disoccupati, o quasi. E quindi si è portati a scegliere una di quelle facoltà non perché si è appassionati alla materia, ma perché si vuole essere sicuri di trovare lavoro. In Germania ovviamente l’economia è molto più solida e il tasso di disoccupazione molto basso, ma è l’approccio generale ad essere diverso. Subito dopo il liceo è tipico farsi un anno sabbatico e girare per il mondo. Dopodiché ci si iscrive all’università a studiare quello di cui si è appassionati, e per questo è venuto a crearsi un ventaglio di corsi di laurea di ogni genere, tutti ugualmente rispettati. Questa è la grande differenza secondo me: si apprezza la diversità. Inoltre, se davvero si sceglie una materia in cui si è portati e per la quale si nutre una sincera passione, allora ci si approccia allo studio con una grande serietà, complici anche alcune regoline del sistema.

 

Per esempio?

 

Se fai economia e vieni bocciato tre volte nello stesso esame, sei espulso da tutte le facoltà di economia della Germania. Ma, ripeto, si riesce davvero a vivere l’università con molto meno stress. Tanto è vero che è cosa comune concedersi un “frei semester”, un semestre di pausa durante il corso di laurea. In questi sei mesi puoi fare esperienze che vanno ad arricchire il curriculum, arrivando così alla laurea magari un anno più tardi rispetto ad un italiano, ma con un curriculum più completo e più che mai determinante nel mondo del lavoro.

 

E per quanto riguarda gli aspetti a sfavore?

 

In Germania ci si può iscrivere all’università solo se si ha frequentato il Gymnasium e chi ha fatto un istituto tecnico non può in nessun modo accedervi. Considerando il fatto che si decide di iscriversi al Gymnasium all’età di 12 anni, trovo questo sistema un po’ limitante, un vero e proprio blocco. Una scelta troppo pesante per un ragazzino di 12 anni!

 

Un punto debole della società?

 

I tedeschi vengono molto coccolati dalla società, a causa del “welfare state” che funziona davvero e che aiuta davvero. Per molti aspetti sono più maturi (finito il liceo praticamente tutti vanno a vivere per conto proprio e si inizia a convivere e a pensare al matrimonio già sui 22-23 anni) ma in generale li trovo molto meno svegli di noi. Secondo me un italiano che si sa adattare in Germania può fare fortuna perché colma un gap: un italiano in un’azienda porta quel lato spregiudicato e intraprendente che loro non hanno. Lo posso dire perché a Dresda ne ho visti tanti di studenti d’economia tedeschi (Dresda conta 50000 studenti), e lo posso dire anche perché ho fatto uno stage in un’azienda a Colonia.

 

 

Cos’hai notato nell’ambiente lavorativo?

 

Così come all’università, anche nel mondo del lavoro c’è un grande rispetto per tutte le professioni e per tutti i ruoli. I rapporti sono molto più umani che in Italia, o almeno questa è stata la mia impressione. Era molto bello andare in mensa e vedere che il Responsabile si sedeva a mangiare anche con l’ultimo e più giovane arrivato. Ed è lavorando in un’azienda medio-piccola che ho constatato direttamente che se sai la lingua, ti sai adattare al modo tedesco di vedere le cose e in particolare ala loro umiltà, puoi apportare un valore aggiunto ed essere molto apprezzato. La carta dell’entusiasmo e della spregiudicatezza è assolutamente da giocare. Ah, nota importante: in Germania puoi facilmente trovare degli stage, che sono tutti tassativamente retribuiti. Appena hai qualcosa di più nel curriculum di una semplice triennale, puoi arrivare a retribuzioni superiori ai mille euro.

 

Dresda, insieme a Berlino, è la città che ha sofferto di più durante la guerra. E’ stata completamente rasa al suolo dai bombardamenti. Negli anni è riuscita a rinascere dalle sue ceneri, e ti chiedo: è anche rifiorita? Si porta dietro delle difficoltà, il trauma subito, o si respira un’atmosfera completamente diversa?

 

Secondo me la cosa che si sente di più è la sofferenza dovuta al passato dominio della DDR. La stessa ricostruzione degli edifici storici abbattuti dai bombardamenti è avvenuta solo dopo la caduta del Muro di Berlino. Tutto il resto della città invece è cresciuto durante la DDR. L’Unione Sovietica è intervenuta massicciamente costruendo centinaia di palazzoni, i tipici palazzoni grigi e tutti uguali, per poter dare casa ai sopravvissuti che non avevano più un tetto sotto il quale vivere. Questi palazzi ci sono ancora. Nella periferia della città si possono anche trovare delle ville con giardino davvero magnifiche, resti della ricchezza passata della Sassonia e vederle affiancate a questi palazzoni orribili è difficile da digerire, soprattutto per un italiano. Quando si è sul fiume e si ha davanti agli occhi lo skyline della città, i profili dei palazzi barocchi e dei campanili che si susseguono e che le hanno valso il nome di “Firenze sull’Elba”, si vede molto bene il contrasto. La città è pesantemente divisa in due. Da una parte c’è l’Altstadt, la città antica, la parte più densamente abitata durante il dominio sovietico, e dall’altra c’è la Neuestadt, che in quegli anni invece era stata completamente abbandonata. La politica sovietica infatti prevedeva la ricostruzione della città solo da una parte del fiume. Dunque l’altra parte, lasciata a se stessa, ha attirato l’attenzione di artisti d’ogni genere. Gli artisti della DDR all’epoca o si trasferivano a Berlino, città che però dava i suoi problemi essendo catalizzatrice di fin troppe attenzioni politiche, o a Dresda, la più grande città della Germania Est. Essendo meno turbolenta e controllata dal punto di vista politico, ed avendo un’intera parte abbandonata ma non completamente distrutta, finì per accogliere ogni tipo di artista. È una cosa che si percepisce ancora oggi. Infatti quella comunità di artisti nel 1989 (nota l’anno: il clima era molto teso), a Giugno, ha indetto una festa in un quartiere per festeggiare la sua nuova bandiera, fingendo dunque di essere indipendente. La cosa interessante è che la festa non è stata soppressa! Quando poi è caduto il Muro questa festa è quasi diventata un simbolo della città, e da allora tutti gli anni a Giugno si festeggia quell’evento.

 

Come si festeggia?

 

Le parole principali abbinabili a questa festa sono: giovani, musica. Il quartiere in questione è completamente popolato da giovani, ci vivono solo giovani. È dunque un quartiere vivissimo, i locali fanno a gara a chi è più particolare e creativo, i cortili interni delle case sono affidati ad artisti che possono decorarli come vogliono, la gente è molto alternativa. Durante la festa in questione tutti i locali mettono sul marciapiede un tavolo con una consolle per fare musica direttamente sulla strada. Le vie vengono chiuse al traffico e si può camminare per strade piene di gente e ascoltare ogni 5 metri la musica di un bar o di un gruppo di ragazzi, entri nei cortili interni e trovi concerti autogestiti: è tutto così! La festa dura 3 giorni tutto il giorno e coinvolge l’intero quartiere (dico quartiere ma è enorme, quanto una piccola città). Quando però sali sul tram vedi delle signore anziane e non, cresciute sotto la dittatura, che sono diverse. Diverse nel modo di vestire, nel modo di pensare. Stridono un po’ con l’atmosfera generale, proprio perché si portano dietro il passato vissuto. Una cosa spiacevole che è rimasta del periodo sovietico è l’orario tipico degli esami all’università: iniziano alle 7.30 del mattino! La giornata della DDR infatti cominciava alle 7 per tutti, lavoratori e studenti.

 

Cosa ti ha dato la Doppia Laurea, al di là del mero pezzo di carta? C’entra qualcosa con la tua decisione di trascorrere il prossimo anno accademico metà a Shanghai e metà di nuovo in Germania?

 

Direi 50 e 50. Ho sempre avuto la voglia di viaggiare, ma non posso nascondere che una volta tornato da un anno e mezzo di Germania sono stato preso da una grandissima tristezza. Quando provi l’Estero, vuoi continuare a vivere l’Estero. L’esperienza a Dresda poi è stata davvero unica. Mi sono reso conto che non è stata una semplice esperienza di vita all’estero quando un giorno, tornato a Dresda, mi è venuto da pensare che fossi ritornato a casa. È proprio una cosa diversa, perché ci trascorri tanto tempo e perché fai un’esperienza completa.

 

La chiave è essere flessibili?

 

Certamente. A Dresda mi sono saputo adattare e per esempio quando ho fatto domanda per lo stage ero in Italia. L’azienda mi ha chiamato chiedendomi di fare un colloquio in giornata e io non ho esitato ad accettare: ho preso il primo volo per la Germania e sono andato. Ah, è importante anche vestirsi eleganti. In un’azienda in cui tutti erano in t-shirt, o comunque molto casual, presentarsi sempre in giacca e cravatta come ho fatto io, dà una qual certa impressione che di certo non guasta!

 

Ultima domanda: in un anno e mezzo a Dresda, qual è la cosa più bizzarra che hai visto?

Ne dico due. La prima riguarda l’atteggiamento femminile. Chi porta i pantaloni in Germania è la donna, senz’ombra di dubbio. I tedeschi magari si ubriacano, fanno i cori, sembrano degli omoni, ma nel momento in cui si trovano davanti ad una donna appaiono davvero come degli sfigati! Lì è la donna che ti abborda! La seconda è qualcosa di più buffo. Tra Berlino e Dresda, e lo si vede proprio dall’autostrada che collega le due città, c’è un’enorme stadio chiuso, tutto in vetro, che al suo interno riproduce un ambiente tropicale! Ci sono le piante, la spiaggia, addirittura il mare! Nel nulla più cosmico c’è questo stadio gigante che ospita in qualsiasi periodo dell’anno villeggianti tedeschi che la notte possono dormire o nei bungalow o nelle tende, come fossero in un qualsiasi posto di balneazione del sud Europa! Pazzesco!

 

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A cura di Giulia Rinchetti