Servizio Civile Internazionale in Africa: l’esperienza di volontariato di Rachele (Camerun)

 

 

Rachele, nata e cresciuta in Ciociaria, al termine del percorso di studi ha vinto il concorso per il Servizio Civile Internazionale in Africa. La sua prima esperienza concreta di volontariato nel mondo, che l’ha cambiata profondamente, mettendola in contatto con una realtà completamente differente rispetto a quella a cui era abituata. Oggi Rachele vive in Camerun, dove resterà fino a metà gennaio, ma il suo desiderio è quello di proseguire in questo cammino per poter approfondire la conoscenza dei Paesi di partenza di molti immigrati ed imparare a vedere il mondo anche attraverso i loro occhi.

 

Sono nata e cresciuta in Ciociaria fino all’età di 17 anni, quando sono partita per l’Inghilterra per frequentare il quarto superiore in un college pubblico, lavorando in una caffetteria sul mare. Qui il primo grande cambiamento della mia vita, che ha reso un po’ difficile il rientro a scuola e la reintegrazione fra i vecchi compagni di classe e il mio ragazzo di allora. Dopo essermi diplomata presso l’Istituto Linguistico Aziendale, mi sono trasferita a Roma, laureandomi prima in Mediazione linguistico – culturale, poi in Scienze della Traduzione Tecnico-Scientifica, corso di studi con un curriculum quasi identico a quello di “Lingue e relazioni internazionali”. Durante gli studi mi sono trasferita due volte a Berlino, la prima per l’Erasmus, la seconda per un tirocinio presso l’Ambasciata Italiana. Nel frattempo ho sempre lavorato, prima arrangiandomi con lavoretti vari per mantenermi agli studi, poi iniziando stage e professioni sempre più affini ai miei studi. Il primo vero contratto di lavoro a tempo determinato l’ho ottenuto due anni fa, con una fondazione che lavora per il Ministero dello Sviluppo Economico, dove avevo il mio ufficio. Occupandomi di un progetto internazionale, viaggiavo un mese sì e uno no in tutta Europa. Un’esperienza indimenticabile, finché non ho vinto sia il concorso per Insegnanti di Italiano all’Estero sia il Servizio Civile Internazionale in Africa. Da noi si dice “quann’ tropp e quann’ nent!”. Con qualche esitazione ho scelto la seconda ed eccomi qui”.

 

Perché hai scelto quest’ultima opzione?

 

Perché era da molto tempo che sognavo di fare un’esperienza concreta di volontariato nel mondo della cooperazione internazionale e in particolare in Africa, continente che ho sempre amato. Si è trattato e si tratta un po’ di un tentativo di mettere discussione di me stessa, un po’ di una crescita professionale e di un banco di prova per quello che vorrei fosse il mio lavoro in futuro.

 

Dove ti trovi precisamente?

 

A Yaoundé, in Camerun (Africa centrale).

 

Nel momento in cui hai deciso di intraprendere questa strada, come ti sei preparata a vivere quest’esperienza?

 

Prima di partire io ed altri civilisti diretti in svariate parti del mondo, abbiamo dovuto seguire un corso di formazione di una ventina di giorni, in un innevato paesino di montagna, nel nord Italia. Per il resto ho soltanto preparato le valigie, sbrigato varie pratiche burocratiche, fatto i vaccini e salutato tutte le persone care.

 

Quali sono nello specifico i tuoi compiti?

 

Da contratto, affianco dei collaboratori locali nell’educazione e nell’animazione socio – culturale e sportiva di un centinaio di bambini e ragazzi (dai 4 ai 25 anni), così come in attività di educazione e sensibilizzazione socio-sanitaria presso gruppi di persone nei quartieri. Oltre all’animazione, sono impiegata nel settore sociale, dove affianco un’équipe locale nell’individuazione e registrazione di alcune famiglie, presenti sul territorio, in difficoltà economica e sociale, nelle visite domiciliari alle stesse, nell’organizzazione e gestione del loro monitoraggio mensile e così via. Infine, riuscendo a gestire autonomamente le attività lavorative mattiniere, ho iniziato a fare anche qualche attività al di fuori del mio contratto, dando una mano a delle suore nel loro progetto “Sanità”, presso il carcere di Yaoundé. Per il momento aiuto nella distribuzione dei medicinali, ma se riuscirò ad ottenere i permessi necessari, in questi ultime settimane vorrei lavorare con i minori in carcere, almeno due mattine a settimana, organizzando sessioni ludico-educative e sportive insieme ad una ONG locale, che se ne occupa fin dagli anni ’80 e aiutando gli insegnanti detenuti nell’insegnamento delle lingue straniere (inglese e spagnolo). Sarebbe un bell’esempio di cooperazione tra ONG estere e ONG locali.

Quali sono le maggiori difficoltà che un italiano può incontrare in Africa?

 

Beh, dipende dal carattere e dalla cultura dell’italiano in questione e dalla zona dell’Africa in cui si trova. Dal piccolo della mia esperienza, potrei dire che le maggiori difficoltà che si possono incontrare qui, sono legate alla mancanza o alla scarsa disponibilità di servizi, quali acqua, luce, internet, ecc., alle differenze culturali (diverso umorismo e modi di fare, tempistiche infinitamente più lunghe, maschilismo, ecc.), alla difficoltà di trovare persone locali di cui potersi fidarsi ciecamente senza che questi abbiano doppi fini e ai pregiudizi razziali di molti. Ma di questo se ne potrebbe parlare a lungo …

 

Come si svolge una tua giornata?

 

In genere nessuna giornata è simile all’altra (a parte qualche periodo di tedio infinito, psichico o reale che sia, in cui sembra di fare sempre le stesse cose). Ti descrivo uno dei miei giorni preferiti, il venerdì: sveglia alle 7:00, colazione in comunità, partenza per la prigione insieme ad una suora che distribuisce i medicinali ai detenuti in difficoltà. Se sono la prima a tornare a casa, preparo il pranzo e la tavola, mangio con la comunità e poi o vado a fare qualche visita domiciliare per il sociale o vado direttamente all’animazione. Il venerdì mi occupo della pallavolo, prima con i più piccoli, poi con i più grandi. Si finisce di lavorare alle 18, il tempo di farsi una doccia, preparare la cena e mangiare in comunità, per poi rilassarsi in modi diversi: un film, un libro, un po’ di musica o un’uscita con qualche amico. Infine, a nanna.

 

Com’è il tuo rapporto con la popolazione locale?

 

Il rapporto con la popolazione locale è buono. Le persone più sono umili e più sembrano essere di cuore, aperte, solari ed estremamente accoglienti, dividendo quanto hanno con te. La gente del quartiere ormai ci conosce ed è molto carina con noi, chiamandoci per nome o con appellativi di rispetto anziché “la blanche”, come può avvenire in città o altrove. Qui puoi imbatterti tanto in persone arroganti, sfrontate e/o fastidiose, quanto nelle persone più gentili e affascinanti del mondo. Nei villaggi, poi, può capitare anche di incontrare persone che non hanno mai visto un bianco in vita loro e che alla tua vista scappano impauriti.

 

Il servizio civile all’estero è una splendida opportunità di formazione, ma in concreto cosa significa?

 

Mah, me lo chiedo spesso anche io (!). Concordo con chi dice che sia un’esperienza di cittadinanza attiva e solidale che ti permette di lasciare la tua impronta, pur piccola che sia, nel Paese di destinazione e che ti offre un arricchimento umano e professionale, grazie alla ricchezza del Paese stesso. “Servizio civile internazionale” significa anche poter conoscere più da vicino il mondo del volontariato internazionale, con i suoi pro e i suoi contro; il lavoro concreto delle ONG sul territorio; le realtà sociali, economiche e politiche del Paese di destinazione; significa scoprire luoghi e culture nuove, aprirsi ad esse; mettersi alla prova in contesti di disagio, sia fisico sia morale; significa mettersi in discussione e conoscersi sotto nuovi aspetti.

Che sensazione hai provato appena arrivata in Africa?

 

Una sensazione bella, ma che non saprei descriverti. Ricordo che era sera, aveva appena smesso di piovere e il cielo era rossastro e nero, con folte nuvole dai contorni ben delineati. Ero stanca per via del viaggio, ma molto felice di aver finalmente messo piede in Africa per la prima volta in vita mia.

 

Come descriveresti la cultura africana?

 

Ancestrale. Variopinta. Calda. A tratti difficilmente condivisibile.

 

Quali cambiamenti ha apportato questa esperienza nel tuo vivere e nel tuo modo di affrontare la quotidianità?

 

Sicuramente sono meno impressionabile ed emotiva rispetto a prima, meno idealista e meno impulsiva. Quest’esperienza mi ha fatto diventare più pratica in molti aspetti, un po’ più cinica e, in generale, più riflessiva. Ascolto in maniera diversa e do molta meno importanza a cose che prima, invece, mi rendevano suscettibile. Forse sono anche meno ansiosa, la lentezza di alcuni momenti non mi annoia più e ho meno paura della solitudine.

 

E’ difficile vivere in una realtà come l’Africa?

 

Vivendo nella capitale, la vita è molto più facile di quanto lo possa essere nei villaggi o in altre regioni del Camerun, perché – a prescindere dalla qualità – non mancano né i servizi primari (cibo, acqua, luce, sanità) né quelli secondari (svago, divertimenti, cultura, ecc.). Vivendo in una struttura italiana poi, il tenore di vita è molto al di sopra delle realtà locali (ad esempio, qui non tutte le famiglie hanno rubinetti o frigoriferi in casa, molte abitazioni consistono in un solo locale, dove mangiano e dormono famiglie molto numerose). Per quanto riguarda il costo della vita, rispetto a uno stipendio europeo (anche minimo) è molto basso, eccettuando i costi di beni e servizi destinati all’alta società e i costi per spostarsi e fare viaggi interni.

 

Quali sono i lati positivi e quelli negativi?

 

Tra i lati positivi c’è il rinnovato apprezzamento della semplicità; la presenza di paesaggi incontaminati fantastici; l’accoglienza e la solarità della gente. Tra quelli negativi invece (a Yaoundé) c’è un incalzante inquinamento, corruzione e un apparato burocratico lento; il livello di istruzione relativamente basso; il rischio più elevato di infezioni e malattie; la forte umidità e la discriminazione di alcuni nei confronti di coloro che, come me, hanno la pelle bianca.

Consiglieresti ai giovani italiani di vivere un’esperienza come la tua? Perché? Qual è l’insegnamento ricevuto?

 

Sì, consiglierei di farlo perché, nel bene o nel male, è un’esperienza di crescita umana e di crescita professionale, laddove si svolgano attività affini al proprio curriculum vitae. È un’occasione per imparare a vedere il mondo sotto un’altra prospettiva, con occhi diversi, oltre ad avere la possibilità di arricchire il proprio bagaglio culturale. L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di scegliere molto attentamente il progetto e, soprattutto, l’ONG con cui si parte, per evitare di trovarsi male durante il percorso intrapreso.

 

Fino a quando resterai in Africa?

 

Fino a metà gennaio del 2013.

 

E poi? Cosa pensi di fare?

 

Mi piacerebbe potermi specializzare nell’ambito della mediazione culturale per immigrati, lavorando nell’ambito dell’integrazione in Europa e in Italia, dove l’immigrazione è spesso vissuta più come un disagio o una minaccia che come una risorsa. Inoltre vorrei continuare a viaggiare e scoprire l’Africa e altri Paesi in via di sviluppo, per approfondire la conoscenza dei Paesi di partenza di molti immigrati ed imparare a vedere il mondo anche attraverso i loro occhi.

 

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A cura di Nicole Cascione