Gente della Pampa: un cammino di sorrisi e accoglienza

 

Dopo una ricca colazione, riprendiamo il nostro cammino salutando di buon ora la famiglia Galende e senza scordarci di mandare un pensierino alla Virgen di Lujan. La nostra traversata ha finalmente inizio, direzione Navarro. O meglio direzione Pampa Humeda.

 

Lautaro e Mai, i nostri amici bikers di Buenos Aires, non ci hanno parlato molto bene, paesaggisticamente parlando, della Pampa Humeda; le nostre aspettative dunque sono piuttosto basse: campi, campi, mucche, campi, mucche, campi, mucche e ancora campi. Ma entrambi sappiamo di non aver scelto questo itinerario per motivi paesaggistici; la verità è che lo abbiamo scelto perché non ci andava di fare l’autostrada fino a Bahia Blanca, e perché ci hanno descritto la periferia, come un po’ meno pericolosa e meno soggetta a furti e crimini. Provate ad immaginarvi ora, io e Pier che carichiamo tra i 40 ed i 45 kg di attrezzatura, cibo e acqua e partiamo; insomma, diciamo che se fossimo riusciti a ridurre al minimo imprevisti e problemi, già sarebbe stato un successo per il primo periodo di viaggio.

 

Però, c’è un altro motivo ancor più importante per cui l’ abbiamo scelta.

 

Dovete infatti sapere che, io e Pier siamo partiti per questa nuova avventura bicicletta/tenda, completamente digiuni sul tema. Mi spiego. Nessuno di noi due ha mai fatto campeggio in vita sua, così come nessuno dei due, si è mai fatto una vacanza o anche solo un weekend in bicicletta. Matti? Può darsi. Ce lo dicono tutti ormai. La verità è che sappiamo entrambi di avere la possibilità di prendercela esattamente come viene e proprio così come verrà, sarà come andrà bene a noi: se piove, piove, e ci si ferma, se c’è vento contro anziché fare 100 km ne faremo solo 50, se c’è un posto che ci ispira, ci fermeremo un giorno in più per godercelo. Scegliere la Pampa Humeda, per noi ha significato anche scegliere un territorio pianeggiante, senza particolari salite né discese, visto che nessuno dei due ha una preparazione fisica, e tanto meno mentale, pronta ad affrontare fatica, sforzi e difficoltà eccessive. Scegliere la Pampa Humeda infine, ha significato scegliere un territorio dove ogni paesino dista al massimo 90km dall’altro; ci siamo dunque riservati la possibilità di non rimanere nel mezzo del nulla con la tenda e poco cibo o acqua, ma di poter sempre arrivare in un paese, dove entrare in un negozio, comprare l’occorrente e soprattuto dove chiedere ai locali, la possibilità di montare la tenda nel loro giardino o comunque nei pressi della loro casa. In questo momento infatti, entrambi abbiamo un po’ paura di montare la tenda bordo strada, anche se è la cosa più naturale e usuale che tutti i bikers fanno. Noi pensiamo che tutto verrà a suo tempo e modo. Partire per un’avventura come questa infatti, non vuol dire non aver paura, anzi, vuol dire averla ma avere anche voglia di superarla, di testare le proprie capacità di sopravvivenza, di confidare in se e nella provvidenza, avendo la certezza che tutto andrà per il verso giusto. Ecco quindi che entrambi prediligiamo una partenza più soft.

 

 

La Pampa Humeda, nella sua semplicità e noia paesaggistica, ci riserva però sorprese ben più grandi e questo è il meritato premio per due che hanno scelto di passare attraverso un territorio che tutti generalmente snobbano poiché non interessante né sportivamente sfidante. La nostra traversata dura circa 20 giorni, e sin dal primo momento, non abbiamo fatto altro che conoscere gente meravigliosa, sorridente, disponibile e generosa. Su 20 giorni di traversata, possiamo dire che la maggior parte delle volte abbiamo alloggiato a casa di qualcuno e abbiamo mangiato con loro. L’accoglienza di questa gente, della sua "municipalidad" (il comune), dei centri di mutuo soccorso italo-argentini è indescrivibile. Ogni volta che siamo andati lunghi sul percorso, perché abbiamo fatto più km del previsto, perché ci ha colto la pioggia, ma soprattutto perché abbiamo sottovalutato sin dall’inizio il Pampero, il forte vento della Pampa, che ci fosse stato un giorno avesse soffiato a favore e non contro :-), ogni volta che siamo arrivati in un paesino tardi, troppo tardi per, nell’ordine fare la spesa, montare la tenda, sistemare bici e bagagli, cucinare, lavare i piatti e magari capire chi siamo, c’è sempre stato qualcuno che ci ha offerto, senza esitazione, il suo aiuto, la sua ospitalità. Andando oltre il concetto di aiuto come soccorso d’emergenza.

 

Abbiamo dormito nel giardino della numerosa e splendida famiglia Gomez di Navarro, con la quale, in soli 2 giorni abbiamo instaurato un rapporto di scambio emozionale e culturale incredibile, divenendo parte della famiglia stessa, percependo un vero e proprio senso di appartenenza e provando malinconia e dispiacere al momento di andarsene. Abbiamo dormito nel giardino di Lourdes, brasiliana di origine ormai residente in Argentina da anni, che ci ha lasciato montare la tenda per una notte, regalandoci anche un buon pezzo di formaggio "casero" prima di ripartire, e confidandoci nel frattempo, con le lacrime agli occhi, di essere stata spaventata da noi, di aver avuto paura di lasciarci entrare nella sua cerchia famigliare fatta di due figli piccoli e senza un uomo in casa. Ma rassicurandoci, e rassicurandosi, dicendo che: la vita con lei è sempre stata buona, le ha sempre dato molto; per questo lei ha "sentito" giusto, pur nella paura, offrirci il suo aiuto. Io ero senza parole. Mai e poi mai, la mia famiglia, avrebbe fatto entrare in casa due sconosciuti solo per il fatto che stanno viaggiando in bicicletta e non sanno dove mettere la tenda. Le sue lacrime sincere e le sue parole, ancora una volta mi fanno riflettere su come noi non siamo per nulla abituati a dare, se non alla nostra stretta cerchia famigliare, a dare senza aspettarci qualcosa in cambio. Lourdes ci ha dato ospitalità perché sa perfettamente che siamo tutti una cosa sola, che veniamo dallo stesso posto e andiamo nello stesso posto, che siamo uniti, che ogni nostra azione ha delle ripercussioni su di noi e sugli altri (il karma appunto: tutto è causa e conseguenza). Lourdes non lo ha fatto perché le avremmo dato qualcosa in cambio, né soldi, né aiuto di alcun tipo, visto che la mattina dopo, all’alba, saremmo ripartiti; lo ha fatto per se stessa, senza aspettative, perché aiutare gli altri è qualcosa che fa sempre star bene. Se ci pensate un attimo, infatti, aiutare gli altri è un atto estremamente egoistico, perché i primi a ricavarne del benessere emotivo siamo noi, poi, solo come conseguenza, vengono gli altri.

 

 

Siamo stati infine accolti dalla Municipalidad di Bolivar in modo spettacolare; ci hanno offerto alloggio per alcuni giorni nel loro ostello presso il centro culturale, ci hanno invitato ad una festa meravigliosa in cui venivano premiati i migliori produttori di chorizo di tutta la Provincia di Buenos Aires (dietro degustazione naturalmente), ci hanno messo a disposizione internet, una lavanderia e una bicicletteria. Egualmente accolti in modo eccezionale dalla Municipalidad di Daireaux ma soprattutto di Guaminì, dove abbiamo alloggiato in un hotel super lusso e mangiato una "milanesa-napolitana" deliziosa (piatto che gli argentini attribuiscono all’Italia ma che da noi non s’è mai vista traccia). Il tutto senza considerare che il fenomeno "Melissa e Pierluigi che attraversano in bicicletta la Pampa Humeda" è stato ripreso da tutti i media locali: giornali, radio, televisione. Al punto che spesso ci è capitato che la gente ci fermasse per strada per fare una foto con noi o per offrirci un mate ristoratore. Ognuna di queste persone e istituzioni incorpora la propensione a dare e ad aiutare gli altri. Mi sono chiesta il perché e forse una delle motivazioni principali, sta nella loro storia molto recente, fatta di emigrazione verso un paese sconosciuto, alla ricerca, più che del sogno americano, della possibilità di avere ancora un sogno, fatta di una lingua sconosciuta (ricordiamoci che l’Argentina è un mix di tutti i popoli europei), fatta di povertà, di discriminazione ma fatta anche e soprattutto di assistenza reciproca.

 

 

È stato importante per noi riflettere sulla possibilità di costruire la propria storia, di farne parte, di poterne decidere un percorso piuttosto che un altro, di essere un tipo di popolo piuttosto che un altro, migliore o peggiore questo non è ciò che conta, conta solo il poterne scrivere un pezzo di cammino. Sarà questo che ha reso noi Italiani e noi Europei così indipendenti, autonomi, nazionalisti al punto di non riconoscerci affatto come popolo, di odiarci, di etichettarci come popoli del Sud e popoli del Nord, di non volerci mescolare, di frequentarci solo per motivi turistici. E pensare che l’Italia e l’Europa sono una briciola se confrontate allo sconfinato territorio Argentino e Sud Americano dove questo principio di mutuo soccorso, aiuto e cooperazione è invece così saldo.

 

Melissa e Pierluigi

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