Nuove avventure: una bici per casa

 

Se fosse capitato a me, di stare dall’altro lato del video a leggere un articolo su un argomento come questo, sarei rimasta sconvolta, da lì a poco, meravigliata e infine attratta, maledettamente attratta. Irresistibilmente attratta.

 

Al punto di … partire? Boh, questo non lo so. Nella vita c’è un momento per tutto. Ognuno di noi ha il suo momento, quindi questo non lo so dire. Ma so che l’importante è stare ad ascoltare se stessi in ogni istante, essere consapevoli di ogni nostra singola azione, pensiero, sensazione, in modo tale che, quando il nostro momento arriva, quello con la M maiuscola, lo sapremo riconoscere e saremo pronti ad accoglierlo e a viverlo come se fosse l’unico, il migliore, l’ultimo.

 

"Quando canterai la tua canzone, la canterai con tutto il tuo volume, sarà per 3 minuti o per la vita, avrà su il tuo nome" – canta il Liga.

 

Se fosse capitato a me, una cosa è certa: il solo annusare aria di libertà e di vita senza né limiti, confini, restrizioni, regole, consigli, suggerimenti, imposizioni, influenze volontarie involontarie sincere maliziose perfide, mi avrebbe dato alla testa e per lo meno mi sarei rosicata le dita dall’invidia e ci avrei fatto un pensierino. Non mi è capitato. Ho letto un sacco nella vita; di tutto e su tutti i tipi di media, ma di andarsene in giro in bici per il mondo con un carico da 45/50 kg, non mi è mai capitato di leggere. Perché non era quello lì il mio modo, il modo con cui lo avrei scoperto io. Il mio modo era un altro; magari il vostro è questo. Questo due paginette che dedico a me, a Pierluigi il mio compagno di vita e di viaggio, a questa nuova avventura che è la mia nuova vita, ma soprattutto a colui che è stato il mio personale "modo" di scoprirlo. È chiaro che di fondo io e Pierluigi siamo due persone che non solo amano la libertà e l’indipendenza, ma siamo soprattutto due individui che nel viaggio, nell’esplorazione, nella scoperta, nella conoscenza, nella condivisione, nel mutuo soccorso, nell’essere uno, tutti e nessuno hanno individuato il loro proprio modo di intendere la vita. Di intendere il nostro essere qui e ora come esseri umani su questo "miracolo" inspiegabile che è la creazione dell’universo. In esso dei pianeti, della terra, di tutto ciò che la popola e infine dell’essere umano come suo ospite.

 

Come nasce un’idea come questa? Come è venuta a noi? E come la si accetta, la si fa propria? Vi ricordate il nostro primo viaggio intorno al mondo? Quello di cui vi abbiamo raccontato alcune curiosità qualche mese fa? Beh, ci è venuta durante il nostro primo viaggio intorno al mondo, quello fatto in autobus – zaino in spalla. È "venuta da noi" nel senso letterale del termine.

Eravamo partiti da circa 20 gg, eravamo arrivati a Manaus in Brasile, e dopo la seconda esperienza nella selva amazzonica, avevamo deciso di fermarci qualche giorno per riposarci, ma soprattutto per "respirare un pò", per ascoltare, incontrare, conoscere, riflettere, scrivere. Ed è lì che ci è venuta incontro l’idea; in groppa alla bici c’era Antonio, siciliano, aveva lasciato l’Italia da qualche anno e se ne andava a spasso sulla sua bicicletta rossa, con la sua tenda e tutto l’occorrente per essere completamente autonomo. Me lo ricordo come se fosse qui davanti a me ora in questo istante: inquadra, fuoco, immortala. Per sempre. Se ne stava lì nel patio dell’ostello di Manaus; calzoncini, canotta, infradito, capello rasato con codino sul retro, tranquillo, sorridente, in pace con il mondo e con se stesso soprattutto, lavorava il macramè ed era disponibile con tutti coloro che gli facevano domande. Ok, nostro turno. Tocca a noi con le domande e così lo abbiamo monopolizzato.

 

Antonio ci raccontò qualcosa di così lontano da noi, così speciale eppure lì sotto i nostri occhi, concreto, fattibile, facile. E non ci abbiamo capito più niente. Non lo abbiamo più dimenticato. Seppure fossimo solo all’inizio del nostro viaggio intorno al mondo, che prevedevamo sarebbe durato un annetto circa nella forma zaino/autobus, il pensiero di Antonio e della sua bici, rimase sempre con noi e non smettemmo mai di nominarlo a noi stessi e agli altri. E non furono certo coincidenze quelle in cui ci imbattemmo in seguito durante il viaggio. Come quella volta a San Cristobal de las Casas – Chiapas – Messico; ormai in viaggio da alcuni mesi, trovammo alloggio in un ostello gestito da un ex-biker che proprio in quel momento ospitava ben 2 coppie e un single tutti bikers che si stavano facendo in un modo o nell’altro, Alaska-Ushuaia, centro/sud America, etc. Insomma, non so se mi spiego, capitò così no? Tanto per rinfrescarci la memoria.

 

Antonio ci raccontò con molta calma e solennità quello che stava facendo: quando era partito e perché; come avesse viaggiato da solo per un certo periodo di tempo e come lo avesse accompagnato una sua fidanzata per un altro periodo; come fosse bello in un certo qual modo stare soli e diventare parte del tutto e come fosse difficile a volte affrontare la solitudine; come lo fosse sotto altri punti di vista stare con una compagna; come gli fosse piaciuto pedalare lungo il Rio delle Amazzoni e vivere a contatto con le tribù più rurali del fiume; come gli avessero rubato le scarpe tecniche lasciate fuori dalla tenda e come avesse dovuto aspettare settimane che dall’Italia gliene mandassero un altro paio; come confidasse sulla bontà altrui e sulle eventuali donazioni di denaro in arrivo dagli amici per Natale; come avesse dedicato il suo tempo ad aiutare gli altri sia in passato, in India presso un centro per lebbrosi di Madre Teresa di Calcutta, che durante questo suo ultimo viaggio, in Messico/Zipolite presso il centro Pina Palmera; come si fosse ammalato di dengue e febbricitante nella sua tenda avesse aspettato che guarisse; come si stesse permettendo di pagare un ostello per un paio di notti dopo tante trascorse in tenda e senza una doccia calda. Ci raccontò tutto e ce lo raccontò come se fosse la cosa più facile e naturale di questo mondo, al punto che l’unica domanda senza risposta rimaneva la nostra domanda … perché non lo facciamo anche noi?

 

Per me e Pierlu era la prima volta nella nostra vita che ascoltavamo di una avventura simile; sgranavamo gli occhi come se ciò che aveva visto e fatto lui fosse proiettato da una pellicola li davanti a noi, nel patio dell’ostello. E non ci abbiamo capito più niente! Al punto tale che io piangevo ascoltando quanto Antonio, così più giovane di me, avesse vissuto intensamente le sue giornate. Le lacrime mi sgorgavano davanti a questo sconosciuto che vedevo per la prima volta nella vita, e che non avrei più rivisto, mi vergognavo ma non potevo trattenerle e non volevo. Pensavo a quanto poco avevo vissuto io, a quanto poco avevo imparato, ascoltato, aiutato, dato e ricevuto. Lui rappresentava tutto in quel momento, ma soprattutto rappresentava quello che a tutti noi manca: "l’esperienziare". Il fare esperienza.

 

Di che direte voi. Esperienza di vita. Vivere non è ciò che facciamo alzandoci al mattino, prendendo l’auto o la metropolitana, andando al lavoro (che ci piaccia o no), mangiando, prendendo un caffè o un aperitivo, facendo due chiacchiere con amici o colleghi, andando in palestra, telefonando ai nostri genitori, cucinando la cena, vedendo un film o un reality e andando a dormire. E sempre così sia.Quello lì mica è vivere. Non lo è per me almeno. Vivere è fare esperienza.

"Sii un guerriero" scrive Osho

 

Il guerriero è un atteggiamento mentale; il guerriero è colui che si assume dei rischi, che scommette su se stesso. Che combatte i propri nemici, non quelli all’esterno, bensì quelli all’interno, ovvero le sue paure, le sue fobie, le sue manie. Che conosce i suoi limiti ma anziché prenderne coscienza e subirli, li sfida, li supera, li uccide. Noi cresciamo come menti calcolatrici; siamo si, coloro che scommettono, ma lo fanno sulla testa degli altri: guardiamo i reality per sentirci vivi, perché ci immedesimiamo con i partecipanti e viviamo le emozioni al posto loro senza renderci conto che non ci siamo mossi dal divano. Persino i genitori, pur senza malizia e con tutto il loro amore, scommettono sulla testa altrui, su quella dei propri figli in particolare: sarai ciò che io non sono stato in grado o non sono potuto essere, farai ciò non ho fatto, vedrai e avrai ciò che io non ho avuto. Mi spiace, ma è così che si vive per me. Ognuno di noi è in grado di decidere per la propria vita, per la propria crescita di anima e coscienza: l’unica cosa che deve fare è scommettere su se stesso. Sarà esattamente quello lì il momento in cui vivrà una vita propria.

 

In genere noi esseri umani non siamo disposti ad assumerci dei rischi … anche se viviamo con la consapevolezza che tutto ciò che è bello, è rischioso: l’amore, la vita, Dio. Un guerriero ė disposto a spiccare un salto, un salto nel vuoto, sapendo di perdere tutto e non chiedendosi che cosa guadagna; ciò che guadagna è insito nell’emozione dello spiccare il salto stesso, del sentirsi vivo quando salta nel vuoto. Esperienziare è vivere nell’ignoto, nel far si che ogni istante e ogni giorno della propria vita siano diversi l’uno dall’altro. Che non ci ammazzi la noia facendo sempre le stesse cose. Che si possa continuare a imparare giorno dopo giorno e non solo sui banchi di scuola. Che il nostro domani non sia prevedibile in modo che la mente abdichi e che si possa vivere il quotidiano, il qui e ora, apprezzandolo, amandolo e allo stesso tempo lasciandolo andare senza paura di non vivere più emozioni simili perché ad ogni giorno ne seguirà un altro altrettanto pregno.

 

Vivere nella sicurezza significa iniziare ad aver paura dell’ignoto; vivere nella sicurezza non è vivere perché è vivere nel noto, mentre la vita è nell’ignoto, nell’esperienziare.

 

"Felicità, momenti … futuro incerto" – Tonino Carotone

 

Grazie Antonio, grazie guerriero.

 

Melissa e Pierluigi

www.theevolutionarychange.com