Danimarca: le strane case galleggianti dove vivono gli studenti

Danimarca: le strane case galleggianti dove vivono gli studenti  

di Gianluca Ricci

 

Contro la cronica carenza di spazi e la diminuzione delle aree destinate all’edilizia abitativa, in Danimarca c’è chi ha provato a spingere verso una direzione nuova e ha puntato a realizzare appartamenti riciclando vecchi container e piazzandoli su una piattaforma galleggiante da ancorare in acqua presso le strutture portuali o i moli.

 

Si tratta di soluzioni destinate soprattutto agli studenti che non necessitano di strutture di lusso, ma piuttosto di metri quadrati abitabili a prezzi più abbordabili rispetto a quelli comunemente offerti.

 

La start up danese che ha tentato questo nuovo percorso si chiama Urban Rigger e deve la sua nascita all’intuito e alla fantasia di Kim Loudrup, che ha coinvolto nel suo progetto le intuizioni visionarie del noto architetto Bjarke Ingels.

 

Le strutture sono costituite da un’ampia piattaforma galleggiante e da sei container disposti tre a tre su due piani a formare due triangoli equilateri, con una corte centrale destinata a diventare un giardino pensile ad uso e consumo dei residenti.

 

Ogni singolo blocco è stato diviso in due parti distinte, in modo da garantire a chi ci abita all’incirca 25 metri quadrati di spazio, e parte delle pareti metalliche dei container è stata tagliata e dotata di ampie vetrate così da dotare le abitazioni della luce necessaria.

 

Ogni singolo studio è costituito da un unico ambiente con letto, tavolo, armadi, area cottura e bagno e garantisce agli studenti che lo occupano la vivibilità necessaria alle loro esigenze, decisamente diverse da quelle di una famiglia o di chi comunque punta ad occupare una casa in via definitiva.

 

Sui tre tetti vengono infine realizzati un prato, un solarium e un’area attrezzata con pannelli solari per provvedere alle esigenze elettriche degli abitanti: un piccolo pontile collega l’isolotto abitativo al molo o alla terraferma, a seconda del luogo in cui è stato ancorato.

 

La soluzione, già sperimentata a Copenaghen, ha soddisfatto a pieno le aspettative sia dei progettisti che di coloro che se ne sono serviti e a breve il progetto verrà replicato in altri Paesi del nord Europa che si sono dimostrati interessati alla soluzione, come per esempio la Svezia e la Finlandia, dove numerose sono le superfici che possono essere messe a disposizione di questa innovativa tipologia abitativa.

 

Una soluzione peraltro non originalissima, visto che già nel lontano 1960 l’architetto giapponese Kenzo Tange aveva avanzato un’ipotesi simile per contenere lo sviluppo urbano di Tokyo verso una periferia che oggi invece si è allungata per chilometri e chilometri pensando di “colonizzare” con abitazioni galleggianti la baia su cui si affaccia la capitale nipponica.

 

Poi non se n’è fatto più nulla, anche perché i costi sarebbero stati stratosferici e i risultati non certi. In Danimarca invece si è pensato meno in grande, limitando gli investimenti e indirizzando gli sforzi progettuali sul recupero e sulla frugalità studentesca.

 

Tuttavia l’idea di espandere l’urbanizzazione delle grandi città sull’acqua e non più solo sulla terra pare stia diventando un’ipotesi progettuale tutt’altro che futuristica o remota: non c’è studio internazionale ormai che non spinga ingegneri ed architetti ad elaborare soluzioni alternative a quelle tradizionali, che stanno fagocitando ettari di territorio. Quella di costruire sull’acqua pare ad oggi la strategia più interessante.

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