Battista Liserre: un cervello in fuga, direzione Marsiglia

 

Il mio Paese ha investito in me per farmi studiare, formarmi. Ma poi mi ha scaricato. Nella nostra penisola manca un collegamento tra il mondo universitario e quello del lavoro. C’è uno spreco enorme del capitale umano. Il 30% dei giovani si forma in Italia, ma poi va all’estero per lavorare”. Battista Liserre: un cervello in fuga, direzione Marsiglia.

 

Battista, quando e per quale motivo hai deciso di emigrare a Marsiglia?

Era il 2012. Ho deciso di lasciare l’Italia per fare un dottorato di ricerca in letteratura italiana. Nel mio Paese c’erano pochi posti. L’unica possibilità era quella di fare una tesi in co-tutela.

 

Di cosa ti occupavi in Italia?

In Italia studiavo e facevo associazionismo. Avevo fondato insieme a un mio collega universitario, Francesco De Pascale, un’associazione e una rivista culturale, “IL SILENO”. Nessuno nel mondo accademico ha creduto in noi. Eppure eravamo un’associazione che contava oltre 500 iscritti e la nostra era la rivista più letta della facoltà di lettere e filosofia dell’Unical. Abbiamo cessato di pubblicare il mensile per mancanza di fondi da parte della regione Calabria e dell’università. L’unica riconoscenza è arrivata dal giornalista Michele Monina, il quale mi ha dedicato un suo libro per i miei impegni culturali. Le ho provate tutte per restare in Italia. Ma l’unica soluzione è stata quella di emigrare per realizzare il mio sogno: fare un dottorato di ricerca.

 

 

Un sogno che si è realizzato a Marsiglia…

Sì, ora sono al terzo anno di dottorato. Sto facendo una tesi in letteratura italiana dal titolo: “Politica e letteratura a Firenze nel XIV secolo: gli Orti Oricellari” diretta da Theà Picquet all’Università d’Aix-Marseille e da Donatella Coppini all’Università degli Studi. Sono membro del laboratorio CAER (Centre Aixois d’Études Romanes), diretto da Claudio Milanesi. Oltre al dottorato, insegno italiano come contrattista all’Università d’AIX-Marseille. Cosa impossibile in Italia per un giovane di 31 anni.

 

Potremmo quindi definirti un “cervello in fuga”?

Visto il significato del termine e per quello che sto facendo penso proprio di sì. Il mio Paese ha investito in me per farmi studiare, formarmi. Ma poi mi ha scaricato. Nella nostra penisola manca un collegamento tra il mondo universitario e quello del lavoro. C’è uno spreco enorme del capitale umano. Il 30% dei giovani si forma in Italia, ma poi va all’estero per lavorare. Proprio i Paesi esteri sfruttano tutto ciò che ci dà l’Italia in formazione. E’ un vero paradosso.

 

Quante possibilità di carriera avresti avuto in Italia nel mondo universitario?

Zero. Visti i tagli che ci sono all’interno dell’università italiana. Ho l’impressione che l’Italia stia diventando un Paese per vecchi. Manca una riforma delle pensione per dare spazio a noi giovani. Vivendo all’estero mi rendo conto che siamo un Paese vecchio, dove non c’è posto per le giovani generazioni. Le migliori menti italiane si trovano quasi tutte all’estero. Per esempio, il giovane filosofo siciliano Oreste Salamone è il primo al mondo che sta studiando il Papiro di Derveni. Ma per fare questo si è trasferito in Francia, poiché nelle università italiane non c’erano posti liberi. Tra venti o trent’anni chi resterà in Italia? Se non cambiano le cose ci sarà un desiderio di gioventù tra un po’ di tempo. A tal proposito vorrei citare un passaggio delle Città Invisibili di Italo Calvino: «All’uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio d’una città. Finalmente giunge a Isidora, città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, dove si fabbricano a regola d’arte cannocchiali e violini, dove quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza, dove le lotte dei galli degenerano in risse sanguinose tra gli scommettitori. A tutte queste cose egli pensava quando desiderava una città. Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c’è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi ». Proprio per questo rischio, per non essere che desideri, il governo deve varare una grande riforma per i giovani italiani.

 

Quali sono le maggiori differenze che hai riscontrato tra il sistema universitario italiano e quello francese?

Nella sostanza i due sistemi sono simili. Siamo due Paesi europei con poche differenze, ma con moltissime similitudini. Ma in Francia, se vali vai avanti, se non vali resti ai margini. Cose inesistenti da noi. Proprio all’estero si vede il valore di noi italiani. Voglio citare l’esempio del mio amico giornalista Antonio Papaleo. Per fare il suo lavoro in modo serio ha dovuto lasciare l’Italia. Non è un caso se collabora con il South China Morning Post, storica testata di Hong Kong.

 

Quali sono state le difficoltà contro cui ti sei scontrato nel mondo del lavoro francese?

Non molte perché sono arrivato nell’Hexagon per fare un dottorato. Quindi non ho dovuto cercare un lavoro. Forse l’unica cosa è stata la lingua. Sono arrivato in Francia senza saper parlare francese. All’inizio è stata un po’ dura comunicare.

 

E quali invece erano le difficoltà che quotidianamente eri costretto ad affrontare in Italia?

In Italia non c’era e non c’è proprio lavoro. Non sapevo veramente cosa fare. Tutto era fermo. Mi sentivo come se avessi studiato per niente. Non mi sentivo ripagato.

 

 

Come e in cosa è cambiata la tua vita da quando ti sei trasferito?

Innanzitutto lavoro, vivo in modo autonomo. Posso progettare il mio futuro. Tutte cose impossibili in Italia.

 

Un giorno farai ritorno in Italia o pensi di trasferirti altrove?

Se non cambiano le cose non credo. Quando vivi all’estero è difficile ritornare in un Paese fermo, dove per rinnovare la carta d’identità devi essere amico del sindaco.

 

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Progetto di finire il dottorato e fare il ricercatore. E’ dura, di certo non un’utopia. Perchè come ci insegna Adriano Olivetti: “Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande.” Io ho cominciato…

 

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A cura di Nicole Cascione