“Te la do io la Cina”: Tom da Padova alla Cina passando per gli USA

 

 

Se trasferirsi negli Stati Uniti è stato uno shock non da poco, trasferirsi in Cina è stato probabilmente uno shock dieci volte più grande. All’improvviso ci siamo trovati veramente in un altro mondo, dove anche semplicemente andare a comprare del detersivo per la lavapiatti risultava essere un’impresa eroica” Queste le parole di Tom, ingegnere elettronico originario di Padova che ormai da molti anni vive una condizione di expat insieme alla sua famiglia. Dalla Virginia a Nanjing, dagli Stati Uniti alla Cina. Dopo aver vissuto 3 anni a Najing, luogo estremamente caotico e confuso, Tom e la sua famiglia si sono ritrovati nuovamente in viaggio, questa volta verso ZhuHai. Durante i suoi continui trasferimenti, in un momento di sconforto e soprattutto, come cita lui stesso, per psicoanalizzare la propria condizione, Tom ha anche aperto un blog (blog.libero.it/Nanjing), che ha riscosso un notevole successo, tanto che una casa editrice ha deciso di scriverne un libro dal titolo “Te la do io la Cina” .

 

Tom, raccontaci qualcosa di te…

 

Sono nato, vissuto e cresciuto a Padova, dove ho conseguito contro ogni previsione una laurea in ingegneria elettronica. Forte dei miei studi in elettronica, ho cominciato a lavorare a Padova ovviamente per un’azienda meccanica. Dopo cinque anni nel reparto R&D il proprietario dell’azienda, pur di togliermi dalla vista, comprò un terreno negli Stati Uniti e mi mandò lì per dare vita ad una nuova azienda in Virginia. Lì ci rimasi per 5 anni dopo i quali decisi di rientrare in Italia, perché le radici erano per me importanti, i bambini e la famiglia avevano bisogno di stabilità e non si poteva continuare a fare gli zingari in giro per il mondo. Infatti, dopo essere rientrato per due mesi in Italia, decisi di accettare un’offerta di un’azienda meccanica per una posizione in Cina, paese in cui per altro non ero mai stato. Mi rassicurava comunque, il fatto che la posizione era a Shanghai e conoscevo gente che ci era già stata prima di me ed era riuscita tornare indietro sano e salva per raccontarlo. Purtroppo però, dopo aver firmato il contratto, ricevetti una telefonata in cui mi venne comunicato che c’era stato un errore e che la destinazione in Cina non era la ben nota Shanghai, ma l’assai meno conosciuta Nanjing… a 300 km da Shanghai… Comunque, fatto buon viso a cattivo gioco, mi trasferii con la famiglia a Nanjing dove iniziai a scrivere per caso un Blog, raccontando (più per psicanalizzare me stesso che per altro) le stranezze della Cina agli occhi degli occidentali. La cosa ebbe un inspiegabile successo, tanto che ad un certo punto il blog venne addirittura pubblicato in versione cartacea, indicando un preoccupante abbassamento del generale livello qualitativo della letteratura italiana contemporanea. Comunque a Nanjing rimasi per 3 anni fino a quando l’azienda per cui lavoravo, venne venduta ad un grande gruppo tedesco e mi ritrovai senza contratto. A quel punto, visto che le radici sono importanti, che i bambini e la famiglia avevano bisogno di stabilità e che non si poteva continuare a fare gli zingari in giro per il mondo, decidemmo di rientrare in Italia. Formalmente la data di rientro venne indicata nel 2 febbraio 2009… il 22 febbraio 2009 (con il container ancora in viaggio dalla Cina verso l’Italia), mi ritrovai con la famiglia, su un aereo per HongKong, destinazione finale ZhuHai, dove viviamo attualmente e dove ricopro la posizione di GM per un’azienda (ovviamente meccanica) italiana che produce condizionamento di precisione e che è stata recentemente acquisita da una multinazionale francese.

 

 

Hai affermato che i bambini e la famiglia hanno bisogno di stabilità, per cui non si può continuare a fare gli zingari in giro per il mondo. Ma questo tuo girare per il mondo offre una stabilità economica che in Italia, molto probabilmente, attualmente non avresti potuto offrire loro, no?

 

Certamente essere espatriato comporta dei benefici economici che uno ovviamente considera quando decide di partire. Allo stesso tempo però, se fai una scelta del genere solo per il vile denaro, di solito vivi questa esperienza piuttosto male, soprattutto se il fato ti riserva una destinazione come la Cina, che ti posso assicurare non è il posto più facile dove vivere, particolarmente all’inizio quando ti trovi di fronte ad un mondo completamente diverso e che fai fatica a capire. Se queste difficoltà le affronti in maniera positiva, con adeguata apertura mentale e con un pizzico di spirito d’avventura, alla fine quello che fai ti regala soddisfazione e l’esperienza diventa stimolante. Se passi le giornate a lamentarti di come le cose siano complicate, di come in Italia si lavorava in maniera diversa, di quanto ti manchi la colazione al bar con cornetto e brioche ed avendo come unico sollievo il giorno in cui ti versano lo stipendio, allora vivi l’esperienza all’estero veramente male e probabilmente alla fine il gioco non vale la candela. Inoltre, la stabilità economica è una cosa, ma la stabilità mentale e familiare è un’altra. Solitamente, quando ti mandano all’estero, c’è molta pressione attorno a te, l’azienda si aspetta risultati veloci visto il tuo costo… alla fine nessuno ti regala niente. E questo comporta uno stress notevole per te e per chi ti sta vicino, nel mio caso moglie e figli, i quali sicuramente beneficiano di una stabilità economica, ma al tempo stesso probabilmente perdono non poco in termini di stabilità, chiamiamola generale. Adattarsi ad un paese straniero può non essere semplicissimo. Se poi il paese straniero è la Cina, allora la cosa può veramente essere difficoltosa. Spesso quando torno in Italia, parlando con parenti ed amici, mi sento dire di essere fortunato a girare il mondo, a vivere e a vedere paesi esotici…Mi dicono “ Beato te, bella vita”. A sentire loro sembra che mi vedano passare le giornate in bermuda e infradito, mentre mi gusto un cocktail alla frutta, comodamente seduto su una rotonda sul mare (…magari con il nostro disco che suona), dimenticando che in realtà non è proprio così. Il più delle volte si dimentica che vivere all’estero può essere sicuramente stimolante, ma in linea generale non facile.

 

La tua vita da expat ha avuto inizio in Virginia, cosa puoi raccontarci di quel periodo?

 

La Virginia è stata la mia prima esperienza all’estero. A quei tempi mi fu chiesto dall’azienda per cui lavoravo in Italia se me la sentissi di trasferirmi negli Stati Uniti con la famiglia, con lo scopo di far partire uno stabilimento da zero. Accettai d’impulso, senza pensarci su molto e ancora adesso, quando io e mia moglie ci ripensiamo, ci rendiamo conto di essere stati due incoscienti… Praticamente si trattava di fare qualcosa che non avevo mai fatto (prima lavoravo nel tranquillo reparto R&D), in un paese che di fatto non conoscevo, parlando un inglese livello “lesson one: The book is on the table and the window is open”, con mia moglie che non conosceva neanche una parola e con un bambino di appena 10 mesi. Eppure quel giorno sono tornato a casa e ho esordito con: “Cara, si va negli Stati Uniti per qualche anno… Cosa c’è per cena??”. Negli Stati Uniti siamo rimasti cinque anni e da un punto di vista professionale posso affermare che è stata un’esperienza estremamente positiva e formante. In quei cinque anni molto intensi ho avuto l’opportunità di imparare quello che normalmente un manager in Italia impara in quindici anni. Quando arrivai, mi trovai di fronte un campo verde e dopo cinque anni su quel terreno c’era una fabbrica perfettamente funzionante, in cui lavoravano oltre cento persone e (dettaglio non da poco) in utile. Sicuramente non è stato facile anche perché, a dispetto di quello che può sembrare, l’America è molto diversa da quello che ci si aspetta vedendola da turista o basandosi su qualche film visto al cinema. Il modo di lavorare delle persone è diverso, la mentalità è diversa, le aspettative sono diverse, per cui devi cambiare e adattare il tuo modo di lavorare, in modo che le persone attorno a te capiscano cosa vuoi e soprattutto ti seguano in quello che vuoi fare. Cosa che per altro è buona norma fare in qualsiasi Paese straniero tu vada. Ovviamente le difficoltà di adattamento non sono solo relative all’ambiente lavorativo, ma anche (e forse soprattutto) nella vita di tutti i giorni. Per cui alla fine vivere all’estero è un’esperienza forte per tutta la famiglia, che deve imparare ad adattarsi ad un modo diverso di vivere. Come dicevo prima, se non hai l’apertura mentale necessaria per capire che non sei più in Italia e che, essendo di fatto ospite in un Paese straniero, ti devi adattare agli usi e costumi di chi ti sta attorno, allora vivi veramente male e quella che potrebbe essere una possibilità di crescita personale può diventare un incubo da cui uscire al più presto.

 

Dopo la Virginia, la tua nuova destinazione è stata Nanjing. Dagli Stati Uniti alla Cina….Quali sono stati i disagi che avete affrontato in questo trasferimento?

 

Se trasferirsi negli Stati Uniti è stato uno shock non da poco, trasferirsi in Cina è stato probabilmente uno shock dieci volte più grande. All’improvviso ci siamo trovati veramente in un altro mondo, dove anche semplicemente andare a comprare del detersivo per la lavapiatti risultava essere un’impresa eroica. Il nostro ormai ottimo inglese, risultava essere del tutto inadeguato e per lo più inutile nella maggior parte delle situazioni, visto che in Cina pochissimi parlano inglese. Prova ad immaginare di trovarti di colpo in un luogo estremamente caotico e confuso, dove nessuno capisce quello che stai dicendo e allo stesso tempo tu non capisci quello che il tuo interlocutore ti sta rispondendo (tra l’altro sapendo per certo che la tua domanda non è stata minimamente compresa) e attorno a te non riesci a leggere nulla che ti possa in qualche modo aiutare a risolvere il tuo problema, qualsiasi esso sia… A questo aggiungi che la logica cinese è decisamente diversa dalla nostra per cui, soprattutto all’inizio, ti trovi molto spesso in situazioni paradossali che, sul momento ti fanno andare fuori di testa e poi magari, con calma, ripensandoci su, ti fanno sorridere o in alcuni casi piegare in due dalle risate, se sei persona di spirito. Ti racconto un episodio accaduto veramente, così riesci a comprendere ciò che voglio dire. Una signora straniera decise di andare all’Ikea, per cui prese un taxi e non sapendo come indicarlo al taxista, gli mostrò una borsetta di plastica dell’Ikea indicando il marchio. Il taxista millantò di aver capito e si avviò. Dopo mezz’ora si fermò a quella che secondo lui era la destinazione richiesta dalla signora, ovvero la fabbrica dove producevano le borsette di plastica dell’Ikea… Può sembrare una barzelletta ma è accaduto veramente.

 

Come hai preparato tua moglie e i tuoi figli ad affrontare questo “salto” culturale?

 

E’ stato il classico salto nel buio e certamente io non potevo prepararli, visto che io per primo non ero mai stato in Cina. Prima di partire mi ero comprato qualche libro sulla Cina per cercare di capire dove saremmo andati a finire, ma poi, una volta arrivati, mi sono reso conto che tutto quello che avevo letto alla fine non serviva a gran che nella vita di tutti i giorni. I libri che ho letto parlavano della Cina in termini di massimi sistemi, dimenticando che, sapere cosa abbia comportato la Rivoluzione Culturale di Mao non ti aiuta a capire come mai per chiudere un buco nel soffitto c’è bisogno di uno “special equipment” che sarà disponibile da lì a tre giorni, salvo poi scoprire che il suddetto “special equipment” è nient’altro che un secchio di plastica per fare il cemento… Nessuno ti può preparare ad esperienze del genere. Le devi vivere in prima persona, cosa che abbiamo fatto in quasi sette anni di Cina, ormai posso tranquillamente affermare che situazioni del genere rientrano ormai nei canoni della normalità.

 

Come avete vissuto quei tre anni? Quali sono stati gli aspetti positivi e quali quelli negativi della vostra permanenza?

 

Citando Nietzsche “Ciò che non ti uccide ti rende più forte”, per cui alla fine, visto che non solo siamo sopravvissuti ma non paghi viviamo ancora in Cina, di aspetti totalmente negativi francamente non ce ne sono stati. Nonostante tutte le difficoltà che abbiamo incontrato in quei primi tre anni, alla fine quando abbiamo lasciato Nanjing avevamo tutti le lacrime agli occhi. La Cina è come una droga che dà assuefazione, per cui nonostante tutto risulti complicato, difficile e il più delle volte incomprensibile, alla fine, non appena ti allontani, dopo pochi giorni ne avverti la mancanza e non vedi l’ora di tornare, soprattutto perché una volta “provata” la Cina, tutto il resto ti sembra generalmente noioso. Come dicevo prima, dipende tutto da come affronti l’esperienza. Per quel che mi riguarda a Nanjing sono stati tre anni molto intensi, a tratti certamente difficili, ma sicuramente positivi, che mi hanno permesso di crescere molto sia dal punto professionale sia dal punto di vista personale. E la cosa vale sicuramente anche per la mia famiglia che ha avuto l’opportunità/necessità di confrontarsi ed adattarsi ad una diversità culturale e sociale piuttosto importante. I miei figli ad esempio (13 e 9 anni) credo abbiano maturato un’apertura mentale e un’esperienza difficilmente riscontrabile in ragazzini della stessa età in Italia. Attualmente sono cittadini del mondo e visto come il mondo si sta evolvendo verso una globalizzazione totale, direi che in futuro saranno sicuramente avvantaggiati.

 

 

Quindi per quanto possa sembrare complicato l’adattamento per i bambini/ragazzi, devo dedurre che così non è stato, vero?

 

I bambini di solito sono quelli che si adattano più in fretta. In particolare i miei, essendo di fatto madrelingua inglese, non hanno avuto grossi problemi ad ambientarsi visto che frequentano una scuola internazionale dove, grazie alla facilitazione della lingua, si sono integrati immediatamente. Per mio figlio in realtà è stato molto più duro rientrare in Italia dagli Stati Uniti, perché per lui l’Italia era veramente un Paese straniero e parlando un italiano molto stentato ci ha messo un po’ ad ambientarsi. Quando finalmente ci è riuscito gli è stato comunicato che saremmo andati in Cina e lui, ricordando le difficoltà incontrate rientrando in Italia, non l’ha presa benissimo, non realizzando che in Cina sarebbe andato in una scuola internazionale dove tutti parlavano inglese. Nonostante le nostre rassicurazioni la Cina lo spaventava molto, tanto che un giorno è venuto da me dicendomi (in inglese) che lui non sarebbe potuto venire in Cina “… because I can not eat with the chopsticks.” (… perché non so mangiare con le bacchette). Alla fine, portandoci delle forchette da casa, siamo riusciti a farlo venire e ora sia lui che sua sorella vivono l’esperienza cinese molto serenamente e non hanno nessuna voglia di andarsene.

 

Cosa puoi raccontarci di Nanjing?

 

Nanjing è l’antica capitale cinese (il nome significa proprio capitale del sud) con una popolazione di sette milioni di abitanti. Quando siamo arrivati noi era ancora pura Cina, nel senso che l’occidentalizzazione che si può vedere a Shanghai o a Pechino, era ancora agli inizi e gli occidentali erano ancora visti come curiosi animali bipedi dagli occhi rotondi. Ricordo che dopo pochi mesi che eravamo arrivati, abbiamo deciso di andare allo zoo dove ci era stato detto che c’era una sezione dedicata ai panda. Considerato che nessuno di noi aveva mai visto un panda, ci siamo diretti immediatamente lì, dove centinaia di cinesi armati di macchina fotografica stavano immortalando il simpatico animale. Una volta arrivati noi però, tutti hanno smesso di fotografare il panda e hanno sorprendentemente incominciato a fotografarci, chiedendo anche di poter fare delle fotografie assieme a noi (alcuni anche offrendo del denaro…). Nei tre anni che siamo stati lì, abbiamo visto uno sviluppo e un cambiamento impensabile se rapportato ai canoni occidentali. Un anno e mezzo fa ci sono ritornato per lavoro e ho fatto fatica a riconoscerla… Non è ancora come Shanghai, dove di fatto è come essere a New York, ma sicuramente non è più la grigia città cinese dove sono arrivato nel 2006. In Cina tutto cambia molto in fretta. Se descrivessi la “mia” Nanjing del 2006, molto probabilmente un occidentale che ci vive attualmente direbbe che non sto parlando della stessa città.

 

A proposito di descrizioni…ad un certo punto hai deciso di scrivere un blog sulla tua vita in Cina. Come ti è venuta questa idea?

 

Il mio Blog è nato per caso, in un momento di sconforto, dopo un paio di settimane dal mio arrivo in Cina. Mi trovavo nel mio ufficio a Najing in un torrido ferragosto con 35 gradi e l’aria condizionata rotta. In quelle poche settimane mi erano già successe cose incredibili e mentre mi stavo domandando se il trasferimento in Cina fosse stata veramente una buona idea, ho cliccato per sbaglio su un Blog su libero.it e incuriosito ho iniziato a leggere. A seguire ne ho letti altri e ad un certo punto mi è venuta l’idea di aprirne uno mio, principalmente per psicanalizzare me stesso e così è nato “Te la do io la Cina!” (blog.libero.it/nanjing), dove ho iniziato a scrivere cosa mi succedeva ogni giorno nella Terra di Mezzo (così si chiama la Cina in cinese). All’inizio non avevo ben capito cosa avevo creato e pensavo di scrivere fondamentalmente solo per me… dopo poche settimane invece mi sono reso conto che quello che scrivevo veniva letto da centinaia di persone ogni giorno, le quali commentavano, facevano domande e soprattutto si alteravano se non scrivevo nuovi post per qualche giorno. Andando avanti la cosa è in qualche modo “degenerata” e ho iniziato a ricevere inviti a trasmissioni radiofoniche, richieste di interviste su giornali e riviste, lettori che volevano a tutti i costi incontrarmi, il tutto culminato con la pubblicazione del libro “Te la do io la Cina” tratto dal mio Blog da parte di Mursia, che sembra sia diventato il libro di riferimento standard per chi si sta accingendo a trasferirsi in Cina. Spesso accade che chi legge il libro (o il Blog) prima di trasferirsi in Cina, mi scrive dicendo che sono sicuramente molto divertente, ma ho anche tanta fantasia in quanto non è possibile che quello che scrivo sia realmente accaduto. A quel punto aspetto sornione e immancabilmente, dopo un paio di mesi, le stesse persone mi riscrivono in qualche modo scusandosi per non avermi creduto, poiché le stesse cose scritte da me sono accadute anche a loro… Perché la Cina è uguale per tutti… Io ho solo avuto voglia di raccontarla.Adesso purtroppo è un po’ che non scrivo, non perché di cose strane non ne accadano più, ma semplicemente perché a causa di impegni lavorativi non ho più il tempo che avevo prima.

 

Tornando al tuo percorso lavorativo, dopo 3 anni a Najing vi siete ritrovati di nuovo in viaggio, questa volta verso ZhuHai. Per quanto tempo pensi di rimanerci?

 

Non saprei, il mio contratto non ha una data di scadenza, potrebbe essere una condanna a divinis.

 

Hai parlato delle Virginia e poi di Najing, ora raccontaci qualcosa di ZhuHai.

 

ZhuHai è probabilmente uno dei posti più belli ed abitabili in Cina. E’ una cittadina da poco più di un milione di abitanti, si affaccia sul mare ed è attaccata a Macao e di fronte ad Hong Kong. E’ in forte espansione grazie anche alla vicinanza con Hong Kong, con la quale sarà collegata tra qualche anno da un ponte lungo una quarantina di kilometri, i cui lavori sono già stati avviati. E’ di fatto una città creata dal nulla nel 1987, per cui è tutto nuovo e relativamente pulito. Molto più bella di Nanjing dal punto di vista estetico. Poco inquinamento, clima temperato, città ancora a misura d’uomo. Inoltre, essendo una città di provincia, il costo della vita è ancora tutto sommato accettabile se confrontato con città come Shanghai o Beijing, in cui i costi possono spesso essere comparati con quelli a cui siamo abituati noi in Italia o comunque in occidente. Anche qui, come del resto in tutta la Cina, i prezzi stanno salendo vertiginosamente, siamo ancora lontani dal costo della vita a cui siamo abituati noi occidentali a casa nostra, ma per i cinesi abituati ad un costo della vita generalmente basso, questo è sicuramente un grosso problema. Il problema è che qui in Cina inizia ad esserci molta ricchezza (sempre molto ostentata tra l’altro), in particolare si sta sviluppando molto velocemente una classe media che prima non c’era e che ora si può permettere cose che fino a pochi anni fa non erano nemmeno immaginabili per una famiglia normale, creando una conseguente inflazione.

 

Quali sono i lati positivi e quelli negativi di questa piccola cittadina?

 

Come dicevo prima, si tratta di una città relativamente piccola (per gli standard cinesi ovviamente), sul mare, dove ci si sposta facilmente, il traffico è ancora accettabile, il clima è temperato, c’è molto verde… un bel posto insomma, che ha anche il vantaggio di essere attaccato a Macao e ad Hong Kong, dove è possibile ritrovare l’occidente e tutto quello a cui l’occidentale è abituato in madrepatria. Ciò nonostante ZhuHai è pur sempre una città piccola della Cina, dove sicuramente non puoi trovare tutto quello che città più grandi, quali Beijing e Shanghai, possono offrire. Per fare un esempio relativo all’Italia, è come confrontare Milano o Roma con Potenza dove l’aria è buona, la vita è tranquilla, il costo della vita è più basso, ma sicuramente le cose da fare sono inferiori.

 

 

Ci sono delle disparità tra la gente del posto e i turisti?

 

In cinese “straniero” si dice LaoWai. E’ un termine che ti identifica da quando metti piede in Cina e riassume il concetto che sei diverso da loro. Non importa quanto tu possa cercare di integrarti e quanto tu sappia della cultura cinese. Tu sei e sarai sempre un LaoWai. In effetti le differenze tra noi e loro sono molte (troppe) per far sì che ci sia un reale avvicinamento tra le due culture. C’è sicuramente apertura e curiosità reciproca, ma alla fine le differenze sono tali per cui si rimane in qualche modo serenamente separati in casa. Noi non capiamo loro e loro non capiscono noi. Il fatto è che noi occidentali per collegare un punto A con un punto B preferiamo usare una linea retta, mentre il Cinese, ai nostri occhi, esegue traiettorie che non siamo nemmeno in grado di catalogare. Il LaoWai di primo pelo che si scontra con queste illogicità, di solito va su tutte le furie e decide di cambiare la Cina commettendo un grossolano (seppur comprensibile) errore… Nessuno può cambiare la Cina… E’ la Cina che cambia te. Vivere in Cina è come fare rafting in un torrente in piena. Lo scopo del gioco non è risalire la corrente, ma arrivare a valle cercando di farsi il meno male possibile. Quando il LaoWai finalmente capisce questo, la sua permanenza in Cina diventa più semplice e produttiva. In particolare a quel punto si scopre che per motivi che la scienza non è ancora riuscita a spiegare, i cinesi, pur seguendo complesse traiettorie a dimensioni multiple, a volte riescono a raggiungere il sopramenzionato punto B in tempi molto più brevi rispetto al tempo che ci impiegheresti tu, seguendo la tua noiosa linea retta. Per cui io qualche volta, quando so già che seguire la linea retta sarebbe troppo lungo, dico semplicemente: “Portatemi al punto B” e poi chiudo gli occhi. Quando li riapro, con effetto teletrasporto, mi ritrovo se non proprio al punto B solitamente piuttosto vicino.

 

Che peso hanno queste disparità nella quotidianità?

 

All’inizio soffri molto perché ti sembra di vivere in un incubo, sia nel lavoro che nella vita di tutti i giorni. Ti senti totalmente scollegato con l’ambiente esterno, niente va come ti aspetti, cose semplici diventano complicatissime, ti senti impotente e senza controllo su tutto ciò che ti sta attorno. Ti senti a pieno titolo un LaoWai totalmente in balia della Cina. Poi per necessità impari a gestire le cose in maniera diversa, a capire in anticipo cosa stia succedendo, a capire cosa il tuo interlocutore cinese ti stia realmente dicendo a dispetto della traduzione letterale che lascerebbe intendere tutt’altro. Alla fine rimani comunque un LaoWai, quindi, agli occhi dei cinesi, potenzialmente terra di conquista, ma almeno impari le regole del gioco e se sei bravo puoi aspirare ad un pareggio fuori casa, che non è un risultato da disprezzare.

 

Com’è il clima?

 

Il clima qui a ZhuHai è generalmente caldo tutto l’anno con un alto tasso di umidità. Solo a dicembre e gennaio la temperatura scende fino a 14/15 gradi e mentre tu LaoWai ti metti un maglioncino, attorno a te vedi apparire giacconi con il pelo di lupo siberiano…

 

Cosa fai nel tempo libero?

 

Non ho molto tempo libero e durante la settimana sono spesso in giro. Per cui quando sono a casa cerco di stare con la famiglia e magari ci troviamo con altri LaoWai con i quali si fa terapia di gruppo, condividendo le stranezze che la Cina ci ha riservato durante la settimana.

 

Ah…bene! Tornando alla tua famiglia, come vive questa situazione da expat?

 

La mia famiglia è expat da dodici anni ormai, per cui per loro si tratta di una situazione di normalità. Normalità inserita in un contesto di precarietà, perché tutti sappiamo che prima o poi, come ci siamo già spostati dall’Italia, dagli Stati Uniti e da Nanjing, un giorno ci sposteremo anche da ZhuHai, lasciando luoghi, amici e ricordi per affrontare una nuova avventura chissà dove… Di solito è un momento triste che però fa parte della vita che stiamo conducendo e che abbiamo imparato ad accettare.

 

Se ti chiedessi dove ti vedi fra 10 anni quale sarebbe la tua risposta?

 

Domanda difficile… Se 10 anni fa mi avessero fatto la stessa domanda sicuramente non avrei risposto in Cina, dove in realtà sono ora. Per cui probabilmente la risposta più logica alla tua domanda è: in un posto dove non sono mai stato.

 

to*******@li****.it

 

 

A cura di Nicole Cascione

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