A Los Angeles per vivere di Musica: la storia di Alessio

 

Raccontare storie, descrivere i sentimenti, trasmettere attraverso la musica le emozioni vissute, questo è lo scopo di Alessio Miraglia, polistrumentista, appassionato di musica classica ed elettronica, innamorato dell’arte e della musica in particolare. Dopo un interessante percorso artistico fatto di delusioni, sacrifici e tante soddisfazioni, Alessio si è trasferito negli States con la famiglia, dove ha iniziato una nuova carriera artistica. “A Los Angeles essere musicista è una professione come può esserlo il medico, il chirurgo, il fisico. In Italia è ritenuta una passione ed i professionisti a stento riescono veramente ad essere riconosciuti tali e soprattutto a vivere svolgendo questo lavoro”.

 

Alessio, per quale motivo hai deciso di trasferirti a Los Angeles?

Con la mia famiglia abbiamo preso una decisione prettamente lavorativa. Mia moglie è uno scienziato e ha trovato lavoro a Los Angeles al Getty Museum ed io, da compositore, ho iniziato la mia nuova carriera artistica.

 

Quali strumenti suoni? E cosa cerchi di trasmettere attraverso la tua musica?

Sono un polistrumentista, suono chitarra, Sinth, pianoforte, violoncello. La musica è la mia anima, da sempre il mio mezzo d’espressione; quando scrivo cerco di essere il più semplice possibile così da essere reale, me stesso, senza pensare a conquistare obiettivi commerciali, ma semplicemente per appagare ciò che ho dentro, dire ciò che vorrei dire. Nel mio ultimo album ho raccontato una storia vera, la storia di un homeless di colore che incontrai a Boston. E’ questo ciò che voglio fare nella musica, raccontare storie, i sentimenti che mi travolgono. L’istinto che trasforma un uomo in artista sta proprio nel trovare un modo per esprimere i suoi concetti, le sue paure, debolezze, o sorrisi  e gioie…Sono innamorato dell’arte e della musica in particolare.

 

 

Quando e perché hai intrapreso la strada della musica?

Un giorno, mentre ero nell’auto di mia sorella, mi capitò di ascoltare Edoardo Bennato. Ne rimasi folgorato, i suoi testi e le sue melodie entrarono in me come un virus. Mi affascinò la capacità della musica di entrare nella testa e nel corpo delle persone. Da quel momento ho iniziato ad ascoltare tanta musica e a suonare la chitarra acustica. La svolta che mi portò a diventare un musicista e per di più un compositore avvenne inevitabilmente quando conobbi i Queen. Quella musica, quell’armonia, quei cori, quegli assoli, la voce divina…mi portarono alla svolta decisiva. Iniziai un percorso artistico molto interessante fatto di sacrifici, delusioni, ma anche molte soddisfazioni. Quando morì mio padre, ricordo che gli strinsi fortissimo la mano e gli promisi che l’avrei ricordato sempre in ogni mia canzone. Da quel momento intrapresi la strada dello scrittore e compositore e da allora non ho più smesso di scrivere. Comporre era diventato un modo per stare vicino a lui e successivamente a mia mamma. Ancora oggi scrivo per loro e mi sento bene. La musica mi ha plasmato anche come persona, quando si lavora con essa e si è parte di un mondo di musica, la tua vita è sempre eccitante.

 

Quali sono gli aspetti di Los Angeles che ti hanno colpito e che ti hanno spinto a restare?

Sicuramente a Los Angeles ho capito come fare musica sul serio, come lavorare da professionista e con professionisti. Sono maturato artisticamente, ma soprattutto come professionista. Il fatto di doversi confrontare con realtà al top, ti spinge ad essere al top. Ho avuto la fortuna di conoscere Tim Starnes, uno dei più famosi Music editor & Sound Engineer di sempre. Lui mi ha decisamente preso per mano e condotto verso questo livello di professionalità che ora mi appartiene. Non so se resterò a Los Angeles, per quanto sia una città adatta alla carriera artistica, ha un rovescio della medaglia non indifferente, poiché umanamente si regredisce. Io sono comunque italiano e sono abituato a relazionarmi con le persone in un modo molto forte, qui invece, la relazione interpersonale si ferma molto spesso al saluto e a qualche chiacchiera, poi diventa tutto soldi e business. Ora non voglio generalizzare, ma devo dire che sotto il profilo umano qui non è il massimo. Vorrei girare e conoscere posti nuovi, amo Boston, avrò un’esperienza a Chicago. Diciamo che non voglio focalizzare la mia vita in una città come Los Angeles.

 

Quali sono i pro del tuo lavoro di musicista:

1) Riuscire a trasmettere sensazioni ed emozioni. Io vedo la musica come una sorta di magia.

2) Scrivere e comporre musiche, atmosfere, melodie, armonie, viaggi, racconti, dire, raccontare, urlare, piangere, essere in un viaggio infinito. Il musicista ha in sè un potere non definito, ma concentrato in una frase: essere tutto ciò che si vuole essere, trasformandosi in tutto ciò che si vuole essere

3) Il modo in cui si pensa, il modo in cui si risolvono i problemi, i punti di vista, il modo di vivere e la passione forte verso tutto. Il musicista è un personaggio molto particolare ed amo essere molto particolare.

 

Cosa ti ha offerto in più Los Angeles professionalmente rispetto all’Italia?

Professionalmente tutto, mi dispiace dirlo, ma l’Italia è veramente dietro anni luce in quasi tutto. A Los Angeles essere musicista è una professione come può esserlo il medico, il chirurgo, il fisico. In Italia è ritenuta una passione ed i professionisti a stento riescono veramente ad essere riconosciuti tali e soprattutto a vivere svolgendo questo lavoro. E’ un discorso molto lungo, quando tornerò in Italia vorrei un giorno potermi smentire.

 

Pensi che in Italia ci sia spazio per l’arte e la musica?

Per l’arte e la musica c’è sempre spazio, è nel DNA dell’essere umano e soprattutto nella cultura italiana. Come detto in precedenza, la differenza magari sta nel considerare l’arte e la musica come professione. Ci sono pochi investimenti, c’è poco insegnamento artistico nelle scuole, c’è poca arte e musica vera nella TV e nella vita di tutti i giorni. Avremmo bisogno, da italiani, di ritrovare la nostra essenza che è andata un pò persa. Noi ci siamo voluti Americanizzare (con i talent show, la musica commerciale, ecc…) senza però capire che in America queste cose sono fatte da professionisti e con professionalità. Oltre i talent scout e le musiche di facile consumo, c’è un mondo parallelo immenso. In Italia anche, ma è confinato nella parola UNDERGROUND.

 

 

Come e in cosa è cambiata la tua vita in questi anni di vita all’estero?

Vivo di musica e con la musica, ho imparato ad essere un professionista serio e determinato e soprattutto ho sviluppato la mia arte e ho alzato l’asticella del mio livello artistico. Sono pronto a tutto.

 

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Fare tanti dischi, esplorare tante situazioni e generi, ma soprattutto scrivere musiche per film e documentari e concretizzare tutti i miei sogni. Perché se non si hanno sogni non si può essere un Artista.

 

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A cura di Nicole Cascione

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