Qui Polonia e Italia, il blog di Flavio D’Amato da Wroclaw

 

 

Sotto certi aspetti la vita non deve essere vista come una strada a senso unico e senza bivi, quanto piuttosto come un percorso a tappe: non so cosa ci sarà fra 5, 10 o 20 anni, ma il presente e il futuro prossimo sono in Polonia”. Rzeszów, Cracovia e Varsavia, queste le città in cui ha vissuto Flavio D’Amato che attualmente vive a Wrocław, dove, oltre a lavorare per una multinazionale, ha creato e sviluppato Qui Polonia & Italia, un blog in cui vengono affrontati diversi temi, dalla ricerca di un lavoro al costo della vita, oltre a video e informazioni di vario genere per chi desidera recarsi in loco. 

 

Sono nato e cresciuto a Copertino (Lecce), dove ho frequentato il liceo linguistico, e visto che studiavo sia inglese che francese dall’età di 11 anni, è venuto quasi da sé laurearmi in lingue straniere, sempre nel Salento. Nel presentare domanda per l’Erasmus durante gli studi universitari, non mi ero posto l’obiettivo di andare nelle solite mete, come Inghilterra, Spagna o Irlanda, quanto quello di visitare un Paese che davvero non conoscevo e avere un’esperienza di vita totalmente nuova e diversa. Sono nati così i miei 5 mesi a Rzeszów nel 2006. Mi si sono aperte porte di cui non conoscevo neanche l’esistenza ed ho scoperto un nuovo mondo non solo climaticamente, ma anche linguisticamente (l’impatto con il polacco non è dei più semplici) e culturalmente, visto che della Polonia non sappiamo molto e quel poco è talvolta distorto da alcuni stereotipi. Tornato a Lecce mi sono incarnato mio malgrado nell’emblema oggigiorno diffuso: una volta laureato, ho lavorato in un call-center con contratti a progetto. Con il tempo, continuava a non prospettarsi niente di interessante o di concreto che fosse legato ai miei studi o alle mie conoscenze, nel luogo in cui lavoravo come pure nel resto del territorio. E’ solo dopo la laurea che mi si è riaccesa la lampadina della Polonia, un posto dove, bene o male, lingua, cultura ed economia italiane sono discretamente diffuse o popolari”.
 

E cosa hai fatto?
 

Dopo aver sondato un po’ il terreno tramite internet ed alcuni amici polacchi, nel 2009 ho deciso finalmente di provare a cambiare vita tramite due step pensati a priori: dapprima il Leonardo mi ha portato a Cracovia per 3 mesi per uno stage e subito dopo mi sono trasferito a Varsavia, dove ho vissuto per due anni e mezzo mantenendomi discretamente come insegnante di italiano in più scuole private e integrando con collaborazioni in veste di traduttore o consulente. Oltre all’adesione al progetto Goodbye Mamma, rivolto a chi vuole lasciare l’Italia, in quegli anni ho creato e sviluppato il blog Qui Polonia & Italia, di cui magari parleremo dopo. Dal momento che aprire una mia partita IVA non mi aveva mai attirato, ovviamente cercavo anche un contratto a tempo indeterminato in loco. Le offerte e le proposte non mancavano, ma preferivo qualcosa in cui sfruttare meglio le mie conoscenze e crescere professionalmente e così decisi di considerare anche offerte fuori da Varsavia. Dopo poco tempo mi sono trasferito a Wrocław, dove lavoro stabilmente per una multinazionale.
 

Quando ti sei trasferito in Polonia, lo hai fatto pensando ad una soluzione definitiva?
 

In pratica sì, non ho mai pensato a parentesi di pochi mesi o di un anno. In quanto al lavoro poi, ero dell’idea che le esperienze brevi nel curriculum non solo contano poco e nulla, ma rischiano perfino di danneggiarti nella ricerca di un’occupazione o nella crescita professionale. Chiaramente, se è possibile coltivare più possibilità, tanto di guadagnato, ma con l’obiettivo poi di proseguire a lungo termine con almeno una delle strade intraprese. E’ quello che ho fatto io e a posteriori posso dire che l’approccio che ho avuto e che sto ancora applicando non era sbagliato. Per il resto, non posso di certo dire che rimarrò per sempre in Polonia o che non tornerò mai più in Italia. Sotto certi aspetti la vita non deve essere vista come una strada a senso unico e senza bivi, quanto piuttosto come un percorso a tappe: non so cosa ci sarà fra 5, 10 o 20 anni, ma il presente e il futuro prossimo sono in Polonia.
 

Mi hai accennato poco fa a "Qui Polonia & Italia". Ci spieghi meglio di cosa si tratta?
 

Qui Polonia & Italia è nato praticamente per caso, non c’era nessuna idea precisa sugli articoli da postare, e comunque era un qualcosa di prettamente amatoriale. Accadevano alcuni episodi curiosi o alcune riflessioni che avevo voglia di mettere nero su bianco, giusto per passare un po’ il tempo. Solo dopo, mi sono reso conto che avevo sempre qualcosa di cui scrivere. Così ho corretto un po’ il taglio editoriale trattando anche argomenti più utili a chi per esempio voleva venire in Polonia per turismo o per viverci e si è venuto a creare un insieme di articoli, i cui toni sono a volte più seri e a volte più scanzonati e i temi utili o curiosi, sulla Polonia, sull’Italia, sul rapporto tra le due nazioni. In particolare sulla Polonia si parla di come si può cercare un lavoro, del costo della vita, ci sono racconti e consigli sui vari aspetti della vita quotidiana e poi esperienze, interviste, stereotipi, lingua, cultura, curiosità, video e informazioni di vario genere per chi vuole recarsi in loco. C’è ancora altro su cui scrivere, ma già ora è presente una discreta mole di materiale da consultare. Oltre alla costituzione di Goodbye Mamma e a contatti con altri progetti dello stesso tipo, arrivano anche richieste di interviste qua e là e riconoscimenti simbolici a testimonianza di quel che si è fatto. Esiste anche un gruppo Facebook il quale, sebbene sia stato creato solo meno di un anno fa, sta crescendo tanto ed è già un punto di incontro per italiani e polacchi. Insomma, per essere nati per caso, blog e gruppo mi stanno regalando delle piccole soddisfazioni.

 

 

Ecco, prendiamo ad esempio la ricerca di un lavoro: quali sono i canali che si usano? Si può fare tutto da soli?
 

E’ quasi superfluo dire che il mezzo di ricerca e di comunicazione per eccellenza è internet, dove oramai tutto il mondo è registrato, pena l’assenza di visibilità. Vi sono varie agenzie di lavoro, tutte riportate nel blog, in cui è possibile registrarsi o cercare annunci di offerte di lavoro, anche in inglese. Oltre a questo, sicuramente molti consigli e aiuti possono essere dati da alcuni amici del posto, anche perché, ricordando la mia esperienza, il più delle volte chi è un neofita della Polonia ha una conoscenza della lingua locale pari quasi allo zero. La fusione tra le due cose sarebbe l’ideale: i contatti polacchi che si hanno possono segnalare varie possibilità, fornire qualche sito da consultare o aiutare in qualche ricerca specifica che si vuole fare, ad esempio sulle aziende dove poter mandare il CV, italiane e non. Senza il sostegno dei polaccofoni il raggio di ricerca sarebbe sicuramente più limitato proprio a causa della lingua. Tuttavia, ciò non significa che la cosa in sé sia una mission impossible. I siti delle multinazionali sono in inglese, come anche quelli di alcune agenzie di ricerca del lavoro. Nel mio piccolo, ho trovato interessante un social network chiamato Goldenline, un ibrido tra Linkedin e Facebook in cui una persona può rendere pubblico il proprio CV in toto o in parte e allo stesso tempo può iscriversi a dei gruppi (dai più impegnati ai più futili) per interagire con i membri. E’ utile per cercare qualche offerta di lavoro o addirittura per ricevere qualche proposta da parte di qualche recruiter che ti trova sul sito. Che io sappia, in Italia non esiste un sito del genere.
 

E nel tuo caso, prima di arrivare a lavorare in una multinazionale, hai dovuto sostenere diversi colloqui di lavoro?
 

Nel mio caso premettiamo che l’intensità della mia attività di insegnante di italiano e di altre collaborazioni non rendevano la mia ricerca del lavoro particolarmente pressante. Nonostante ciò, di tanto in tanto ricevevo delle e-mail o delle telefonate sia da multinazionali che da aziende più piccole al fine di sostenere dei colloqui, che ovviamente accettavo con piacere. A volte la mansione proposta non mi allettava e in altre situazioni ero io a pretendere un po’ troppo in termini di condizioni lavorative o semplicemente di aspettative economiche che le aziende preferivano non concedere, almeno all’inizio. L’aspetto interessante, secondo me, è che ciò che mi spingeva ad avere questo approccio era il non sentirmi all’ultima spiaggia. In altre parole: sebbene la mia ricerca del lavoro non fosse così insistente, avevo comunque dei colloqui di lavoro con aziende di vari settori e con posizioni degne almeno di essere considerate.
 

Ora parliamo un po’ delle differenze tra il mondo lavorativo polacco e quello italiano. Come descriveresti il processo di selezione ed assunzione nel Paese in cui ti trovi?
 

Generalmente il processo di selezione è piuttosto omogeneo tra le varie aziende in Polonia e credo che non sia molto diverso dal metodo usato in Italia. E’ composto perlopiù di due o tre tappe: una prima tappa telefonica, in cui il recruiter cerca di avere un primo identikit del candidato e vedere se rientra nei parametri fondamentali (breve panorama sul CV e aspettative economiche). Dopodiché subentra la seconda tappa, quella più importante, in cui si parla in modo più approfondito delle esperienze e delle abilità del candidato, testandole con domande di vario tipo. La norma vuole che questo secondo colloquio si svolga di persona, ma non mancano casi in cui l’intero processo di selezione viene svolto interamente via telefono o in call-conference (un bel vantaggio qualora ci si trovi in un’altra città della Polonia, se non in Italia). La terza tappa di solito è quella dell’offerta concreta di lavoro. Quando bene o male si sa come rispondere alle domande e soprattutto si sa cosa e quanto si può pretendere, le possibilità salgono un po’, ma ho l’impressione che uno straniero, in certi contesti, abbia comunque un filo di vantaggio rispetto ad un polacco (ovviamente se si dimostra di avere le capacità per una determinata posizione). Anche per quanto riguarda l’assunzione, in Polonia c’è un processo di stabilizzazione simile a quello italiano: generalmente si attua con un contratto a tempo determinato di tre mesi, a cui segue il contratto a tempo indeterminato o al massimo una proroga del contratto precedente. Ma dopo di ciò l’azienda non può stipulare un terzo contratto precario. O si è dentro o si è fuori. D’altro canto, anche qui si usano sovente i contratti a progetto, spesso reiterati, specie in determinati settori di lavoro, come la ristorazione o le attività commerciali.

 

 

A livello quantitativo, com’è la richiesta di lavoro rispetto all’Italia? E cosa si ricerca maggiormente?
 

Credo sia difficile quantificare in modo preciso, ma se dovessi basarmi su ciò che sento in Italia e ciò che vedo dove abito ora, direi che in Polonia il mercato del lavoro sembra in continua evoluzione. Nonostante il tasso di disoccupazione sia salito di colpo al 14% (+0,6% rispetto a dicembre), ci sono aziende che cercano competenza e, se possibile, stranieri in loco: con l’insediamento o la delocalizzazione di molte multinazionali si può trovare un po’ di tutto, contabilità, analisi di mercato, informatica, risorse umane, edilizia, back-office, servizi vari. Si può anche pensare di avviare attività autonome che vanno dall’impresa alle consulenze fino al "semplice" ristorante o pizzeria, visto che le agevolazioni fiscali dei primi due anni e la burocrazia meno farraginosa di quella italiana aiutano molto. Oltre a questo, se si mastica anche il polacco se ne trae solo un vantaggio e potrebbero aprirsi altre strade. Chi ha studiato filosofia, arte o letteratura può avere qualche difficoltà in più, ma non vuol dire che non c’è nessuna speranza. Anche nel mondo operaio qualcuno arriva e qualcuno va via e c’è un po’ di confusione: nel 2013 ad esempio la Fiat ha tagliato 1500 posti nel suo stabilimento polacco a Tychy, sebbene avesse progettato di voler produrre la prossima 500 solo in Polonia. Ma nell’automotive (macchine o componenti auto) sia la Fiat che decine di altri brand sono in Polonia e vogliono rimanerci, e in questo il Paese si attesta molto forte in Europa. Insomma, è chiaro che non è tutto rose e fiori, ma una cosa che ci tengo a puntualizzare, sebbene ovvia, è che non si può pretendere sempre di avere già il piatto pronto o di ricoprire la posizione desiderata. Un po’ di gavetta all’inizio ci sta, in Polonia come ovunque, ma nel mondo del lavoro l’importante è entrarci e cominciare davvero. Poi il resto verrà strada facendo.
 

Qual è lo stato di salute dell’economia del Paese?
 

Negli ultimi anni la Polonia è stata una delle migliori nazioni d’Europa per quanto riguarda la crescita del Prodotto Interno, tanto da non esser mai andata in segno negativo neanche nei due picchi della crisi (2008-9 e 2013). Buoni risultati anche per il contenimento del debito pubblico (attualmente intorno al 55% – in Italia è di oltre il 130%). Tuttavia bisogna ricordare due cose: la prima è che i cospicui fondi europei giocano un ruolo importantissimo per la modernizzazione della Polonia, che dunque pesa molto di meno ai conti pubblici, e la seconda è che l’economia del Paese è strettamente legata con quella dell’"area Euro", per cui se le cose vanno male lì, anche la Polonia ne risente un po’. Questo è uno dei motivi per cui non si può dire con certezza se l’indipendenza monetaria della Polonia sia un vantaggio reale o se dopotutto non influisca più di tanto. Fatto sta che il Paese ha conosciuto dagli anni ’90 in poi un processo di modernizzazione rapidissimo, fatto di liberalizzazioni e di implementazione di infrastrutture urbane e interurbane. Questo è più evidente nelle grandi città: i centri storici sono stati ristrutturati, strade, linee di bus e tram sono state sviluppate, l’edilizia urbana prospera e anche in quanto ad autostrade e rete ferroviaria si sta pian piano portando il Paese a livelli più "europei". Il futuro sembra essere ancora più positivo, visto che per il periodo 2014-2020 la Polonia riceverà dall’Unione Europea fondi per un totale di ben 105,7 miliardi di Euro, più degli altri Stati. Suppongo che sia il settennato decisivo, quello che dovrebbe mirare a dare la definitiva spinta della Polonia ai livelli occidentali.
 

Come sono qualità e costo della vita?
 

Sicuramente la qualità della vita è migliore di quella imbrigliata nel nostro immaginario quando pensiamo alla Polonia. Il progresso si è ripercosso nella vita di tutti i giorni e anche questo è più facile a vedersi nelle grandi città. Parlando di alimentari o abbigliamento, non ci sono più soltanto i piccoli negozi a gestione familiare o le piccole catene come in epoca sovietica, e nei negozi stessi c’è più varietà nella scelta, si possono trovare prodotti di qualità, provenienti da ogni parte del mondo. Aumentano anche caffetterie, ristoranti, pub e locali per divertirsi, seguendo la scia dello standard europeo. Se rapportiamo il costo della vita con lo stipendio medio, la differenza con l’Italia non è così ampia come si potrebbe pensare, ma se non facciamo questo rapporto, si spende sicuramente meno. Su "Qui Polonia & Italia" è pubblicato anche un paniere piuttosto dettagliato: frutta, verdura e altri prodotti hanno dei prezzi più bassi, come anche l’abbonamento ai mezzi pubblici, cinema, teatro o l’ingresso e la consumazione in un locale (per entrare ti possono chiedere 1,5 – 2,5€ e non mi è mai capitato di pagarne più di 5; ½ litro di birra, che in Polonia è una birra "normale", si trova a 2 – 2,5€). Stesso discorso anche per altri tipi di costi come la benzina (1,3€), la corsa di un taxi, una copertura assicurativa, il mutuo per una casa… Tuttavia bisogna dire anche che ci sono altri articoli con prezzi praticamente uguali a quelli italiani, se non maggiorati: parlo di molti prodotti di tecnologia, di abbigliamento firmato e in genere tutto ciò che è importato dall’Europa Occidentale (incluso il cibo). Qui sì, il peso dei costi si fa ancora sentire sullo stipendio polacco, specie tra i ceti medio-bassi, e chi volesse concentrare le proprie spese su quel tipo di prodotti potrebbe trovare più difficoltà nel gestire il budget mensile. Ma per grandi linee oserei dire che tutto è quasi in proporzione. Solo dieci anni fa il divario era molto più ampio.
 

Come rapporti la retribuzione rispetto a quella italiana? Quali differenze ci sono? E’ effettivamente più bassa?
 

Come per la tua domanda precedente, dipende se parliamo in senso assoluto o in proporzione al costo della vita, poiché un confronto secco non è facile. Ci sono tanti fattori in gioco, il tipo di lavoro, il vivere in una città grande o piccola e se non li si considera si rischia di cadere troppo nell’approssimazione. Giusto per dare alcune informazioni preliminari, in Polonia è piuttosto visibile la differenza tra le zone più dinamiche e ricche (vedi Varsavia, Katowice, Cracovia, Danzica…) e quelle con un’economia più stagnante, come certe zone rurali o alcune regioni orientali; sicuramente gli impiegati pubblici o determinate categorie di operai non hanno lauti stipendi, e a suo modo i sintomi della crisi economica globale ci sono anche qui. D’altra parte, una persona competente e/o istruita può ottenere un lavoro che rende e ci si può permettere una vita senza troppi problemi. In termini assoluti lo stipendio polacco è più basso, ma sarebbe opportuno compararlo al costo della vita: alcune statistiche del 2012 dicono che lo stipendio netto medio italiano non arriva a 1.300€, mentre quello polacco è sui 2.600 złoty (circa 630€); la soglia di povertà relativa in Italia è quantificata sui 620€, mentre in Polonia si attesta sui 1180 złoty (290€). E non bisogna trascurare neanche la pressione fiscale: in Italia per un dipendente è ormai quasi al 50%, mentre in Polonia si è ancora lontani da quei livelli.
 

Ci racconti qualcosa del posto in cui vivi?
 

Personalmente, il mio primo impatto con la Polonia è stato come essere scaraventati in un altro mondo: l’incomprensibilità delle insegne che si leggono per strada o nei negozi dà la sensazione di essere in Giappone, i prodotti che si trovano nei supermercati sono in parte diversi da quelli che si trovano in Italia, le abitudini e gli orari anche. Quindi è necessario un periodo di rodaggio di almeno 3-4 settimane per iniziare a capire come funzionano le cose. Se si vuole vivere "alla polacca", la colazione è quella tipica continentale (formaggi, panini, affettati, uova…); il pranzo avviene tra le dodici e l’una e la cena – più leggera della nostra – tra le 18 e le 19. Tra i piatti della cucina tradizionale polacca, molti dei quali buonissimi, è presente una buona varietà di zuppe, pietanze a base di pollo, verza, maiale, patate e si usano anche cetrioli, barbabietole, mele, pomodori e perfino le radici di prezzemolo e sedano, per me una novità totale. I negozi non hanno un orario diviso in due, come spesso accade in Italia, ma fanno orario continuato, ad esempio dalle 9 alle 17 o dalle 10 alle 18. Ad eccezione dei centri commerciali e di pub e ristoranti, è difficilissimo trovare una qualsiasi attività commerciale aperta prima delle 9 o dopo le 18. Un aspetto interessante, ben trattato anche nel blog, è la confutazione di molti stereotipi: l’Est Europa non è una pangea culturale, ma ogni nazione ha la propria lingua e cultura; la Polonia non è vicina alla Siberia ma, guardando bene, costituisce la vera Europa Centrale; anche il clima non è quello tipico "siberiano" e non presenta differenze con le temperature medie di Germania o Austria (che non paragoniamo di certo alla Russia); i polacchi, sì, bevono vodka, ma non nelle quantità esorbitanti che immaginiamo. Le ragazze non sono facili come invece si pensa: essendo loro fan della mentalità latina, è quasi una conseguenza che ci sia una certa attrazione anche per gli uomini, ma spesso la loro socievolezza viene scambiata per altro e talvolta qualcuno ne approfitta. Volendo andare contro la corrente dei luoghi comuni, potrei dire che molte polacche hanno perfino più valori di tante ragazze di altre nazionalità.

 

 

E il rapporto tra la gente?
 

In genere la gente è socievole, disponibile, pronta ad aiutarti se chiedi un’informazione o un aiuto. Se non si parla il polacco, non è difficile trovare qualcuno che parli un po’ d’inglese per poter comunicare. Certo, c’è anche chi preferisce non socializzare troppo con gli stranieri, come c’è anche chi alza un po’ il gomito e risulta fastidioso, ma sappiamo che è cosi un po’ dappertutto e che ciò costituisce solo una percentuale minima della popolazione, quindi non si rischia di morire di solitudine o di mancata assistenza in qualcosa. Una delle cose che mi ha colpito è il valore che molti danno all’amicizia. Generalizzando un po’, noi italiani siamo famosi per chiamare una persona "amico" anche se la si conosce dopo un giorno o non c’è nessun legame solido. In Polonia invece si usano di più i termini "colleghi" (di lavoro o università) e "conoscenti" (persone che si incontrano anche nel tempo libero). Gli "amici" sono una cerchia ristretta di persone, sono quelli con cui si è veramente instaurato un legame che dà senso al concetto di amicizia. Per quanto riguarda il rapporto specifico tra noi e loro, con il tempo mi si è formata una visione delle cose che spiegherebbe questa alchemica attrazione tra mondo slavo e mondo latino. Tutto è basato sull’esoticità, visibile sotto due punti di vista. Il primo, riconosciuto da tutti, è la bellezza che l’Italia ha in quanto a paesaggi, clima, arte e gastronomia e per cui i polacchi vanno pazzi. Il secondo è più evidente tra gli uomini italiani e le donne polacche ed è biunivoco: semplificando, gli italiani hanno un debole per le caratteristiche fisiche delle polacche (poiché diverse da ciò che si vede di solito in Italia), fisico che incide sull’espressione della loro femminilità; le donne polacche a loro volta trovano attraente non solo le caratteristiche fisiche dell’uomo latino, ma anche lo stile, la passione e la galanteria con cui trattano una donna (poiché diverso da ciò che si vede di solito in Polonia). Si sa che negli stereotipi c’è spesso una verità parziale e secondo me è con quest’incrocio di attrazioni che si sono venuti a creare i luoghi comuni della donna facile dell’Est come del dongiovanni latino.
 

Come sono le città polacche dove hai vissuto in precedenza?
 

In passato ho vissuto in altre tre città, Rzeszów, Cracovia e Varsavia. Esiste una Polonia meno ricca ed economicamente più statica ed è quella orientale e montana (estremo Sud e ai confini con Slovacchia e Ucraina): Rzeszów, la prima città dove mi sono insediato, si trova proprio a Sud-Est. In effetti non ho avuto l’impressione che fosse una città economicamente ricca e quando qualche polacco viene a sapere che ho vissuto a Rzeszów non riesce a trattenere un sorriso, chiedendosi il perché di quella scelta. Nonostante ciò ci sono stato bene, la città vecchia è piacevole e non mancano pub e locali. La gente è socievole e in questi anni il territorio sta conoscendo nel suo piccolo un suo sviluppo economico e strutturale. Cracovia invece è a Sud-Ovest e la trovo molto somigliante a Wrocław. E’ una città viva, ci sono molti universitari e ha un centro storico ricco di storia e bellezze gotiche. Inoltre è la capitale della vecchia Polonia, ospita il castello di Wawel (antica sede dei sovrani polacchi), la piazza più grande d’Europa e il quartiere ebraico di Kazimierz. A Cracovia e dintorni si sono insediate varie multinazionali produttrici di beni e servizi. Nel tempo libero, passeggiare in centro è sempre un piacere. Varsavia infine è un po’ come Milano per l’Italia: città moderna (dopo la sua distruzione durante la II Guerra mondiale) e fulcro dell’economia e della politica polacca, si distingue per l’efficienza dei servizi come anche per la frettolosità della gente. Certo, il centro storico non può essere paragonato a quello di Cracovia, ma anche qui i posti da vedere ci sono, il Palazzo della Cultura, le stradine della città vecchia, Nowy Świat, Krakowskie Przedmieście, vari musei e altro ancora. Ovviamente sono presenti discoteche e locali e il numero e la quantità dei parchi e delle zone verdi lascia positivamente sorpresi.
 

E ora Wrocław. Quali sono i pro e i contro del viverci?
 

Wrocław è una città con radici antiche, che adesso conta circa 630mila persone. E’ piuttosto simile a Cracovia sia per il fermento universitario che per l’architettura gotica della città vecchia. Il centro è stato costruito proprio nel punto in cui il fiume Odra si apre in una serie di biforcazioni che creano delle piccole isole nella parte superiore della stessa città vecchia. Anche per questo, per un turista come per un abitante del posto, è difficile risalire al numero esatto di ponti. All’epoca del Terzo Reich, è stata la seconda città più ricca dell’Impero tedesco e adesso è uno dei luoghi in cui si concentrano le sedi operative di molte multinazionali di vari settori (insieme a Cracovia e Katowice). I lati positivi sono sicuramente l’essere una città giovane e viva, con spettacoli e iniziative, una città in cui i luoghi da vedere e le zone per passeggiare tranquillamente ci sono e non annoiano neanche vivendoci. Penso alla Piazza centrale, a Hala Stulecia, a Ostrów Tumski, a Panorama Racławicka, al giardino giapponese, allo zoo, all’orto botanico e a tanti altri posti… Gli unici talloni d’Achille che mi vengono su Wrocław sono il traffico nelle ore di punta e l’alto tasso d’inquinamento che ne consegue: gli ingorghi possono far perdere molto tempo, e sono molte le strade in cui mancano le corsie per i mezzi pubblici. Questo a volte influisce negativamente anche sull’efficienza e la puntualità di bus e tram.
 

Cos’ha la Polonia che l’Italia non ha?
 

Sotto alcuni aspetti, sia positivi che negativi, Polonia e Italia sono due Paesi più simili di quello che pensiamo. C’è la cordialità, l’accoglienza degli ospiti, la forte influenza della Chiesa, la presenza di una politica non sempre all’altezza. Una cosa in cui prima eravamo diversi dalla Polonia mentre ora ci somigliamo di più è legata alla disoccupazione, per entrambi parliamo del 12-14%, e l’eccessivo scarto tra gli altissimi stipendi delle classi più agiate e il malessere di pensionati e operai. Sulle differenze, invece, ho l’impressione che la percentuale di giovani polacchi con idee fresche già introdotte nel mondo lavorativo sia maggiore che in Italia, dove il settore è più asfittico per le nuove generazioni. Un altro punto a favore della Polonia è dato dall’amor di patria da cui noi possiamo solo imparare. Il loro legame per la nazione lo si può vedere in vari contesti, mentre da noi ci limitiamo soprattutto alle partite di calcio della nazionale (o allo sport in genere) e per il resto forse il nostro patriottismo emerge solo se a parlare male dell’Italia è uno straniero.

 

 

C’è un qualcosa del tuo essere italiano che ti ha aiutato nel tuo percorso di vita all’estero?
 

Prima ti ho raccontato di come gli italiani siano benvisti in Polonia, quindi se si vogliono conoscere delle persone, nel nostro caso non è difficile. Essendo più facile tessere dei buoni rapporti, è più facile ricorrere ad essi se abbiamo bisogno di aiuto per qualcosa. Come succede ad alcuni, anch’io una volta mi sono trovato davanti il solito gruppetto di bulli in vena di rompere le scatole, forse proprio per il mio essere straniero, ma per fortuna non ci sono state conseguenze negative. Aldilà di questa parentesi, c’è il luogo comune secondo cui gli italiani sono bravi ad arrangiarsi e a cavarsela in ogni situazione, e io finora me la sono sempre cavata in qualche modo. Non so fino a che punto ciò sia dovuto al mio essere italiano, ma probabilmente avrà giocato il suo ruolo.
 

Cosa ti manca dell’Italia? E di cosa invece ne fai volentieri a meno?
 

E’ una domanda che mi fanno in molti qui in Polonia. Sono molto legato alla mia regione, al Salento, e chi conosce quelle zone sa che mare e cibo sono due elementi unici e insostituibili: sono le cose che mi mancano di più. Lo stesso si può dire di alcuni amici, ma se fossi rimasto a casa non sarebbe cambiato niente, visto che in molti sono emigrati altrove per cercare fortuna. Per il resto, ho il vizio di tenermi aggiornato sulle notizie più importanti che riguardano l’Italia e di guardare qualche programma isolato in TV e nonostante questo (o forse proprio per questo) direi che la vita in Italia mi manca poco e niente: senza nessun qualunquismo, sono uno di quelli che pensa che negli ultimi 15-20 anni i mass media abbiano inquinato la mentalità delle persone, facendo perdere a molti la cognizione di quanto importanti siano l’istruzione, l’onestà, il merito o il benessere di tutti e di quanto futili siano certe priorità che ci siamo imposti e che influenzano lo stile di vita e il modo di pensare (a volte basta guardare un talk-show o un programma di varietà italiano per farsi un’idea su questo). Anche se ora sembra si muova qualcosa, continuo a percepire ancora la fatica e la poca volontà da parte dell’apparato complessivo costituito da politica, mass-media e classe imprenditoriale per invertire la rotta, soprattutto in senso morale ed etico. Sono sempre stato convinto che l’Italia sia davvero uno dei Paesi più belli e ricchi del mondo in tutti i sensi, geograficamente e culturalmente, ma il menefreghismo è qualcosa che ha ancora radici e questo a volte mi fa disinnamorare dell’idea di vivere nel nostro Paese. Come cartina tornasole, non è sempre piacevole sentirsi domandare con un sorriso ironico perché dopo 20 anni gli italiani votano sempre le stesse persone. A mio giudizio potremmo essere all’avanguardia in tanti campi, ma come al solito ci accontentiamo di far qualcosa – non sempre – solo se qualcun altro ce lo impone o se prima lo hanno fatto gli altri.
 

Sono ormai cinque anni che sei lontano dall’Italia. In cosa sei cambiato in tutto questo tempo? Cosa invece hai conservato del Flavio di cinque anni fa?
 

Innanzitutto l’essere all’estero mi ha fatto vedere sotto una nuova luce i valori della cultura italiana, anche nelle sue sfaccettature regionali e locali, l’arte, la storia, i diversi dialetti, la musica, l’approccio alla vita. Grazie a questo non solo tuttora non rinnego di essere italiano, ma forse ho maturato una sorta di amor di patria (prima latente) che mi piace e di cui mi sento fiero. Allo stesso tempo però non mi sono privato del mio occhio critico sulle cose, che mi aiuta a rimanere con i piedi per terra e a non difendere/attaccare qualcosa o qualcuno a priori. Rispetto a cinque anni fa, la vita autonoma mi sta aiutando a crescere ancora e a fare esperienze sul lavoro. Sono rimasti nella mia vita alcuni amici (probabilmente i più importanti), mentre qualcun altro si è perso per strada, rimpiazzato da nuove conoscenze in Polonia.
 

In base alla tua esperienza, che consiglio ti senti di dare a tutti coloro che stanno a loro volta maturando la decisione di lasciare l’Italia?
 

Si sa che una decisione come questa non è facile poiché si pensa sempre al dove andare, cosa fare, come cavarsela e soprattutto se si è in grado di farcela. Tutte queste osservazioni non sono sbagliate: è necessario avere un piano d’azione stabilendo per bene tempi (es. 2 mesi), modi (in totale autosufficienza oppure con l’aiuto di amici, conoscenti, programmi universitari, organizzazioni, etc.) e mezzi (budget economico) per tentare il grande cambiamento. Allo stesso tempo è anche fondamentale lavorare sulle nostre convinzioni, dare forza ai motivi che ci spingono a farlo: spesso infatti succede che, sebbene a livello razionale conosciamo le cause e sappiamo che è giusto farlo (es. per mancanza di lavoro o di introiti), proprio la paura di non farcela ci impedisce di fare il passo decisivo. Quindi, il mio consiglio è quello di provarci facendo leva sulla migliore organizzazione possibile e sul fatto che "così come vivo ora non può andare avanti". Il non farlo vorrebbe dire affidarsi alla speranza che qualcosa possa accadere, con il rischio che alla fine il risultato sarà solo l’aver perso del tempo prezioso. Quindi, carpe diem. Meglio un presente in cui provarci che un futuro di rimpianti per non averci provato affatto. 

 

E-mail: qu***************@gm***.com

Blog: www.quipoloniaeitalia.wordpress.com

 

A cura di Nicole Cascione