Isabella: il mio volontariato con i bambini messicani

 

Sono andata in Messico per prendere parte a un progetto di volontariato. Ho fatto il primo mese a Valle de Bravo, un villaggio a due ore di macchina da Città del Messico, dopodiché mi sono spostata nella capitale, dove ho trascorso un altro mese per esplorare meglio il Paese e la cultura messicana” esordisce Isabella davanti a una tazzina di caffè, entusiasta di potermi raccontare l’esperienza che l’associazione AIESEC le ha permesso di fare.

 

Che tipo di stage hai fatto?

 

Un Summer Camp organizzato per bambini messicani. Ho fatto l’animatrice, un lavoro parecchio stancante dato che dovevamo seguire bambini dai 6 ai 13 anni, dalla sveglia fino al momento di andare a letto. Tutti i giorni mi alzavo alle 6.45 per la riunione delle guide e poi stavo tutto il giorno dietro ai bambini, il che vuol dire anche partecipare a tutte le attività, dal trekking (il campo ha a disposizione 6 ettari di bosco privato) ai giochi. Ero l’unica straniera e le mie capacità di socializzazione sono state messe alla prova, soprattutto perché non ho mai fatto un’esperienza del genere nemmeno qui in Italia. Ma alla fine, che soddisfazione!


Com’è stata l’accoglienza?

 

Il Comitato che mi ha accolta è stato formidabile! Mi ha davvero seguita in tutto e per tutto. Non solo si sono dimostrati tutti molto disponibili, ma hanno anche cercato di coinvolgermi il più possibile nelle loro attività e nella vita del posto. Mi hanno anche invitata a fare un weekend fuori! Una di loro mi ha ospitato a casa sua per qualche giorno quando ho finito le settimane di campeggio e mi ha addirittura portata in vacanza con i suoi!

Se devo essere sincera all’inizio ho avuto dei problemi con gli animatori del campeggio, che mi sono sembrati un po’ sostenuti. Ma in realtà penso sia stata colpa mia e degli stereotipi che mi hanno portata a farmi troppe aspettative su ciò che avrei trovato: “i sudamericani sono un popolo espansivo e caloroso, in Messico mi accoglieranno di sicuro a braccia aperte!” In realtà non è stato così. Io ero una straniera che cercava di inserirsi in un gruppo di ragazzi che già si conoscevano e che erano già parecchio affiatati, è naturale che ci siano state delle difficoltà, nonostante loro siano sempre stati carini con me. Con il passare dei giorni però ci siamo sciolti tutti quanti e devo dire che alla fine abbiamo creato un bel rapporto.

 

La struttura che accoglie i bambini, nella quale hai lavorato, è privata?

 

Sì, i bambini erano tutti provenienti da famiglie decisamente agiate. In realtà speravo di confrontarmi con una realtà più povera e bisognosa, ma anche così credo di aver ricevuto tanto. C’erano bambini viziati, testardi e capricciosi ma ho imparato a gestirli cercando di trovare ogni volta gli stimoli giusti. Tutte le attività che proponevamo all’interno del Summer Camp erano pensate come giochi di squadra e facendo leva sul senso d’appartenenza al gruppo riuscivo a tirare fuori in quei bambini un certo senso di responsabilità nei confronti degli altri, che li portava a impegnarsi, a metterci anima e corpo nelle missioni che venivano via via assegnate.

Il fatto che la struttura sia privata ha un indiscusso lato positivo: il Summer Camp ha a disposizione ettari di bosco privato, per di più in un posto bellissimo, sperduto in mezzo al verde e vicino al lago. Il campeggio è composto da capanne in legno molto pittoresche. È lontano da qualsiasi centro abitato, è una vera e propria isola idilliaca.

 

 

La cosa che ti è piaciuta di più di questa esperienza?

 

Il fatto che tutti, dal responsabile del campo all’ultimo arrivato degli animatori, erano molto coinvolti. Gli organizzatori erano i primi a viverla, a metterci del loro. Tutti credevano molto in quello che facevano, e ne erano particolarmente gratificati. C’è sempre stata una grande energia da parte di chiunque e quindi l’ambiente che si creava era fantastico. Io stessa, nonostante i ritmi serrati e la stanchezza, mi sono sentita sempre molto stimolata.

 

Descrivimi Città del Messico

 

Sono sempre stata abituata a realtà piccole (vivo a Vicenza e studio a Trento, nemmeno comparabili a questa enorme città) e quindi all’inizio ero un po’ spaventata. Invece non mi sono mai trovata in difficoltà. Certo, ci vuole un po’ di accortezza in una realtà come quella: meglio non andare giro da soli la notte ed evitare i quartieri poco raccomandabili e, piuttosto che prendere la metropolitana, così caotica, affollata e dunque inevitabilmente pericolosa, meglio scegliere altri mezzi di trasporto. Ma appunto basta usare il buon senso. Di sicuro camminare per le vie di Città del Messico ed esplorare le strade di questa affascinante capitale è stata la cosa che mi è piaciuta di più. Una di quelle cose cui non avrei mai rinunciato.
E anche prendere la famigerata metropolitana, cosa che mi hanno sconsigliato di fare, permette di vedere e capire meglio il Paese. Appena si entra si viene circondati da venditori ambulanti di ogni tipo che riescono a offrire di tutto, dai cd di musica folkloristica alle lamette per la barba e c’è tanta, tantissima gente, la più disparata. La metro non è che una finestra, offre un autentico spaccato del Messico.

Sicuramente è una città caotica (il traffico? Puoi fare ore e ore in fila muovendoti a passo d’uomo), ma ha tanti lati positivi. È fortemente variegata, i messicani non amano i Gringos ma nonostante questo astio dalle origini antiche c’è una reale integrazione fra popoli e dappertutto si respira un’aria multiculturale. Ci sono artisti di strada ad ogni angolo e per questo l’ho trovata una città molto stimolante. Per le vie si respira aria di libertà.

 

Ti è sembrata una città molto pericolosa?

 

Mah, prima di partire ho ricevuto milioni di raccomandazioni, ma secondo me c’è troppo terrorismo psicologico: con un po’ d’attenzione, si riesce a non ritrovarsi in situazioni spiacevoli.
Certo puoi assistere ad episodi che da noi non sono la norma. Alcuni messicani che ho conosciuto, che più di chiunque altro saprebbero come comportarsi ed evitare queste cose, sono stati vittima di “assalti”, come li chiamano loro: sei in macchina e ti fermi al semaforo. Senti picchiettare sul finestrino e quando ti giri ti ritrovi una pistola puntata alla tempia, e ti viene intimato di abbassare il finestrino e consegnare portafogli e cellulare. Ritrovarsi una pistola puntata contro non è così raro. Meno male a me non è mai capitato!

 

C’è una forte divisione fra quartieri alti e quartieri poveri?

 

Quello che ho notato è che non c’è una netta distinzione, non ci sono palesi linee di confine pur essendoci nella stessa città sia famiglie ricchissime che vivono nel lusso più sfrenato, sia persone che vivono nella povertà più assoluta. Il fatto è che, a differenza di altre realtà di altri Paesi, in Messico la classe media esiste e si ha modo di identificarla.

 

 

Lo spagnolo che si parla in Messico è un castigliano puro?

 

No, anzi, mi hanno indottrinata fino a farmi parlare il loro spagnolo! Ha dei suoni completamente diversi. In ogni caso, avendo studiato spagnolo, non ho mai avuto problemi a capirli.

 

Hai sentito un po’ di astio fra messicani e statunitensi, che mi hai detto di aver visto, anche in tanti, per le strade?

 

Di sicuro non si amano, lo stesso termine Gringo, con il quale i messicani appellano i nordamericani, è un termine dispregiativo e carico di risentimento. Ma la verità è che l’influenza degli Stati Uniti è forte e sebbene si definiscano con forza “latini”, per molti aspetti, in primis la mentalità, sono più simili a un nord americano che a un argentino o a un colombiano.

 

Si può mantenere lo stile di vita europeo in Messico?

 

Volendo sì, ma per vivere a Città del Messico bisogna fare i conti con i ritmi che questa città ti porta a dover sostenere. Da una parte le dimensioni, dall’altra il traffico disumano: entrambe le cose costringono gli abitanti a una vita frenetica, vissuta fuori casa. Bisogna alzarsi all’alba per poter raggiungere la scuola o il luogo di lavoro in tempo, si mangia per forza fuori, e si ritorna a casa la sera tardi. Io non penso che riuscirei a tenere questi ritmi così serrati.

 

Frequenteresti l’Università di Città del Messico?

 

L’UNAM (Università Nazionale Autonoma del Messico) mi ha colpita moltissimo. È una struttura pazzesca, enorme e all’avanguardia. È così grande che hanno dei mezzi di trasporto appositi che consentono di raggiungere le varie strutture del campus. Per questo viene chiamata Città Universitaria. E nonostante questo non costa assolutamente nulla. La tassa d’iscrizione che bisogna pagare è puramente simbolica: un pesos, ossia 16 centesimi di euro. Insomma, è gratuita! Questo prezzo irrisorio attira molti europei e statunitensi. Di sicuro bisognerebbe farci un pensierino.

 

Hai detto che hai trovato un comitato AIESEC molto affiatato e disponibile. Dici che è stato un caso, ossia al momento si era formato un gruppo particolarmente unito, oppure è da imputare proprio all’indole della gente messicana, calorosa e amichevole?

 

Da una parte sono stata molto fortunata. Ma in fondo l’idea che mi sono fatta durante la mia esperienza è che i messicani, fin da piccoli, ragionino secondo l’idea che se vuoi ottenere qualcosa, devi guadagnartela. Nulla viene regalato, e ogni cosa che si ottiene deve essere il frutto del proprio sudore. Ho notato un maggiore impegno quotidiano, e molta più grinta.

 

 

Se dovessi tirare le somme di questa esperienza?

 

Mi ha lasciato moltissimo. Mi ha spronata a guardarmi dentro, ho capito quello che mi piacerebbe fare nella vita e di sicuro mi ha aperto la mente. Ho fatto qualcosa che non avevo mai avuto modo di fare, in un ambiente nuovo, tutto da esplorare. Ho ricevuto tanti stimoli e finalmente sono uscita dalla mia comfort zone. Insomma, è stata in tutto e per tutto un’esperienza positiva!

 

 

A cura di Giulia Rinchetti