Marta: fare volontariato in Perù

 

Il Servizio Civile nazionale all’estero è una nuova opportunità di volontariato che ha come scopo la promozione della solidarietà e della cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed all’educazione alla pace. La scoperta del mondo della cooperazione internazionale, la voglia di impegnarsi in progetti legati ai temi trattati nella tesi specialistica, la voglia di fare esperienze all’estero ed in particolare in America Latina, hanno indotto Marta ad intraprendere la strada del servizio civile all’estero. Ed ora si racconta in quest’intervista.

 

Marta, da circa un anno risiedi in Perù grazie ad un progetto di volontariato per una ONG. Ci racconti qualcosa sul Servizio Civile all’estero. Di cosa si occupa e quali sono le modalità per prendervi parte?

 

Il Servizio Civile all’estero permette ai volontari di prestare attività presso organizzazioni ed enti operanti all’estero. Ogni anno i volontari vengono inviati in vari Paesi, dall’America, all’Africa, fino all’Asia, per progetti che riguardano assistenza, promozione culturale, cooperazione, interventi post-conflitto, ambiente ed altri temi. Per partecipare al progetto bisogna possedere alcuni requisiti (cittadinanza italiana, età compresa tra i 18 e i 29 anni, essere incensurati, idoneità fisica), successivamente basta presentare la propria candidatura, compilando dei documenti da consegnare direttamente all’Ong o all’ente presso cui si desidera prestare servizio. Seguiranno poi i colloqui, le selezioni e, nel caso si venga selezionati, ci sarà un periodo di formazione iniziale che precederà di pochi giorni la partenza per l’estero.

 

Perché ad un certo punto hai deciso di prendere parte al servizio civile all’estero?

 

Ho sempre vissuto a Lainate, un piccolo paesino dell’hinterland milanese, salvo qualche esperienza all’estero, tra cui una in Spagna cinque anni orsono (bellissima!). Nel 2004 ho iniziato a frequentare l’Università di Milano, mi sono laureata prima in Mediazione Linguistica e Culturale e poi ho proseguito con la specialistica in Lingue, Culture e Comunicazione Internazionale. Ho terminato gli studi nel 2010 e dopo una bella vacanza in Andalucía, ho iniziato a lavorare in una ditta di traduzioni. Mi è bastato un anno per capire che non era un lavoro adatto a me. Una cara amica mi parlò del mondo della cooperazione e del Servizio Civile all’estero, così ho unito la mia passione per il Sudamerica ed in particolare per il Perù e sono partita.

 

 

Hai scelto tu la destinazione?

 

Sì, tutto è partito dal mio interesse per il Sudamerica ed in particolare per il Cile ed il Perù. In un primo momento ho svolto alcune ricerche sulle ONG attive in Lombardia, che avevano progetti nell’area che mi incuriosiva, poi ho notato che proprio l’ente che mi interessava, l’ASPEm, faceva parte delle associazioni che inviano volontari all’estero tramite il servizio civile, così ho provato a candidarmi scegliendo come meta il Perù. Nello specifico ASPEm, l’ONG italiana che mi ha “spedita” qui, opera in Perù e a livello nazionale e i volontari, al momento della candidatura, scelgono non solo il Paese, ma anche il progetto specifico in cui vorrebbero prestare servizio.

 

Qual è stata la reazione dei tuoi parenti ed amici di fronte a questa scelta coraggiosa?

 

Ci sono state molte reazioni….stupore per la notizia inaspettata (ho comunicato la mia partenza solo poco prima di andare via, avevo tenuto ben nascosto tutto a tutti, o meglio, quasi a tutti), meraviglia, incredulità, disperazione (la mamma…ah, cuore di mamma!), felicità e forse chissà, anche un po’ orgoglio celato.

 

Cosa ti ha spinto ad intraprendere questa strada?

 

Credo sia stato un insieme di fattori che, messi insieme, hanno fatto in modo che decidessi di provare la strada del Servizio Civile per poter soddisfare i miei desideri: la scoperta del mondo della cooperazione internazionale, la voglia di impegnarmi in progetti che avevano a che fare con i temi che avevo trattato nella tesi della specialistica, la voglia di fare esperienze all’estero e in particolare in America Latina, meta tanto desiderata quanto sconosciuta… Navigando nell’etere ho scoperto ASPEm, questa piccola ONG di Cantù che opera in Perù e Bolivia, che invia volontari in questi Paesi per lavorare in Ong locali tramite il programma dello Stato (il Servizio Civile). Sbirciando tra i progetti poi, ne ho trovato proprio uno che riguardava il periodo di violenza vissuto dal Perù negli anni 1980-2000, argomento di grande interesse per me, che prevedeva la raccolta di testimonianze di persone che avevano vissuto sulla propria pelle quella dura esperienza. Insomma, era esattamente quello che faceva al caso mio! Così ho partecipato alle selezioni nazionali e, fortunatamente, sono stata scelta!

 

 

Come ti sei preparata ad affrontare questo importante viaggio?

 

Non ero mai stata in America Latina prima d’ora, salvo qualche giorno per una fiera di lavoro in Brasile (ma niente di importante) e soprattutto non ero mai stata via per così tanto tempo. In realtà, come ho detto, ho fatto l’Erasmus in Spagna, ma è stata un’esperienza completamente diversa; tanto per cominciare ero una studentessa e poi ero relativamente vicino a casa. Questa invece è un’avventura per certi versi più dura, migliaia di chilometri e un oceano immenso ti separano dai tuoi cari e dagli affetti. Soprattutto ci si trova a fare i conti con delle realtà a volte complicate, a cui non si è abituati. È fondamentale perciò sapersi adattare e cercare di vivere le cose nel miglior modo possibile. Credo poi di non poter dire di essermi “preparata” prima di partire, perché effettivamente ciò che mi ha guidato più di tutto è stato l’entusiasmo e anche un po’ l’inconsapevolezza di quello a cui andavo incontro. Sapevo che sarebbe stata un’esperienza unica, ma non avevo aspettative esagerate (che in fin dei conti è la cosa migliore da fare, perché se ci si aspetta troppo si corre il rischio di rimanere delusi), anche perché non sapevo molto di cosa avrei trovato, se non in maniera generale. Insomma, ci ho provato, ce l’ho fatta e sono partita con tutte le migliori intenzioni: dare il meglio di me, consapevole però del fatto che avrei dovuto affrontare parecchie difficoltà.

 

Con quali sentimenti hai affrontato la partenza?

 

Quando ho saputo di essere stata presa, sono stata contentissima perché davvero non me l’aspettavo…poi pian piano è sopraggiunta l’emozione, l’entusiasmo, l’incertezza (mi son detta “cosa mi aspetterà???”), la voglia di scoprire nuove realtà e il desiderio di vivere un’esperienza speciale (nel bene e nel male).

 

Cosa ti aspetti da quest’esperienza?

 

Molte persone sostengono che il Servizio Civile all’estero ti cambi ed in effetti, anche se al momento non ci si rende conto, credo che sia così. In questo viaggio mi aspettavo di vivere delle esperienze speciali, di conoscere nuove realtà e nuove persone, di imparare cose nuove e sperimentare da vicino nuove culture. E così è stato. A dire il vero, questo in realtà, più che un viaggio è un viaggione che ti permette (almeno nel mio caso) di fare esperienze e vedere cose e luoghi che molto probabilmente non sarei riuscita a vedere neanche da turista. Grazie a tutto ciò infatti, mi sono potuta immergere completamente nella realtà locale, avendo modo di conoscere tutte le sue sfaccettature, le sue peculiarità, sia belle che brutte e ovviamente, i suoi protagonisti.

 

 

Come pensi di poter aiutare la gente del posto? Quali sono le tue competenze?

 

Mettendomi a completa disposizione. Credo che la cosa fondamentale sia (ed in effetti lo è) sapersi adattare, essere flessibili. Bisogna mettersi in gioco cercando di essere propensi il più possibile ad apprendere ed osservare quello che ci circonda per imparare. A me piace molto scrivere, creare, stare a contatto con la gente e fare lavori pratici; è bello inoltre fare delle esperienze costruttive che ti permettano di acquisire nuove conoscenze, in modo da poter crescere, tanto dal punto di vista umano quanto dal punto di vista professionale.

 

Cosa desideri cambiare del posto in cui vivi e cosa invece desideri portare con te al tuo rientro in Italia?

 

A mio avviso ci sarebbero diverse cose da cambiare qui, però credo che per alcuni aspetti sia necessario partire dalle fondamenta. Da un certo punto di vista si può dire che rispetto ai nostri canoni c’è più arretratezza, colpa anche della storia recente: 20 anni di feroce conflitto armato interno, che dal 1980 al 2000 ha colpito gravemente gran parte della popolazione, con conseguenze dolorose e problematiche. In generale, per quello che ho visto e vissuto in questi mesi, quello che meno mi piace è la lentezza esasperata, il ritardo, la disorganizzazione, il poco impegno e interesse profuso per alcune tematiche, il centralismo di Lima e il conseguente disinteresse per ciò che non viene considerato “centro”, cioè per tutte le regioni che non comprendono la capitale. Cosa voglio portare con me? L’affetto, l’onestà della gente che mi circonda, i sorrisi delle persone, i loro sguardi stupiti e soprattutto quelli dei bambini che vedono te (me!), alta e bianca (gringa!) come un’extraterrestre, i momenti passati in compagnia, le comunità contadine che ho visitato e in cui ho lavorato (i paesaggi, i comuneros, i bimbi,…), l’umiltà delle persone, la loro disponibilità e generosità; i diminutivi che è usanza usare sempre sempre sempre (Martita, Martiña, …), che danno anche una connotazione affettuosa a tutto quanto; i paesaggi mozzafiato, le camminate e il saliscendi quotidiano per le ripide vie della città; i viaggi avventurosi e interminabili e i loro conducenti spericolati e i compagni di avventura.

 

Per quanto tempo resterai in Perù?

 

A dir la verità ormai sono quasi agli sgoccioli; sono arrivata in Perù a metà febbraio di quest’anno e rimarrò qui fino a fine gennaio, praticamente un annetto. Mancano quindi poco più di tre mesi! Mi sembra di essere qui da tanto, ma allo stesso tempo, è passato tutto molto in fretta, anche perché è un’avventura totalizzante che ti “cattura” e per questo va vissuta appieno.

 

 

Cosa pensavi che ti sarebbe mancato di più durante il periodo di permanenza in Perù?

 

Prima di partire sapevo o per lo meno immaginavo, che mi sarebbero mancati di più gli affetti. In effetti così è stato e credo che lo sarà fino alla fine. Il problema è che qui, dove sto vivendo ora, la gente è abbastanza chiusa e non è semplice stringere amicizie con le persone. Di conseguenza, nel tempo ho cercato di tenermi stretti i compagni di lavoro con cui passo le giornate, cercando di godere al massimo di quello che mi danno, valorizzandolo. Oltre alle mancanze affettive, c’è stato anche il vuoto dello sport, della musica dal vivo, dei passatempi e dei momenti comuni di condivisione. Piccole cose che erano parte importante della mia vita “italiana”; ovviamente quando tornerò mi darò un gran da fare per colmare questo vuoto!

 

Ci racconti qualcosa del posto in cui vivi?

 

Attualmente sto vivendo ad Abancay, il capoluogo di Apurímac, una delle 24 regioni del Perù, la seconda regione più povera del Paese dopo Huancavelica. Abancay è chiamata la città dell’eterna primavera e si trova nella sierra, sulle Ande, a 2.500 metri; pur essendo abbastanza grande, non offre molto, né dal punto di vista culturale né da quello sociale. Tutto si concentra in 2 o 3 vie e nulla più, c’è molta essenzialità, le strade sono tutte in pendenza (che fatica all’inizio!…ora sono allenatissima però) e piene di negozietti che vendono di tutto, dai quaderni, alla carta igienica, ai succhi di frutta, al pane…Ciononostante la bellezza del panorama ripaga delle molte mancanze, i paesaggi sono stupendi, ci sei tu e le Ande ricoperte tutt’intorno dalla vegetazione. Per quanto riguarda la gente, è abbastanza chiusa, anche se, molto generosa, semplice e disponibile. La maggior parte della popolazione oltre allo spagnolo, parla quechua, la lingua degli indigeni peruviani, sopravvissuta alla conquista degli spagnoli e diffusa ancora oggi in gran parte del Perù, che però si rivela una lingua abbastanza incomprensibile.

 

Stai lavorando in una ONG locale dal nome APRODEH (Asociación Pro Derechos Humanos. Di cosa ti occupi?

 

APRODEH è una ONG locale che ha la sua sede centrale nella capitale, Lima e un altro distaccamento ad Ayacucho. Le tematiche principali di cui si occupa quest’associazione sono i Diritti Umani, la memoria del Conflitto Armato Interno, le Riparazioni alle vittime della violenza politica e il settore minerario in espansione; realizza poi progetti di sviluppo produttivo e rafforzamento comunale ed eventi contro la discriminazione, il tutto ponendo al centro dell’attenzione i settori della popolazione più vulnerabili e storicamente esclusi dalla società. Io mi occupo in particolare di tutto ciò che concerne la memoria e i temi ad essa strettamente relazionati. Le mie attività principali consistono nel viaggiare nelle comunità contadine di questa regione e di quella limitrofa, maggiormente colpite dal conflitto armato interno degli anni 1980-2000, per raccogliere le testimonianze di coloro che hanno vissuto il periodo del terrorismo e della violenza politica. Con queste informazioni ho redatto un testo sulla comunità contadina di Tanta, situata nel distretto di Toraya, provincia di Aymaraes, analizzando come era la vita prima dell’arrivo della violenza politica, cos’è accaduto durante il periodo buio della presenza dei militari e dell’organizzazione terrorista di Sendero Luminoso (i gruppi terroristi hanno approfittato dell’isolamento delle comunità contadine situate sulle Ande, per agire indiscriminatamente contro di loro, risultando poi le più colpite), e come vivono gli abitanti della comunità attualmente, con le difficoltà, le perdite umane e materiali, che hanno dovuto affrontare. Inoltre è in progetto la scrittura di un altro testo, su un’altra comunità contadina, confinante con Tanta, che si chiama Llinque, dove stiamo portando avanti anche un progetto di sviluppo produttivo, recupero delle tradizioni e miglioramento delle relazioni comunali. A tal proposito, proprio a Tanta e a Llinque, sto programmando delle iniziative per festeggiare il Natale con gli abitanti della comunità e portare regali ai bambini e nelle scuole. Vorremmo regalare materiale scolastico ai bambini e dei palloni alle varie classi, in modo che possano essere usati durante l’intervallo per organizzare dei giochi di gruppo. Tutto verrà consegnato durante un evento comunitario, accompagnato da cioccolata calda per tutti. Per l’occasione sto organizzando una raccolta fondi attraverso la vendita di biglietti d’auguri, che hanno come soggetto alcune delle foto più belle che ho scattato in questi mesi ed anche attraverso una donazione volontaria. Se qualcuno fosse interessato al progetto, può contattarmi tramite e-mail.

 

 

Siamo abituati a vivere circondati da tante comodità e agi. Cosa ti manca maggiormente in questo periodo? E quali sono le effettive priorità?

 

Sì, è proprio vero, siamo abituati ad avere un sacco di cose, cose che ormai ci sembra normale possedere. Qui dove vivo, il tenore di vita medio è ben diverso. A Lima la realtà è differente, ma qui ad Abancay, alcuni cliché non ci sono ancora; non è importante avere il cellulare di ultima generazione, vestirsi alla moda, essere sempre “in” o avere cose di marca. Anche le abitazioni e le costruzioni, in generale, sono molto differenti rispetto a quelle che siamo abituati a vedere in Italia. Dal canto mio, ho imparato a vivere con l’indispensabile, mi sono abituata allo stile di vita abanquino, in una bella casetta spoglia, senza lavatrice (sono tornata ai tempi della bella lavanderina, con tinozza e sapone alla mano) e quasi senza acqua calda. Chi è venuto a visitarci (sto vivendo con un altro ragazzo che sta facendo il Servizio Civile con me), ci ha salutato commentando che “ad Abancay c’è pobreza (povertà)”; io comunque mi sono ambientata bene, tant’è vero che quando sono tornata in Italia a settembre per una settimana, d’improvviso tutto quello che mi circondava, mi sembrava per così dire “troppo”; nel corso dei mesi mi sono abituata ad avere”poco”, il giusto, quindi ciò che prima mi sembrava normale, mi appariva come “troppo”, esagerato, quasi un lusso. Si impara quindi a fare a meno delle cose superflue e ciò che effettivamente manca sono gli affetti, le persone care, gli amici e magari qualche hobby. Ma in fin dei conti c’è sempre tempo per recuperare tutto quello di cui si è dovuto fare a meno nel corso nel tempo (per esempio, qualche buon piatto italiano!).

 

Che tipo di messaggio vorresti trasmettere ai tuoi coetanei con il tuo viaggio?

 

È un viaggio e un’esperienza speciale che ti permette di crescere, di conoscere, di apprendere, di allargare gli orizzonti e magari anche di abbattere degli stereotipi/cliché tanto diffusi oggigiorno. Credo insomma che sia un viaggio e un’avventura che, se si possiede la volontà di mettersi in gioco e di impegnarsi realmente, vale la pena intraprendere.

 

Quali sono i tuoi progetti futuri?

 

Bella domanda! Mi piacerebbe continuare a lavorare nel mondo della cooperazione, con qualche progetto che preveda lavoro di campo e di contatto con la gente. In realtà, non so bene cosa succederà da febbraio in poi, chissà. Devo solo incrociare le dita, cercare qualche buona opportunità e far sì che vada tutto per il meglio!

 

ma********@gm***.com

 

Blog di Marta : http://arcoirism.blogspot.it/

 

A cura di Nicole Cascione

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