Le minoranze etniche del Triangolo d’oro e lo zoo umano delle “donne giraffa”

 

Siamo appena arrivati a Chiang Mai, Tailandia settentrionale. Solo poche ore fa eravamo in stazione a Bangkok, fermi immobili sull’attenti per omaggiare il Re con il consuento saluto mattutino. Erano le 8 precise, gli altoparlanti della stazione hanno intonato una musica e tutti si sono fermati per 1 min, rivolti verso l’enorme immagine del Re Rama IX per porgere il saluto. E’ si, in Tailandia c’è ancora il re e pare che abbia proprio un discreto potere, se non altro perchè è anche il capo dello stato.

 

Mi piace dividere la Tailandia in 3 parti: il Sud (ideale per gli amanti del mare e della foresta tropicale, dominata da antiche specie viventi vegetali come la Rafflesia – il fiore più grande del pianeta); il centro (da Bangkok in su, ricca di storia e resti di antichi stupa risalenti al periodo del primo insediamento Khmer); il Nord (con il suo triangolo d’oro e le minoranze etniche); insomma, questo paese ha davvero tanto da offrire.

A questo punto vale la pena fare una premessa; la Tailandia non è altro che un parco giochi per turisti. Ogni cm di quella terra e delle sue bellezze naturali, ogni respiro della sua gente, ogni frammento della sua identità è stato sfrutatto e mercificato con il solo obiettivo di fare soldi. E’ il fallimento del turismo sostenibile, la dimostrazione che “conservazione” e “sviluppo” sono un equilibrio irragiungibile quando si è accecati dalla brama di fare soldi fine a se stessa. In breve, ci sono poche persone che si arricchiscono e lo stanno facendo sfruttando irresponsabilmente le risorse naturali di tutti i tailandasi. Naturalmente c’è offerta solo se c’è domanda, siamo noi che ci muoviamo da casa solo se ci vengono garantiti i comfort di una vita occidentale, il che implica la costruzione di lussuose guesthouse nel mezzo della rainforest del parco nazionale Kao Sok (a sud della tailandia) o la costruzione di alberghetti nella meravigliosa Phi Phi Leh (la famosa “The Beach” di Leonardo di Caprio), la cui spiaggia bianca è perennemente coperta da barche che scaricano turisti e in cui, se per caso decidete di addentrarvi nei primi 20 mt della fitta vegetazione per riscattare l’idea di paradiso che avevate in mente, venite assaliti da un odore nauseante di fogne ed escrementi perchè una troupe di tailandesi vive li da qualche mese per la costruzione di albergo di lusso. La cosa peggiore è che la maggior parte dei turisti non si accorge di tutto questo, la mente vede solo ciò che vuole vedere. Torneranno a casa dicendo che quei posti sono fantastici e poco importa se la fantomatica spiaggia non l’hanno nemmeno vista e se l’isola vergine è una fogna a cielo aperto; ciò che conta è l’apparenza, è esserci stato e poterlo raccontare, chiediamo apparenza e riceviamo apparenza – domanda e offerta. E’ molto triste!

 

Come la maggior parte dei centri abitati del sud est asiatico, anche Chiang Mai è da considerarsi come campo base da cui effettuare esplorazioni nelle terre circostanti. La città di per se ha da offrire tutto ciò di cui un turista ha bisogno: shopping nei tipici bazaar, buon cibo, visite agli innumerevoli templi buddisti, chiacchierate con monaci buddisti (chiamati monk chat), incontri di Thai box e massaggi. Tuttavia per 2 viaggiatori come noi tutto ciò non basta. Siamo molto interessati alle cosiddette Hill tribes, le minoranze etniche che vivono in isolati villaggi a nord di Chiang Mai e che è possibile visitare con escursioni ben organizzate, spesso in giornata, al costo di circa 20$. E’ previsto che visiteremo le seguenti tribù: Lisu (originariamente provenienti dallo Yunnan cinese), Akha (provenienti da Burma), Palaung, Hmong, Karen e Karen Padaung (le famose donne giraffa).

 

Purtroppo finiamo per essere complici di un sistema corrotto che alimenta lo sfruttamento delle realtà locali, delle minoranze etniche e la schiavitù delle Karen dal collo lungo. I villaggi che visitiamo sono poco più che abbandonati, le poche persone che ci vivono sembrano piuttosto infastidite dalla nostra presenza. Sono delle comunità di montagna che vivono in maniera semplice (alcuni direbbero in “estrema povertà”, solo perchè confronterebbero lo stile di vita di quelle persone con il proprio) il cui unico guadagno che viene concesso loro dalla “mafia” del turismo locale è la vendita di oggetti di artigianato, ovvero beneficiare del fatto che un gruppo di turisti occidentali con cui altrimenti difficilmente potrebbero entrare in contatto, si trova li, fuori dalle loro case. Ben piccola soddisfazione rispetto ai margini dei tour operator; questo è sfruttamento senza sviluppo.

Finalmente arriviamo all’attrazione principale, le Karen dal collo lungo (le donne giraffa). Anzitutto chi sono, e perchè portano quegli strani anelli di metallo attorno al collo? Sono originarie del Myanmar (ex Birmania), sono fuggite dal loro paese negli anni in cui ruggiva la sanguinosa guerra civile, si sono rifugiate nella vicina Tailandia (poco al di la del confine col Myanmar), sono state al centro di un lungimirante disegno imprenditoriale di qualche tour operator tailandese che le ha valutate un fenomeno potenzialmente interessante per la superficiale curiosità del turista medio occidentale, trasformandole così in un numero da baraccone (il tutto, ovviamente, con l’appoggio del governo Tailandese).

 

Così, è stato costruito un villaggio “isolato”, fatto di case di legno fatiscenti e qui sono state messe le “Donne giraffa”. Queste povere donne sono tenute prigioniere, è proibito loro uscire dal villaggio e camminare per strada come le persone normali, perchè altrimenti tutti le potrebbero vedere in giro e il tour operator perderebbe l’esclusiva, ovvero i turisti non pagherebbero più per essere portati al villaggio delle donne giraffa. Vi chiederete allora perchè le Karen dal collo lungo abbiano accettao un simile destino; premesso che non credo sia stata data loro un’alternativa, diciamo che in cambio il governo tailandese non le ha fatte reimpatriare in Myanman, dove sarebbero state certamente uccise. Detto ciò non credo che il governo tailandese abbia concesso alle Karen di restare nel paese per carità e spirito di fratellanza umana. Piccolo dettaglio: a queste donne, tenute prigioniere contro la propria volontà, il governo tailandese non ha rilasciato documenti (passaporti etc.), queste donne non esistono e non possono abbandonare il paese. Così, quando la Nuova Zelanda e la Finlandia si sono dichiarati disposti ad accoglierle, offrire loro cittadinanza e libertà, sono state costrette a restare in Tailandia per via della peculiare caratteristica che le ha rese note nel mondo.

 

Dall’età di 4/5 anni, vengono fatti loro indossare degli anelli attorno al collo. Con lo sviluppo si viene a creare il fenomeno ottico di allungamento del collo. In realtà non è il collo che si allunga ma le vertebre alla base de collo (altezza spalle) che si schiacciano, originando il noto effetto ottico. Ci sono diversi miti e legende che spiegano il motivo per cui questa etnia ricorreva ad un tale espediente estetico, nessuno dei quali tuttavia sembra essere realmente confermato. Certo è che tali deformazioni sono permanenti e c’è chi sostiene che se qualcuno provasse a togliere gli anelli dal collo di una donna adulta questa morirebbe soffocata per via dei muscoli del collo evidentemente atrofizzati che non riuscirebbero più a sostenere il peso della testa.

 

 

Entriamo nel villaggio delle Karen Long Neck, la prima immagine è quella di un gruppo di uomini stravaccati su amache e brandine (probabili “guardiani dello zoo”) che giocano a carte bevendo cocacola. Il villaggio è una piccola stradina, simile a quella di un mercatino. A destra e sinistra si susseguono capanne di legno al cui interno ci sono donne Karen. Le capanne sono piene di abbigliamento e stoffe ricamate a mano dalle stesse “donne giraffa” il cui unico fine sembra quello di vendere un souvenir. Alcune hanno un gran telaio di legno e stanno tessendo proprio in quel momento, altre sono già impegnate in trattative con qualcuno del nostro gruppo desideroso di acquistare una sciarpa ricamata da questi interessanati fenomeni da baraccone (ovviamente alle Karen non arriverà nulla di quella vendita ma al turista medio questo non passa neanche per la mente, anzi magari credono davvero che comprando qualcosa aiuteranno lo sviluppo della comunità locale). Mi vergogno di essere li, con la nostra presenza e i nostri soldi stiamo appoggiando quel sistema di schiavitù. Senza farci notare ci fermiamo ad osservarle. Hanno occhi tristi e rassegnati, alcune sono palesemente arrabbiate, a dir poco infastidite specie le donne più adulte probabilmente più consapevoli della loro condizione.

 

Se per caso doveste andare in Tailandia, per favore, non entrate in questo zoo, date una speranza alle Karen dal collo lungo. L’unica speranza di libertà per queste donne è che nessuno richieda più quel tour (per inciso, si chiama “Hill Tribes”); rinunciate a quella visita! E per quelli che credono che certe cose non cambieranno mai, vi lascio con uno spunto di Gandhi: “ Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”.

 

Pierluigi e Melissa