Obes Grandini, da 23 anni in sella alla sua bici per visitare il mondo e le sue culture

 

 

Obes Grandini, nato nel 1952, figlio di agricoltori, ad un certo punto della sua vita, decide di mettere da parte il diploma dell’Istituto Tecnico e di abbandonare l’Università per dedicarsi alla sua più grande passione: visitare terre straniere e conoscere culture diverse. Così nel 1980 acquistò una modesta bicicletta, l’attrezzò con due robusti portapacchi, la caricò di poche indispensabili cose e partì verso l’Irlanda. Da quel momento in poi sono passati circa 25 anni, trascorsi viaggiando per il mondo, conoscendo diverse culture e vivendo grandi emozioni al cospetto di scenari ed espressioni forti e inconsuete della natura.  

 

Obes, dal 1980 la tua vita è in sella ad una bici, con cui hai visitato numerosi Paesi e conosciuto tante civiltà. Perché hai scelto di farlo proprio in bici? 

 

Alla bicicletta ci sono arrivato quasi per caso. Dopo le esperienze con la mai dimenticata Citroen 2CV nei Paesi europei e quella del 1972 fino in India e ritorno, a bordo di un furgoncino Volkswagen insieme a tre amici, ho eliminato i motori per il loro costo e per i tanti problemi che creano. Dopodiché, sono passato ai mezzi pubblici lasciando perdere da subito l’autostop, tanto non mi caricava mai nessuno. I mezzi pubblici permettevano un buon contatto con la gente, ma quando dai finestrini vedevo piccole strade, paesi e una natura da viverci dentro, mi chiedevo perché dovevo sempre finire in una grande città o in un posto turistico. Intanto, nella quotidianità, era mia abitudine rilassarmi su una vecchia bicicletta da donna ereditata da mio nonno, pedalando con calma per le allora strade non trafficate del basso ferrarese. Ogni giorno di più capivo quanto importante fosse per me quel giretto: mi dava serenità, mi rimetteva in sesto il corpo dopo una notte allegra, mi rendeva partecipe di tutti i piccoli cambiamenti del paesaggio; ed intanto mi rendevo conto di quanto tempo in più avessi per pensare. Così, in un momento di stanca della vita dove tutto si stava appiattendo, ho reagito comprando una bicicletta di poco valore, l’ho caricata alla rinfusa e sono partito alla volta dell’Irlanda, terra di musica, di pioggia e buona birra.

 

 

Non hai mai voglia di avere qualcuno accanto che ti segua nelle tue imprese? 

 

Sono sempre stato molto solitario per educazione, per forza di cose, forse per indole. Non sono mai andato all’asilo e fino alle elementari difficilmente andavo in paese a giocare con gli altri bambini. Se nei primi viaggi ho cercato compagnia, con la bicicletta ho sempre preferito andare da solo, anche se ho tentato di cambiare idea, per esempio quando ho pedalato per sei mesi in Australia in compagnia di un’amica; poi è capitato che un amico mi abbia accompagnato per un po’ durante il primo viaggio; l’ultimo tentativo, durato pochi giorni, è stato insieme ad una ragazza canadese nel 1997. Da solo mi pare di difendermi meglio, voglio avere la libertà di decidere cosa fare e cosa non fare, mi pare di essere più attento alle differenze, alle novità regalatemi da una terra straniera. La solitudine è diventata un dono. La paura è il mio coraggio per affrontarla. La solitudine non è sempre la soluzione, anzi, io stesso con le poche persone con le quali ho viaggiato, ho instaurato un rapporto di amicizia autentica e, anche se non ci si vede spesso, il legame resta molto profondo. 

 

Tra le persone che hai conosciuto, c’è qualcuna che ricordi in particolar modo? 

 

Questa è una domanda che mi ha fatto pensare molto. Ho cercato nei miei ricordi una persona che mi avesse colpito più di altre, ma non l’ho trovata. Ho rivisto tanti volti, tanti personaggi che mi hanno aiutato senza sapere niente di me, che mi hanno dato la loro amicizia, che mi hanno stupito per il loro sapere, per la diversità di pensiero, per la loro storia di vita. Conservo buoni ricordi di molte persone. 

 

 

Come ti prepari per affrontare un lungo viaggio in bici? 

 

Per prima cosa metto in sesto la bicicletta e guardo se il passaporto è in ordine. Poi una revisione alla tenda e al sacco a pelo pesante. Queste sono le cose più importanti, quelle che ritengo vitali. Cerco d’informarmi su come ottenere i visti, di capire le problematiche create dal clima, acquisto delle cartine e vado alla scoperta di un ipotetico itinerario che quasi sempre cambierà, per fortuna. Mi piace andare alla scoperta, trovarmi di fronte alla novità assoluta, imparare sul campo. E’ comunque un modo di viaggiare che può far perdere molte cose interessanti, ma prediligo mettermi alla prova e vedere cosa ho capito di una cultura. Fisicamente non mi preparo. Uso quotidianamente la bicicletta; un uso non sufficiente per essere in forma perfetta, ma è sempre andata così, anzi, nelle partenze ho sempre qualche chilo di troppo da smaltire. 

 

Durante il tuo viaggio, sei stato a contatto con tanti popoli di diverse culture, quale tra questi ti ha maggiormente colpito? E perché?  

 

Sono rimasto impressionato sia dai pastori kirghizi dei pascoli alti, sia dai tibetani. Prima di tutto per come mi hanno accolto: in silenzio, senza timore dello straniero e sorridenti, in particolare i tibetani. Ho dormito in una yurta in una notte di pioggia, steso su una pelliccia di yak, tra gente che conserva un rapporto con la natura che dovrebbe essere insegnato. Per tre volte sono stato ospite dei tibetani nelle loro umili case di due stanze. Nessuna lingua ci univa, solo sorrisi, mentre il fuoco alimentato da sterco di animale scoppiettava nel bidone-stufa e le bandierine delle preghiere sbattevano furiosamente nel vento tra le montagne più alte della terra. Questi popoli mi hanno colpito proprio per l’amore intenso della loro cultura che non vogliono cambiare e che non impongono a nessuno. 

 

Qual è l’aspetto più bello del girare in bici? E quello negativo? 

 

L’aspetto più bello del girare in bicicletta è la massima libertà di movimento, un’ indipendenza che scioglie tutti i legami, un benessere del corpo che porta a pensare positivamente e rafforza la propria autostima. La velocità di avanzata è tale che si entra con tutti i sensi nel luogo dove ci si trova. L’aspetto negativo è decisamente il traffico che non sempre si può evitare. Oltre alla massima attenzione, bisogna anche avere una buona stella per uscire indenni da certe strade caotiche e non adatte alla bicicletta. Un altro aspetto negativo potrebbe essere, per chi teme il campeggio libero, trovare una sistemazione adeguata per la notte. A volte ci sono distanze che non offrono nessun tipo di accoglienza e magari l’area non è delle più tranquille. In bicicletta non sempre si può sapere dove si dorme la sera. 

 

Ci sono stati dei momenti in cui ti sei trovato a vivere delle situazioni di estrema difficoltà?  

 

Vagabondando per il mondo in bicicletta si finisce, prima o poi, per vivere delle situazioni difficili, a volte pericolose. Ovviamente cerco di avere un comportamento e un’accortezza tale, in modo da evitare o prevenire problemi che possono nascere per mancanza d’acqua in zone desertiche, situazioni politiche e religiose che sfociano in manifestazioni violente, forte diversità di cultura con sospetto per lo straniero e, infine, l’ormai dilagante delinquenza comune. Quando ci si trova dentro a situazioni imprevedibili c’è ben poco da fare se non continuare a ragionare, a insistere per uscirne senza abbattersi. Il tempo è quasi sempre un galantuomo.  

 

Di cosa ti occupi nella vita oltre a dedicarti a questa passione?  

 

Fuori dall’orario di lavoro, mi piace leggere e scrivere. Gran parte del mio tempo libero, in particolare durante le lunghe serate d’inverno, è dedicato alla lettura e alla sistemazione dei miei diari di viaggio. E’ una soddisfazione trovare le parole giuste per raccontare ciò che ho vissuto, un modo per rivivere e rivedere scene e personaggi stranieri. D’estate, invece, il tempo libero lo passo con gli amici o a pagaiare in kayak lungo il fiume. 

 

Per affrontare tutte queste avventure in bici, non hai mai avuto e neppure cercato alcun aiuto economico. Come hai fatto e come fai a sostenere tutte le spese di viaggio? 

 

Non mi è mai balenato per la mente di accettare aiuti, né monetari né di equipaggiamento. Mi rende orgoglioso partire sapendo che quel viaggio esce dai miei sudati risparmi. Lavoro come operaio agricolo; il luogo dove vivo è una zona ricca di frutteti (e di inquinamento) e il lavoro, fino a oggi, non è mai mancato. Ad ogni modo, le somme risparmiate sono sempre un risicato mucchietto. Eppure la scarsità di risorse è un modo per vivere con e alla maniera delle popolazioni che vado a conoscere, è di stimolo per passare le notti nella natura, è un modo per essere me stesso. 

 

Durante il viaggio dove ti fermi per dormire e mangiare?  

 

Un pezzo importante del mio equipaggiamento è sicuramente la tenda; un rifugio nel quale trascorro gran parte delle mie notti. Credo di avere dormito un po’ ovunque: nelle stazioni di polizia, nei ristoranti, nelle palestre, nei dormitori, nelle case, nelle capanne, sotto le tende dei pastori. Una notte, in Alaska, ho dormito in un isolato gabinetto per timore dell’orso. Con me porto fornelletto e tegamini e di solito mi preparo da solo il pasto, comprando cibo del posto. Nei paesi poveri mi siedo spesso nei loro ristoranti in strada e cerco sempre piatti locali.

 

 

L’ostacolo più grande da superare, quando si affrontano questi lunghi viaggi in bici, è più fisico o psicologico? 

 

Gli ostacoli più grandi da superare, in quasi tutti i viaggi, restano i confini da attraversare, le scartoffie burocratiche; quelle barriere che possono interrompere un viaggio o deviarlo, togliendo la possibilità di visitare luoghi che si desideravano conoscere. Le fatiche fisiche e psicologiche, spesso, sono una la causa dell’altra. Un deperimento fisico per troppo sforzo e cattiva alimentazione può intaccare la volontà, la voglia di fare, la percezione di dove si è. Come le tensioni emotive create, per esempio, dalla vicinanza di animali pericolosi, da situazioni ambientali politiche instabili o dall’incertezza di ottenere i visti, possono sottrarre forza fisica, impigrire la vitalità. Comunque i problemi fisici o psicologici, o entrambi sono il sale del viaggio, le situazioni che rafforzano il carattere e che mettono in evidenza quello che abbiamo dentro e come siamo fatti. Ci si impara a conoscere. 

 

Qual è l’emozione più grande che hai provato? E in quale occasione?  

 

Le emozioni più grandi le ho vissute al cospetto di scenari ed espressioni forti e inconsuete della natura. L’apice di questi turbamenti l’ho provato ammirando l’aurora boreale. Era una notte di fine settembre nel nord dell’Alaska. La temperatura di meno dieci gradi sotto zero mi obbligava a dormire vestito, sigillato dentro due sacchi a pelo. Il sonno era a tratti, un po’ per il freddo, un po’ per il timore dell’orso. D’improvviso nel nulla risuonò un canto indiano che mi fece sobbalzare. Una nenia con alti e bassi vibrava nella fredda notte. Per un attimo pensai di non essere completamente sveglio, forse stavo sognando. A fatica e contro ogni logica, uscii dalla tenda trafitto da un freddo al quale non ero abituato. Seguii il canto che portava a delle luci vicino alla pipeline, all’oleodotto che taglia l’Alaska da nord a sud. Erano dei lavoratori all’opera e uno, non so per quale motivo, si era messo a cantare o a pregare o a ringraziare a suo modo. Tranquillizzato, mentre mi accingevo a rientrare in tenda già mezzo ghiacciato, alzai lo sguardo al cielo, un’abitudine prima di ritirarmi, e restai folgorato dall’aurora boreale che riempiva il cielo. Dei drappi bianchi, giallognoli danzavano al canto indiano nel cielo del nord, sfilacciandosi per poi unirsi senza mai lasciarsi. Dei fantasmi che giocavano soavemente, con gentilezza nell’aria che pareva piena di sibili metallici. Solo il dolore fisico del freddo mi obbligò a staccare gli occhi da quello spettacolo; quell’emozione rimane nitida nei miei ricordi. 

 

Prima di partire pianifichi il tuo viaggio o vai dove ti porta il cuore?

 

Non mi è mai capitato di pianificare un viaggio. So da dove parto, poi inizio a pedalare verso una storia che cambia cammin facendo, in base ai consigli della gente del posto o perché ascolto un altro viaggiatore oppure perché certe frontiere restano chiuse mentre altre si aprono. Pianifico, nel mio immaginario, di finire il viaggio sempre sul mare, mi pare il finale più naturale e più giusto per chi si muove in bicicletta. Non sempre però è possibile. 

 

La tua compagna di viaggio ti segue dal lontano 1987. Ne avrete viste di cotte e di crude in tutto questo tempo. Quando non riuscirà più a portarti “lontano”, la sostituirai con un’altra bici o sarà arrivato anche per te il momento di fermarti? 

 

Alla fine dell’estate, una ditta di biciclette mi ha proposto una bicicletta nuova che sarebbe stata montata come avrei voluto, con pezzi da me scelti. L’allettante offerta non mi ha neppure sfiorato e ho rifiutato, ringraziando chi è stato così cortese. Non mi ci vedo su un’altra bicicletta e, viaggio dopo viaggio, mi ci affeziono sempre più, inoltre in sella ci sto comodo, cosa molto importante per chi ci sta anche per dieci ore e più al giorno. Dopo l’ultimo viaggio, quello africano, ho dovuta sistemarla un pochettino, ma è sempre lei. Sono io, piuttosto, ad aver bisogno di una revisione.

Di sicuro il prossimo viaggio sarà ancora una volta in sella alla mia fedelissima! 

 

ob**********@gm***.com

 

 

A cura di Nicole Cascione

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