Andrea: il mio percorso professionale mi ha portato a Glasgow (Scozia)

 

Lavorare per una multinazionale comporta diversi vantaggi, quali quello di poter vivere esperienze all’estero e di poter operare in un contesto lavorativo internazionale e stimolante. Andrea ha avuto la fortuna di lavorare per diverse aziende fino al 2010, quando è stato assunto dalla C&C Group, produttore, venditore e distributore leader di bevande alcoliche di marca prevalentemente in Irlanda, Regno Unito e Stati Uniti. Attualmente Andrea è Direttore Industriale della sede di Glasgow, un’esperienza bellissima e appagante, in un ambiente lavorativo sano e stimolante, dove la burocrazia lascia spazio all’azione, lasciando le persone più libere di operare, focalizzandosi sul risultato finale.

 

Andrea ci racconti qualcosa del tuo percorso professionale e delle motivazioni che ti hanno portato in Scozia?

 

Dopo una prima esperienza lavorativa nel settore dell’automotive sono stato assunto dalla Mars. Lavorare per una multinazionale non solo ha fatto in modo che operassi in un contesto internazionale, ma mi ha dato l’opportunità di fare una prima esperienza all’estero (in Francia), esperienza che da temporanea si è poi trasformata in definitiva. Dopo circa 5/6 anni nel settore del cioccolato, sono passato in Kronenbourg e nel 2008 in Carlsberg, gruppo per il quale ho ricoperto alcune funzioni centrali a Copenaghen e Basilea. Nel 2010 ho accettato, con entusiasmo, la proposta di C&C, proposta stimolante non solo da un punto di vista prettamente professionale, ma anche personale in quanto mi ha dato l’opportunità di trasferirmi nel Regno Unito, esperienza di vita che mi ero sempre prefissato di fare. Alla base di tutte le mie scelte e i cambiamenti c’è sempre stata la curiosità e il desiderio di confrontarmi e conoscere altre culture come principale motivazione di cambiamento.

 

Cosa significa essere Group Manufacturing Director e soprattutto cosa significa esserlo all’estero?

 

Circa 10/15 anni fa, quando durante i colloqui mi si faceva la classica domanda: “Dove si vede tra 10 anni?”, ho sempre risposto che avrei voluto essere Direttore Industriale. L’esserci arrivato è fonte di soddisfazione ma anche di energia, perché al momento faccio quello che mi ero prefissato e che mi piace. Naturalmente il quotidiano è pieno di problematiche da risolvere, ma ho la fortuna di lavorare con ottimi professionisti con i quali riusciamo, quasi sempre, a trovare la soluzione. Un ambiente lavorativo sano e stimolante rimane una chiave assoluta per rendere un lavoro, qualunque esso sia, eccitante e appagante. A fine giornata davanti a una pinta di Tennent’s o Magners, dire: “Questa l’ho fatta io”, è una bella soddisfazione. Sinceramente non penso che ci sia una differenza specifica tra il farlo in Italia o il farlo all’estero. Le problematiche intrinseche del ruolo sono le stesse, le tempistiche, le modalità di risoluzione possono essere diverse, come possono esserci differenze se si paragona la Francia al Regno Unito. Una variante fondamentale rimane la società in cui si lavora, la cultura aziendale infatti, specie se quella di una multinazionale, può giocare un ruolo fondamentale. E’ innegabile che ci siano Paesi, e il Regno Unito è uno di questi, dove la burocrazia lascia spazio all’azione, lasciando le persone più libere di operare, focalizzandosi sul risultato finale.

 

 

Che consiglio daresti a coloro che desiderano entrare nel mondo del lavoro in Scozia?

 

Comprate un ombrello! A parte gli scherzi, trasferirsi all’estero e non solo in Scozia, può dare molte soddisfazioni, ma richiede anche sacrifici, la lontananza dagli amici e dalla famiglia è solo uno dei tanti, forse il più semplice da menzionare. E’ quindi importante partire ben consci del fatto che non sono tutte rose e fiori.

 

Qual è il giusto modo di approcciarsi?

 

Ricordarsi sempre che si è ospiti, quindi prima di affermare la propria cultura, è necessario capire, accettare e fare parzialmente propria la cultura del Paese che ci ospita. La mia esperienza mi dice che essere italiano aiuta ad aprire porte, invece che a chiuderne.

 

A proposito di esperienza, la tua è decisamente internazionale. Hai lavorato in Francia, in Svizzera, in Danimarca ed ora in Scozia. Ma qual è il motivo che ti ha spinto ad andare all’estero?

 

Sono andato all’estero un po’ per caso, come ho affermato prima, la società per cui lavoravo mi ha proposto una missione che da temporanea si è trasformata in permanente. Ho sempre ricoperto ruoli che mi hanno spinto a viaggiare tra i diversi Paesi e questo continuo viaggiare mi ha permesso di incontrare persone di lingua e cultura differente, onde per cui con il tempo, pur restando italiano e rimanendo orgoglioso di esserlo, ho iniziato a sentirmi cittadino Europeo. Svizzera, Danimarca, Scozia, alla fine sono solamente un limite geografico non tanto dissimile da quello che potrebbe esserci tra Sicilia, Abruzzo e Trentino.

 

Tra i diversi Paesi in cui hai lavorato, quali sono le differenze che hai potuto riscontrare in ambito professionale?

 

In Italia si lavora troppo tempo. Alcuni miei amici escono regolarmente dall’ufficio dopo le sette o le otto di sera, situazione che ho vissuto personalmente all’inizio della mia carriera. In Svizzera, Danimarca e Scozia alle 17.00 gli uffici si svuotano. Penso che questo accada per differenti ragioni. Una può essere legata alla nostra cultura e al nostro modo di essere, che ci porta a parlare a lungo, magari perdendo tempo a discapito dell’efficacia e della velocità. L’altra può essere legata al fatto che le società, nei momenti di picco, tendono a non assumere nuove risorse, a causa delle difficoltà che possono esserci al termine del rapporto lavorativo nei momenti di “fiacca”, quindi i lavoratori hanno una mole di lavoro in più da sbrigare rispetto ai colleghi stranieri.

 

Ormai sono quasi tre anni che vivi stabilmente a Glasgow, quindi hai avuto modo di conoscere bene il posto. Cosa puoi raccontarci?

 

Dopo una profonda crisi legata al declino delle sue industrie e cantieri, Glasgow sta rinascendo. Si sta ricostruendo sui servizi, la cultura, in un certo senso il suo percorso è paragonabile a quello di Torino, città con la quale, per altro è gemellata. E’ una città che di primo acchito non colpisce, ma che si impara a conoscere ed ad apprezzare vivendola. Sicuramente è una città a misura d’uomo, un ruolo importante è giocato dall’abitante di Glasgow, aperto e sorridente. L’unico vero punto negativo del posto è la mancanza di luce in inverno, mentre al clima ci si abitua. A torto ha la nomea di essere una città molto violenta; forse era vero nel passato, la mia esperienza personale invece attesta l’opposto, è la città più sicura in cui abbia mai vissuto.

 

 

Quali sono le qualità che la rendono una città a misura d’uomo?

 

Qui muoversi non è un problema, i taxi costano poco, gli autobus operano 24 ore al giorno, c’è una piccola metropolitana e una rete di stazioni ferroviarie che lega i vari punti della città alla periferia. Per il resto è una città che offre moltissimo, molti parchi, musei gratuiti, concerti e musica live, strutture per praticare sport, un’infinità di ristoranti e locali, insomma un posto dove non ci si può annoiare. In soli 20/30 minuti di macchina si è immersi nella campagna o si è in riva al mare.

 

E gli aspetti negativi?

 

Primo: il clima invernale, il freddo e la pioggia associate alla mancanza di luce, il buio a partire dalle 4 del pomeriggio fino alle 9 del mattino successivo, può deprimere. Secondo: il particolare accento rende la lingua, almeno all’inizio, quasi incomprensibile anche per chi ha un buon livello di inglese. Quest’ultima difficoltà però si supera velocemente rispetto alla prima che è un po’ più ……challenging!

 

Qual è il tenore di vita?

 

Paragonato ad altre grandi città britanniche è sicuramente più alto. Lo stipendio minimo per 35 ore a settimana arriva ai nostri mille euro mensili, ma il costo della vita è relativamente basso, soprattutto per quando riguarda l’acquisto o l’affitto di un’abitazione e i beni di prima necessità. Il servizio sanitario pubblico è gratuito e ci sono agevolazioni per le famiglie con figli. L’offerta per i divertimenti è ampia e per tutte le tasche, quindi anche le persone con redditi bassi hanno l’opportunità di avere un tenore di vita decoroso e di potersi concedere la pinta di birra al bar o altri svaghi.

 

Cosa invece ti piace di più di questa città per quanto riguarda lo stile di vita?

 

L’abitante di Glasgow ha un motto: “Work hard, play hard” (lavora duro, gioca duro: si lavora duro ma dopo ci si diverte e questa filosofia si respira. Glasgow è una città che, pur essendo oggettivamente grigia con il suo cemento e acciaio, è piena di vita. Io faccio spesso il paragone tra Edimburgo e Glasgow. La prima è una città che affascina per la sua bellezza ma è un po’ “the e biscotti alle cinque”, mentre invece Glasgow è decisamente “rock and roll”, ognuno può scegliere quello che preferisce.

 

Quali sono le tue passioni extralavorative?

 

Lo sport ha sempre fatto parte del mio quotidiano e da quando sono in Scozia il golf non può mancare nelle attività praticate. Film, meglio se al cinema, e un buon libro rimangono due dei passatempi preferiti, soprattutto nei piovosi weekend invernali. Mi ritengo un cuoco discreto, trovare il tempo di andare a comprare gli ingredienti e prepararsi un buon piatto non è solo un passatempo, ma un modo per rilassarmi e divertimi, meglio ancora se in compagnia. Viaggiare mi è sempre piaciuto, in passato Asia e America sono sempre state le mete preferite, ultimamente ho imparato a scoprire la buona vecchia Europa.

 

 

Per concludere, ti ritieni soddisfatto della crescita personale e professionale? Ci sono ancora dei traguardi che ti piacerebbe raggiungere?

 

Mi reputo molto fortunato. Professionalmente ho avuto la fortuna di avere managers e colleghi che mi hanno insegnato molto, che mi hanno aiutato a progredire e a cogliere le opportunità che mano a mano si sono presentate. Personalmente ritengo che l’avere conosciuto da vicino altre culture mi abbia arricchito molto. Sono andato all’estero quasi per caso e mi piace pensare che, se fossi rimasto in Italia, avrei percorso altri sentieri e avuto esperienze altrettanto stimolanti e soddisfacenti, solamente diverse.

 

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A cura di Nicole Cascione