Me ne vado a est. Imprenditori e cittadini italiani nell’Europa ex comunista

 

È uscito recentemente un libro molto interessante e, a tratti discutibile, nel senso positivo del termine, cioè che meriterebbe molte discussioni: "Me ne vado a est. Imprenditori e cittadini italiani nell’Europa ex comunista" di Matteo Ferrazzi e Matteo Tacconi, Infinito Edizioni. Un testo di economia, storia e geopolitica che, con un linguaggio semplice e preciso, ci accompagna attraverso un viaggio in un mondo paradossalmente troppo poco conosciuto e di cui, misteriosamente, si parla poco.

 

Già il titolo, con la definizione ex comunista, suggerisce una chiave di lettura stimolante e provocatoria: indica cioè un oggettivo passato storico ed economico di paesi che, una volta erano un blocco unico ma che hanno subito, talvolta in modo traumatico, una transazione all’economia di libero mercato e ad una politica che vorrebbe essere democratica ma che ne ha fatto un mosaico di realtà estremamente diverse una dall’altra. Già divenire consapevoli di questa complessa frammentazione culturale ed economica, che ha rimesso in moto anche identità nazionali molto marcate, aiuterebbe a capire meglio la dinamica, passata e attuale, della presenza imprenditoriale italiana all’est.

 

Quando si parla di est ci si concentra, in modo colpevolmente miope, sulla Cina; ma gli autori, con cifre e documentazione puntuale, ci raccontano di come per ogni singolo imprenditore che investe nel grande paese orientale, ce ne siano ben quattro che lo fanno nei paesi di quella che si definiva "oltre cortina". È stimolante leggere questo libro alla luce dell’attuale situazione economica, mai così difficile, mai così in bilico tra considerazioni sulla fine del capitalismo, necessità di altri modi di considerare l’economia e rimessa in discussione della finanza stessa. Eppure, incredibilmente, se una volta il ventre molle dell’Europa erano i paesi dell’est, ora è l’occidente a soffrire mentre le economie dell’est, seppure con enormi difficoltà e ritardi, hanno retto meglio di altre.

 

Il fenomeno dell’imprenditoria italiana nell’Europa dell’est resta, chissà perché, sottovalutato mancando o essendo molto carenti numeri e dati economici precisi su questa realtà. Eppure Bulgaria, Romania, Polonia, Repubblica Ceca e altri paesi di quell’area sono un misconosciuto Eldorado in cui, alcuni imprenditori grandi e piccoli hanno deciso di investire scommettendo su condizioni che stimolano le scommesse imprenditoriali. Le storie e gli esempi riportati in questo libro hanno il pregio di mettere in luce sia gli aspetti positivi sia gli aspetti negativi, e a volte drammatici, di economie e politiche di cui troppo poco si dice e si sa.

 

 

Ma, come spesso accade, in maniera fantasiosa o in maniera più strategica e strutturata, l’imprenditoria italiana, o almeno una sua parte, sembra avere uno sguardo più lungimirante rispetto alla politica italiana andando ad agire quasi come stimolo ad una maggiore integrazione di questi paesi con un teatro europeo di più vasto respiro. Un’integrazione e una storia di imprese che non è nuova e ha iniziato sempre più a muoversi secondo un’interessante formula utilizzata dagli autori: frammentazione della produzione e integrazione dei mercati. Le imprese italiane, alcune imprese italiane, hanno non solo spostato la produzione ma hanno anche iniziato a lavorare con i mercati interni di quei paesi. E questo è un fenomeno che merita analisi ben diverse e molto più complesse rispetto a quelle che si limitano a sottolineare, giustamente, come la delocalizzazione abbia causato non pochi scompensi nel tessuto produttivo italiano. Cioè non basta sottolineare che molte aziende si siano trasferite ad est anche per una forza lavoro più economica. C’è anche questo ma non solo, e nel libro è spiegato molto bene.

 

 

E allora perché una certa parte dell’imprenditoria va ad est? Un po’ perché l’imprenditore, per sua natura, ha bisogno di crescere e aumentare il proprio mercato e, in questo l’est offre un teatro economico forse meno saturo; un po’ perché in Italia fare impresa sta diventando sempre più difficile per questioni strutturali che riguardano quello che viene definito "il sistema paese" e che riguarda la politica, la scuola e l’università, il fisco e altro. E l’ultima parte del libro è una lucida e amara analisi proprio di questa situazione. E forse è proprio l’estrema lucidità con cui gli autori analizzano la complessità del fenomeno a fare di questo libro uno strumento prezioso per capire la fame di estero, in generale, e di est in particolare, senza nascondere le storture e i problemi che questo comporta. Ma non è nascondendosi il problema che l’Italia può riconquistare una competitività che non ha più.

 

 

Davvero un libro illuminante per certi aspetti, che smonta molti luoghi comuni sui motivi per cui molte aziende si spostano ad est, che riporta l’economia nei termini pratici e pragmatici che deve avere, considerandola per quello che è, senza inutili romanticismi e pericolosi no a priori. Il tutto incorniciato da chiare e documentate notizie storiche, economiche e politiche sui diversi paesi dell’area orientale europea, la loro difficile trasformazione, a volte violenta come quella della ex Yugoslavia, tanto per fare un esempio. Un testo da leggere assolutamente.

 

Per concludere una breve presentazione degli autori: Matteo Tacconi è un giornalista da tempo interessato alla storia dei paesi dell’Europa dell’est e dell’area balcanica. Autore dei libri "Kosovo: la storia la guerra il futuro" pubblicato da Castelvecchi nel 2008. Sempre per Cstelvecchi, l’anno successivo, pubblica "C’era una volta il muro: viaggio nell’Europa ex comunista".

Matteo Ferrazzi è un analista economico nell’ufficio studi sia di Unicredit sia di Prometeia.

 

A cura di Geraldine Meyer