Rapa Nui – Cile – “l’Isola che non c’è”

 

 

 

E fu così, che vidi le onde danzare.

 

La leggenda narra di Hotu Manu’A, re di un bellissimo popolo polinesiano dalla pelle color dell’ebano chiamato Rapa Nui, che, dalla lontana Polinesia, inviò 7 giovani naviganti/avventurieri ad esplorare le acque del Pacifico (tutt’altro che pacifiche) con lo scopo di trovare un posto nuovo in cui vivere e prosperare.

Il motivo della migrazione non e’ ancora chiaro… e lo lasciamo alla leggenda: sovrappopolazione dell’isola di origine, scarsezza di risorse naturali, tribù espulsa dal territorio dopo la sconfitta in una guerra fratricida.

Tra il 400 e l’800 d.c. il popolo di Rapa Nui occupo’ l’isola di Pasqua e tra l’800 e il 1700 la cultura classica Rapa Nui (detta anche cultura Mohai), raggiunse il suo massimo splendore; dopodiché, scomparve nel nulla.

I "sette", a cui e’ dedicata la piattaforma sacra di Ahu Akivi, approdarono a Rapa Nui, 4.000 km a sud est della Polinesia e 3.700 km a ovest della costa Cilena. La piattaforma di Ahu Akivi e’ l’unico tempio di tutta l’isola che, anziché guardare verso la terra ferma, guarda il mare, ovvero il luogo da cui i naviganti/avventurieri sono venuti: la Polinesia appunto.

Ai "sette" fece poi seguito l’intero popolo Rapa Nui che raggiunse l’isola guidato da Hotu Manu’A e da sua moglie. Questo meraviglioso popolo si spostò nell’Oceano Pacifico, orientandosi solo ed esclusivamente con le stelle e avvalendosi di semplicissime canoe; navigò per 4.000km a est, con l’intento di stabilirsi a Rapa Nui e di sopravvivere agli eventi.

Purché ottimi conoscitori di mare e cielo (come tutte le popolazioni antiche), rimane difficile comprendere e ancor più impossibile credere che il popolo Rapa Nui abbia navigato in lungo e in largo attraverso il Pacifico, avvalendosi solo di semplici canoe. Chissà … chissà se la loro approfondita conoscenza dei cieli, non li avesse invece messi in condizioni di conoscere qualcuno o qualcosa di più che le stelle e i pianeti …

Subito dopo il suo arrivo, il re Hotu Manu’A, divise l’isola in 7 porzioni che distribuì in modo eguale ai 7 clan/tribù in cui era divisa la sua famiglia.

Il re non si limitò a suddividere il territorio, ma stabili’ anche delle regole per la comune sopravvivenza della popolazione e, in particolare, definì quali fossero le principali proibizioni, i principali tabù, ovvero definì e divulgò alcune regole che non potevano essere infrante da nessun componente dell’isola e che, come appunto narra la leggenda, diverranno una delle cause principali del processo di auto-distruzione del popolo di Rapa Nui; ad esempio quella che consentiva di pescare e coltivare solo in certi periodi dell’anno, stabilita dal re, pur sapendo che caccia, pesca e agricoltura erano gli unici mezzi di sostentamento del popolo Rapa Nui.

Ad uno dei 7 clan toccò la zona del Ranu Raraku, cratere vulcanico spento, ricco di basalto, da cui si iniziò l’estrazione e la costruzione dei Mohai, "i giganti faccioni di roccia scura".

 

 

La cultura Rapa Nui si manifestò in tutto il suo splendore, con la costruzione dei Mohai tra il 1.000 e il 1.700 d.c.: incredibili megaliti ricavati dal cratere del vulcano Ranu Raraku e collocati su tutto il perimetro dell’isola.

I Mohai, maestose strutture di roccia vulcanica che prevedono la forgiatura di solo viso e busto, hanno dimensioni che variano dal metro, il più piccolo, ai 21 metri e 65 cm del più grande che, non portato a termine, e’ rimasto incavato nel “cantera” (laboratorio) del Ranu Raraku.

I Mohai venivano commissionati direttamente dalle famiglie dell’isola alla tribù che occupava la zona del Ranu Raraku, la quale, avvalendosi di numerosa manodopera locale, scavava direttamente nella roccia gli splendidi megaliti; la produzione dei "faccioni" non si fermava mai, continuava notte e giorno tanto elevata era la richiesta di tali monumenti funebri. Gli abitanti dell’isola ci raccontano che, nei giorni di pioggia, per l’intero cantiere di Ranu Rarako si sparge odore di cibo, il cibo che veniva cucinato direttamente sul cantiere per evitare che gli operai smettessero di lavorare e portare alla luce i faccioni.

Perché li ho chiamati monumenti funebri. Perché i Mohai rappresentavano gli antenati della famiglia committente che, una volta morti, conducevano la propria anima all’interno del Mohai stesso, dal cui corpo roccioso avrebbero osservato e protetto la propria famiglia, i propri discendenti rimasti in vita sull’isola, da eventuali pericoli e sofferenze.

I Mohai infatti erano dotati di "Motu" ovvero di anima e di poteri divini e, in quanto tali, avevano la funzione di fare da intermediari con le divinità; I Mohai, in cambio di offerte e cerimonie, intercedevano con le divinità assicurando cibo in abbondanza e terre fertili ai propri discendenti.

I Mohai venivano trasportati presso la postazione scelta dalla famiglia committente, in posizione verticale, facendoli scorrere giù dalle pendici del vulcano/laboratorio, attraverso fiumi di tronchi d’albero stesi a terra. Pare che questo metodo di trasporto, sia poi entrato a far parte della leggenda, che narra appunto che i Mohai camminavano, da soli, in piena autonomia, verso la loro postazione definitiva.

Una volta posizionati sulla costa dell’isola, i loro discendenti provvedevano a poner loro gli gli occhi, fatti con corallo marino bianco, nel bulbo oculare, dotandoli di Motu, anima, vita e "attivandoli" ovvero rendendoli capaci di operare per il bene delle genti.

I Mohai rimasti invece sui pendii del Ranu Rarako, non hanno pupille, non sono mai stati attivati, per cui non erano ancora in grado di agire a protezione delle famiglie committenti.

Rapa Nui e’ completamente coperta di Mohai, ci sono statue ad ogni angolo dell’isola.

Tutti i Mohai danno le spalle al mare e guardano verso l’interno dell’isola poiché il loro scopo era proteggere la propria famiglia, quella che li aveva fatti edificare.

I Mohai sono un’opera di matematica e di ingegneria perfetta. Pur essendo così alti, mastodontici direi, hanno un baricentro piuttosto basso e, una volta tirati in piedi, non sono di certo destinati a cadere. Non solo, il viso e’ proporzionatamente perfetto: le orecchie che sembrano apparentemente molto lunghe e sproporzionate, vanno invece, come accade per i nostri visi, dal labbro in sù; il naso e la bocca hanno la stessa larghezza e sono praticamente perfetti.

Con il passare degli anni e la massiccia produzione di faccioni, il popolo Rapa Nui aveva creato le condizioni per la propria estinzione: aveva sfruttato intensamente tutte le risorse dell’isola, aveva disboscato per trasportare i Mohai sulle coste, di conseguenza gli animali dei boschi erano morti, il terreno era diventato arido, il clima si era fatto più secco e, infine la stessa civiltà Rapa Nui aveva prosperato a tal punto da arrivare a circa 25.000 abitanti su un’isola che e’ a tutti gli effetti piccolissima e pare proprio non bastare per l’esiguo numero di abitanti che oggi la abitano e che sono prossimi alle sole 5.000 anime.

 

 

Fu così che si innescò un tremendo circolo vizioso: la manodopera costruttrice dei Mohai smise di lavorare poiché essendo pagata in natura e scarseggiando il cibo, era arrivata a non percepire più alcun tipo pagamento; la scarsezza di risorse venne legata alla caduca capacita’ dei Mohai di fare il proprio dovere di intermediari con le divinità per assicurare prosperità e benessere; le tribù cominciarono a diventare veri e propri rivali in lotta per accaparrarsi le risorse ormai scarse.

La rivalità tra tribù si manifestò nel modo più brutale e animalesco possibile: le tribù, iniziarono colpendo le famiglie avversarie alla fonte del loro benessere ovvero buttando a terra i Mohai; in questo modo, non colpivano solo il carissimo simbolo sacro ad ogni famiglia, ma in particolare rendevano inefficace il Motu/anima, la capacità del Mohai di provvedere alle risorse alimentari dei propri discendenti, ponendo così in condizioni di estrema precarietà le famiglie colpite. In particolare, i Mohai, venivano buttati a terra e gli venivano cavati gli occhi, privandoli del loro Mutu, della loro anima, della loro capacita di intercessione con le divinità.

Le guerre intestine si fecero sempre più intense e la scarsezza di risorse pure. A tutto questo si aggiunse appunto una forte crisi di fede: nessuno credeva più alla capacita dei faccioni di assicurare cibo e prosperità agli abitanti dell’isola.

Fu così che, nel 1680 d.c. circa, il periodo classico dei Mohai giunse alla sua fine e tutta le popolazione fece confluire la propria fede, verso un nuovo Dio, il Maka Maka,

Nel frattempo però, il popolo Rapa Nui si era notevolmente ridotto; nel periodo in cui il Perù arrivò sull’isola, i Rapa Nui erano ormai meno di un centinaio di persone. I Peruviani inoltre, schiavizzarono e deportarono sulla terra ferma tutti i migliori elementi della popolazione, gli intellettuali in particolare poiché da sempre i più quieti e dunque meno ribelli. L’intera cultura Rapa Nui e tutto ciò che si sa di lei, che da secoli veniva trasmessa esclusivamente in forma orale, improvvisamente e malauguratamente per noi che la possiamo solo guardare e non ascoltare, scomparve.

 

Melissa e Pierluigi