Casa, un luogo dell’anima

 

Sono tornata nella sconfinata Australia dopo una pausa neozelandese durata più di 2 mesi. Quest’isola – continente mi sta ospitando dal dicembre 2010, l’ho attraversata in lungo e in largo per i 4 punti cardinali. E’ una terra dal fascino incredibile, così immensa e paesaggisticamente diversa che descriverla in poche righe sarebbe come scrivere il copione di Mission Impossible 5. Il buon turista la vorrebbe come la terra dai canguri, koala, coccodrilli, serpenti, spiagge esotiche e sabbia rossa desertica, ma oltre a questi luoghi comuni c’è molto di più.

 

Come Melbourne per esempio, la località che mi accoglie da ormai 3 mesi.

 

Dopo aver passato gli ultimi tempi in zone remote e molto isolate, ho avuto il desiderio di ritornare in un centro urbano. Ho scelto quindi Melbourne, una città moderna ed eccentrica di cui mi ero innamorata un anno e mezzo fa dopo una breve visita di 3 giorni. Capitale dello stato del Victoria, è la metropoli più ampia per dimensioni e popolazione dopo Sydney ed è il centro culturale dell’Australia per eccellenza per il suo fitto calendario di manifestazioni artistiche. La comunità europea di immigrati, specialmente italiani, è molto numerosa poiché questo era uno dei primi scali portuali dell’Australia fino agli anni ’50 ed infatti l’atmosfera che si respira ricorda molto da vicino quella di una capitale europea. Ho dovuto riniziare la routine cittadina che avevo abbandonato: casa, lavoro, tram autobus e centri commerciali.

 

La mia casa ora è la stanza di un ostello che condivido con una ragazza spagnola e 2 inglesi. Lavoro qualche sera in un ristorante italiano molto conosciuto. Il cibo è ottimo, il menù e gli ingredienti sono molto ricercati e il team è geograficamente molto vario e quindi gli italianissimi arancini, risotti, lasagne e pizze sono preparati da 3 bravissimi cuochi del Bangladesh. Sono musulmani praticanti, osservano il Ramadan e quindi in questo periodo non possono mangiare dall’alba al tramonto. Una gran fortuna per me che posso pranzare, cenare e fare merenda con i loro errori. Se qualche cosa non è cucinata a dovere, o semplicemente non si ritengono soddisfatti, i loro "sbagli" diventano il mio "trofeo".  Spesso lo stress e l’ansia di un ristorante sempre pieno che non conosce natali o domeniche innervosisce gli animi e genera incomprensioni. Niente paura perchè tutto si placa quando interviene lei, Gianna Nannini. Lavoriamo al suon di musica rigorosamente italiana e tra i vari Ligabue, Battisti, Celentano o Giorgia la beneamina della cucina è "Geana", come viene chiamata tra un mix di accenti asiatici e australiani. Amami ancora, fallo dolcementeeeee un anno un mese un’ora, perdutamenteeee…se c’ è una discussione o un battibecco in corso quella canzone ha il potere di farli ritornare ad uno stato di pace ed estasi. Chissà se la ribelle Gianna, impegnata tra concerti e melodie rock, potrà mai sapere che la sua musica ha il potere di calmare gli animi irrequieti di 3 cuochi musulmani in Australia. 

Dopo il lavoro, verso mezzanotte, mi incammino nelle vie semi-desertiche del quartiere Fitzroy, dove si trova il ristorante, diretta verso la fermata del tram ascoltando la musica del mio mp3, e mi sorprendo quando invece di guardarmi le spalle, data l’ora e l’isolamento, il mio sguardo è rivolto verso il cielo stellato. Nella quiete australiana le passeggiate notturne in solitario non sembrano essere un problema.  Giovane, eclettica e frizzante, Melbourne è la città che tra le tante culture, accoglie anche quella omosessuale. Benvenuti a Melbourne, dove le diverse culture del mondo si fondono e dove la diversità è una consuetudine.  La città vanta ben 2 quartieri dedicati alla popolazione omosessuale, ma tutta l’area urbana si dichiara gay-friendly perchè questa è una città intelligente che ha capito che l’omosessualità non è una malattia ma una normale condizione dell’essere umano. Non c’è discriminazione, non c’è giudizio, non c’è commiserazione ma indifferenza. E’ questo lo stato in cui si dovrebbe essere in una società civile e giusta. Qua ho conosciuto tanti gay e tante lesbiche, alcune persone molto valide, altre un pò meno come in tutto il genere umano in ogni parte del mondo. Mi spaventa pensare in quale condizione di razzismo potrebbero vivere nei loro paesi circondati da superficiale ipocrisia.  Qualche giorno fa con una mia amica inglese, Trish, parlavamo di casa. Siamo entrambe viaggiatrici di lunga data e quindi parlare di casa per noi è come parlare di musica classica per i Rolling Stones. 

 

Come si vive senza casa (o meglio quello che il sentir comune intende) con la consapevolezza di non sapere quando se ne avrà una ?Spesso mi perdo in questi pensieri. Per anni ho pensato che la mia casa a Cagliari fosse il luogo più sicuro e felice del mondo fino a quando crescendo sono cambiate tante prospettive. Quando non si è più nell’ambiente familiare in cui siamo cresciuti, ogni punto di riferimento, fisico e psicologico, cambia. Cambiano gli amici, i luoghi di ritrovo, il cibo, le abitudini e, naturalmente, il concetto di casa. Da quando ho iniziato a viaggiare la mia "dimora" è cambiata decine e decine di volte, tra stanze in affitto, campeggi, camper e ostelli. Sembra un controsenso, ma la casa viaggia con i viaggiatori e diventa una valigia sempre pronta, uno stato d’essere, un feeling che si percepisce con i luoghi e le persone che si incontrano.

 

Credo di aver sempre saputo che la mia casa non sarebbe stata "normale". 

Una volta in 4a elementare la maestra come tema ci aveva detto di parlare della nostra casa. Io avevo parlato di quello che mi faceva sentire a casa, la mia mamma e i miei giocattoli e parlando del futuro scrissi che da grande avrei vissuto in una barca per viaggiare intorno al mondo in modo tale da avere un giorno delle storie da raccontare ai miei nipoti. In un certo senso avevo indovinato il mio futuro, forse è vero che il nostro avvenire lo decidiamo inconsapevolmente già dall’infanzia, i bambini hanno delle idee molto chiare e decise che a volte possono far sorridere e divertire ma che possiamo poi rielaborare con gli occhi lucidi dell’età adulta. Le mie abitazioni sono state: una stanza in affitto in Francia e Inghilterra, una tenda nel nord della Nuova Zelanda, un furgone in Spagna e Portogallo, un bungalow in Indonesia e vari ostelli in Australia. Con tutti questi "traslochi" da un paese a un altro ho integrato nuovi punti di vista e cambiato vecchie e scomode abitudini. Qualche anno fa per esempio ero fortemente possessiva e gelosa delle mie cose, ma viaggiando ho capito quanto gli oggetti materiali siano superficiali. Certo tutti ne siamo consapevoli, ma a volte sono le esperienze a farcene rendere conto.

 

Ora non sono più gelosa di nulla, ho imparato a prestare tutti i miei "oggetti”, a comprare nei negozi di seconda mano e a capire che l’unico oggetto che devo custodire con morbosa possessività è il passaporto, il bene terreno più prezioso per un viaggiatore. Con gli anni la casa per me si è trasformata da luogo fisico a psicologico, ogni volta che ho incontrato persone speciali che mi hanno fatto sentire a mio agio mi sono sentita a casa: viaggiare in sè è diventata per me una sensazione di libertà che mi fa sentire a casa.

 

Il "vagabondare" può essere davvero una grande scuola di vita e miglioramento di se stessi.

 

Forse per alcuni di noi bisogna viaggiare prima di capire qual’è la casa giusta e forse è proprio questo che accomuna un pò tutti i viaggiatori. Non importa quanto il tempo scorrerà veloce, ognuno di noi troverà la via di ritorno (o di scoperta) verso casa. 

Casa dovrebbe voler dire per tutti sicurezza, pace ordine e amore, un luogo dove non si viene giudicati, un posto dove dei cuochi musulmani possono cantare e ascoltare rock, dove gli omosessuali non devono nascondersi o avere vergogna, dove la notte si può camminare per le vie di una città senza la preoccupazione di guardarsi le spalle, dove la libertà è un diritto e un dovere per tutti.  Ed è per questo che a notte fonda, mentre sono seduta nel tram, vicino alla finestra, circondata dalle luci di una città che dorme, io sono a casa. 

 

Dedico questo racconto a: tutte quelle famiglie che giorno per giorno, con tanti sacrifici lottano per mandare avanti la propria casa. E a coloro che ancora non ce l’hanno e la sognano ogni notte.

 

Silvia Muscas