Le mille sorprese della Contrescarpe

 

Giungere alla Contrescarpe – la deliziosa e vitale piazzuola che si erge sulla sommità della collina di Sainte-Geneviève, due passi esatti dal Panthéon – significa effettuare un tuffo nella Parigi più autentica, quella più letteraria, storica e misteriosa, che andremo a scoprire nel corso di queste nostre passeggiate. Qui siamo lontani dalla frenesia dei percorsi turistici prestabiliti, liberi dalle tappe obbligate e dalle trappole dei souvenirs a basso costo, e a guidarci è semmai la passione per l’arte, per le storie incredibili che hanno incrociato il pulsare ininterrotto della capitale.

Partiamo dal boulevard Saint-Germain, ci siamo lasciati la verde Senna alle spalle, ci troviamo nel quinto arrondissement, a qualche isolato dall’IMA (Institut du Monde Arabe), e risaliamo la lieve pendenza della rue du Cardinal-Lemoine che proprio sul boulevard viene a sfociare. Rue du Cardinal-Lemoine: un nome che mette decisamente in moto le meningi, prima che lo spettro della nostra eccellente guida prenda forma sotto i nostri occhi, per guidarci lungo la nostra promenade.

Mi riferisco ad Ernest Hemingway, che qui giungeva nell’inverno del 1922 insieme alla moglie Hadley, affittando l’appartamento al terzo piano che sta al numero 74 della via, proprio in vetta alla salita. Si fatica un po’ a giungere in fondo, ma poi, vi assicuro, l’emozione che se ne ricava non ha prezzo. Non a caso il quartiere latino è stato e rimane uno dei più affascinanti della città e della sua fervente memoria secolare.

Il portone blu scuro – il bel blu profondo che qui hanno la maggior parte degli infissi -, vagamente deturpato e bisognoso di una nuova mano di vernice è sovrastato dalla targa che ricorda la prima permanenza parigina dello scrittore. “Questa era la Parigi della nostra giovinezza – recita l’iscrizione ricalcando le parole con cui l’autore conclude Festa mobile, forse il più bello tra i suoi romanzi – all’epoca in cui eravamo molto poveri e molto felici.” E questo costituì il suo approdo nella fredda, difficile capitale del primo ventennio del secolo, anni di fame, maltempo, difficoltà di ogni genere, che costituiranno indubbiamente la linfa più genuina e creativa delle sue pagine.

 

Proprio di fronte alla casa di Hemingway un’altra dimora eccellente inchioda il passante togliendogli letteralmente il fiato. La casa stavolta si trova sul lato opposto della strada, al 71, ed è quella nella quale James Joyce avrà finalmente modo di ultimare il suo monumentale Ulysses, che vedrà la luce a Parigi, grazie all’intraprendenza della libraia-editrice Sylvia Beach. La si può immaginare, più che visitare, dietro le sbarre dell’alto cancello di ferro dipinto di verde, oltre cui si ritaglia un condominio dall’aria rurale e dalla quiete alquanto pacificante.

Siamo solo all’inizio del nostro percorso, eppure sembra già di scivolare nell’ imbuto magico e irraccontabile della storia. Benvenuti a Parigi, signori. Due dei massimi scrittori della modernità che la città riunisce a meno di un centinaio di metri di distanza. Ma, per dirla con Enrique Vila-Matas, Parigi non finisce mai, e soprattutto non finisce qui, come le sue sorprese, i colpi di scena che ci riserverà questo favoloso quartiere studentesco tuttora pieno di vita e di colore, perché poco più su, esattamente di rimpetto alla casa del grande Ernest, si apre un’altra stradina mediamente borghese, dalle pareti di un chiarore addirittura accecante.

E’ la strettissima rue Rollin, non più di quattro metri di larghezza, dove al numero 14 c’imbattiamo in un altro gigante del pensiero universale. Questa volta si tratta del matematico e filosofo René Descartes, che qui aveva la propria abitazione e risiedeva nel corso delle sue permanenze parigine. Lo ricordano un portone di legno su cui è impressa una singolare stella intagliata (mi piace credere che sia ancora quello originale) e l’iscrizione nella quale è indicata la sua sostanziale poetica di vita. Frase terribilmente poetica, che Cartesio scrive nel 1648 in una lettera alla Principessa Elisabetta di Boemia, e che racchiude un vero e proprio progetto esistenziale: “Vivendo così, con un piede in un paese e l’altro altrove, io raggiungo una condizione di piena felicità, e in tale condizione risiede il mio sentirmi libero.”

Eccezionale esempio di un uomo che ha sempre scelto come vivere, dove farlo e in che modo gestire il proprio destino. Quella porta che si fissa con ammirazione un po’ stupita è un monito per tutti: ci dice che è possibile scegliere, possibile cambiare, che non è mai troppo tardi per capire cosa dovrà esattamente esserne del nostro domani.

 

La Contrescarpe – romantica, con la sua aria da vecchio borgo di provincia, una delle più deliziose piazze di questa città imponente – è annunciata dal gorgheggiare della spumeggiante fontanella circondata dalle fronde degli alberi e recintata da una bassa catena di ferro circolare. Da tutti i lati i caffè affacciano sullo spettacolo pomeridiano degli artisti di strada: danzatori neri, suonatori di bongo, lanciafiamme, contorsionisti e cartomanti, massaggiatori che ti offrono, in cambio di qualche spicciolo, di sedere sui loro bassi sgabelli abbandonandoti alla sapienza ristoratrice delle loro dita.

Era qui che Hemingway veniva a trascorrere i suoi pomeriggi, qui che ha tracciato gli schemi di quelli che poi sarebbero divenuti alcuni dei suoi più noti racconti, anche se certamente all’epoca la zona doveva risultare assai meno elegante e frequentata di quanto lo sia adesso.

Il Café des Amateurs era il pozzo nero di rue Mouffetard, quella magnifica strada di mercato, stretta e affollata, che portava in place de la Contrescarpe. Le latrine dei vecchi casamenti, una per pianerottolo, di fianco alle scale, con i due rialzi scanalati di cemento a forma di scarpa su cui ciascun lato dell’apertura affinché il locataire non scivolasse, si scaricavano entro pozzi neri che di notte venivano vuotati pompandone il contenuto in autobotti trainate da cavalli. […] Ma la tristezza della città giungeva all’improvviso con le prime fredde piogge invernali, mentre camminavi sparivano gli ultimi piani delle alte case bianche e non restavano che l’umida oscurità della strada e le porte chiuse delle bottegucce – gli erbivendoli, le cartolerie e le edicole, la levatrice (seconda categoria) – e l’albergo dov’era morto Verlaine dove all’ultimo piano avevo una stanza dove lavoravo.

E’ infatti Paul Verlaine l’altro gigantesco nume tutelare di place de la Contrescarpe. Tra le viuzze che vi sfociano, una, la rue Descartes, al 39 attira la nostra attenzione per l’iscrizione che sovrasta l’alta facciata dell’edificio ma pure per la luminosa insegna de La Maison de Verlaine, ristorante dedicato al culto dell’artista, e al luogo in cui il più tormentato e geniale dei poeti di Francia visse infelicemente i suoi ultimi giorni di vita.

 

 

L’appartamento del poeta, descritto pure da Corrado Augias nel volume dedicato ai Misteri di Parigi, affacciava sulla stradina che svoltando a sinistra, e oltrepassando il prestigioso Lycée Henri IV (tra i più eminenti allievi della scuola Guy de Maupassant e Jean-Paul Sartre), terminava sotto l’austero colonnato del Panthéon, dove riposano alcuni dei giganti delle lettere francesi (Victor Hugo, Alexandre Dumas ed Émile Zola) e la donna di scienza più intelligente ed eroica che sicuramente la storia abbia prodotto: Marie Curie.

Questa la passeggiata pomeridiana di Verlaine, nei suoi ultimi anni di vita – malato, quasi del tutto cieco e claudicante, – l’autore si trascinava giù fino al Boulevard Saint-Michel, oltrepassava i lussureggianti Giardini del Lussemburgo, e concludeva le sue serate tra i tavolini del Café Procope (luogo che raccomandiamo caldamente), fondato da un palermitano lungimirante, e secondo la tradizione ufficiale il più antico ritrovo di Parigi.

La passeggiata ha messo appetito, signori miei, e si consiglia di deliziarsi con le saporite ricette proposte dal locale. Ma non dopo esser saliti un momento al piano di sopra, e aver sorriso sotto i versi giocosi che un insolito Voltaire – altro storico frequentatore del Caffè – ha composto degustando i consigliati sorbetti al limone per cui Procope era famoso. In un corsivo dorato che sovrasta il soffitto di legno chiaro, troverete il divertente invito al relax che farete bene a non tralasciare:

 

Quand Bourdain pour trop inspiré

avait bien médité du ciel,

Quand Piron contre l’Olymphie

avait bien vomi son fiel

Quand Rousseau le misanthrope

avait bien philosophé

Ca, Messieurs, disait Procope,

Prenez donc votre café.

 

Luigi La Rosa

Nota: le citazioni relative ad Hemingway sono tratte dal volume “Festa mobile” (Mondadori, trad. di Vincenzo Mantovani)