Scuola: dove funziona meglio?

 

È di pochi giorni fa un interessantissimo articolo pubblicato da Il Sole 24 ORE che, ancora una volta sottolinea il primato di un paese nordico e la nostra poco onorevole posizione in qualche classifica. Di cosa si tratta questa volta? Di scuola. E, mentre qualcuno con la solita poca fantasia si limiterà a commentare che abbiamo scoperto l’acqua calda, noi vogliamo entrare un po’ più nella questione. Il giornale riporta i dati di una ricerca condotta in collaborazione dalla casa editrice britannica Pearson e dalla Intelligence Unit dell’Economist secondo cui è la Finlandia ad ottenere il primo posto nella classifica sullo stato dei sistemi scolastici di ben 50 paesi al mondo. Questo studio è piuttosto approfondito e articolato e, anche per questo, il nostro poco onorevole ventiquattresimo posto, acquista ancora più drammaticità se si pensa che è frutto di qualcosa come una sessantina di parametri, tra cui il delicato argomento "investimenti". Cosa significhi in termini di futuro, ma anche economici, la politica che un paese adotta nei confronti della propria scuola è facilmente intuibile; quindi non restano molte parole per fare considerazioni su di noi.

 

L’articolo del Sole 24 ORE non manca di regalare sorprese (se amare o meno lo lasciamo al gusto di ciascuno di noi) come quella secondo cui il secondo posto di questa classifica è occupato dalla Corea del Sud: niente Gran Bretagna o Stati Uniti. Nel paese asiatico, inoltre, un docente ha un salario che, in media, è di due volte superiore alla media nazionale: e anche questo, forse, la dice lunga sia sul ruolo riconosciuto agli insegnanti sia al sistema scolastico nella sua interezza: sistema in cui il trattamento economico dei docenti ha molta influenza anche sulla qualità dell’insegnamento oltre che sulla motivazione del corpo docente stesso.

 

 

Ciò che mette in luce questo articolo è, questo sì, probabilmente banale: il motivo per cui questi sistemi scolastici sono all’avanguardia è spiegato da un fattore quasi banale nella sua semplicità e cioè l’investimento. La Finlandia investe il 12% del suo PIL e la Corea ben il 15%. Citiamo letteralmente dall’articolo in questione che riporta quanto dice questa ricerca: "Benché sembrino lontani anni luce l’uno dall’altro – si sottolinea nel Rapporto – i due sistemi sono molto simili negli esiti. Entrambi mostrano un alto livello di ambizione scolastica, ma declinato in modo diverso: in Corea attraverso test ed esami, in Finlandia attraverso un focus sull’apprendimento cooperativo. Inoltre il sostegno culturale dato da entrambi i Paesi alla scuola e all’istruzione in generale è molto elevato: un profondo impegno morale e socio-politico nei confronti della scuola in Finlandia, e per la Corea del Sud la convinzione che l’istruzione sia un dovere morale ed etico verso la famiglia e la società, oltre che nei confronti del proprio progresso personale. Alla figura del docente entrambi attribuiscono grande importanza, investendo molto nella fase di reclutamento e di addestramento."

 

Del resto, che la nostra politica scolastica fosse quanto meno discutibile, anche in termini di investimento, lo aveva già messo in luce uno studio dell’OCSE che parlava di un 4,9% del PIL che il nostro governo metteva in campo per la scuola. Ovvio che, anche senza essere dei geni, le differenze di percentuale tra i paesi menzionati e il nostro possano, da soli, far capire l’abisso di futuro e di qualità scolastica del nostro paese: paese che dovrebbe avere nella cultura proprio una delle sue leve anche economiche. Ovviamente anche in termini di remunerazione la differenza si fa sentire: sempre secondo questo studio gli stipendi dei docenti italiani sono più bassi rispetto a quelli di altri lavoratori laureati.

 

Tanto per restare in tema ci piace citare alcune considerazioni che, circa un anno fa, espresse Androulla Vassiliou, commissario europeo per l’Istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù: secondo la signora l’Europa, in parallello ad una indubbia e generalizzata crisi occupazionale giovanile, sta però vivendo una transazione verso quella che lei definiva "Un’economia basata sulle conoscenze". E questo mette in luce come l’istruzione sia uno dei modi, forse il più importante, per affrontare le sfide delle nuove professioni e dei nuovi talenti. E, sempre secondo i programmi già allora delineati dal commissario europeo, quello era uno dei motivi per cui era nata la "Strategia Europa "2020", programma in base al quale la Commissione investirà tra il 2014 e il 2020 quasi 20 miliardi di euro nell’istruzione. Gli intenti della Commissione passano anche attraverso un tentativo di potenziamento del programma Erasmus: secondo i calcoli, grazie ad ulteriori investimenti, il numero di studenti che potranno studiare all’estero con le borse di studio, dovrebbero raddoppiare.

 

A cura di Geraldine Meyer