Grandi alberghi parigini, suggestioni di una storia senza tempo

 

A Parigi un itinerario affascinante è senz’altro quello che passa attraverso i suoi hôtels, luoghi di grande carisma perché troppo intimamente legati alla sua cultura, alla sua tradizione, a quel corollario di memorie risonanti e squisitamente oniriche che ha fatto della città un crocevia secolare e fertile di pensieri, forme, sperimentazioni.

 

Il nostro percorso parte dall’ isola di Saint-Louis, oggi cuore del suo centro storico, e uno degli angoli nei quali una certa magia amena e romantica della capitale permane: siamo al 17 di quai d’Anjou, e le inferriate degli eleganti balconi bordati di dorature sono quelle dell’ hôtel Pimôdan. A partire dall’autunno del 1843 vi alloggia un ospite di singolare talento. Il suo nome è Charles Baudelaire, giovane uomo che si proclama poeta e che ama percorrere le fredde sponde solitarie esibendo un paio di stravaganti guanti rosa. E’ ancora troppo presto per sapere che si tratta di un autentico genio, forse del massimo poeta francese di tutti i tempi: per il momento limitiamoci alla descrizione dell’appartamento che è venuto a occupare, trasmessaci dalle parole dell’amico pittore Émile Deroy, autore di un ritratto con cui l’autore delle “Fleurs du mal” adornerà orgogliosamente il suo salotto.

Deroy ci parla di un alto camino, della carta da pareti in tramature di rosso e nero, di una piccola riproduzione di Femmes d’Alger, commissionatagli dal suo antico compagno di studi. E’ una casa che guarda affannosamente il cielo, ed è forse proprio per questa impaziente esigenza di ascesi che il poeta farà opacizzare le vetrate fin sul loro ultimo listello, così da sollevare gli occhi dall’inferno bruciante del vivere, l’incendio inguaribile che la sua scrittura mostra di conoscere fin troppo bene.  Ci spostiamo solo di qualche passo, dal 17 al 2 della stessa via, in quella che André Gide sognerà per tutta la vita come sua residenza ideale. E’ qui che, attualmente sepolto sotto i ponteggi di ristrutturazione, sorge l’ hôtel che porta il nome del suo primo costruttore e proprietario: il ricco Jean-Baptiste Lambert, che intorno al 1640 ne affiderà il progetto all’architetto Louis Le Vau.

 

Questo autentico gioiello all’ombra delle due torri di Notre-Dame si sporge ancora sul fiume con la silente opulenza di un vecchio maniero: al suo interno una Galerie d’Ercole coi lavori di Perrier, Le Brun e Le Suer, molti dei quali oggi al Louvre. Interessante la vicenda amorosa legata alla dimora: con tale edificazione il suo ideatore intendeva rendere omaggio alla donna desiderata, per lei aveva fatto installare la preziosa alcova nella quale, come all’epoca era di moda, ricevere comodamente i numerosi ospiti del palazzo. Nelle sale che circondano il sontuoso Cabinet de l’amour la marchesa di Châtelet consumerà la sua passione per Voltaire. Poi la casa trasmigrerà nelle mani dei Dupin, antenati di George Sand, e sul finire dell’Ottocento, tramite la relazione della scrittrice con Frederic Chopin riacquisterà la sua tipica aura sentimentale: vi sfileranno, oltre al compositore polacco, Franz Liszt, Eugène Delacroix, Hector Berlioz, Honoré de Balzac e lo scrittore Adam Mickiewicz, invitato piuttosto fisso nel corso dei suoi soggiorni parigini.

 

Chopin, tuttavia, non è sotto le volte dell’ hôtel Lambert che morirà, ma in un appartamento finanziatogli da un allievo al 12 di place Vendôme. A pochi passi dalla sua ultima dimora ritroviamo il Ritz, l’altro celeberrimo hôtel entrato a far parte dei fasti leggendari di Parigi. Edificio di lusso che raccoglie gli echi di quel diciottesimo secolo che l’ha visto sorgere, è solo in pieno Ottocento che aprirà finalmente i suoi locali all’accoglienza di personalità importanti e visitatori di riguardo.

Una fra tutte, la stilista Coco Chanel, che vi risiederà per più di trent’anni e vi morirà, in totale solitudine, accudita dal tenero conforto della sua fedele governante. Ancora Marcel Proust, frequentatore fisso dei ristoranti del piano terra e commentatore eccellente delle abitudini incontentabili del bel mondo parigino, ed Ernest Hemingway che ne battezzerà uno dei bar. Il Ritz, che finirà per diventare proprietà del magnate egiziano Mohamd Al-Faied sarà pure legato a un ricordo drammatico, impresso indelebilmente nella mente di tutti: la cena di quell’ultima fatale sera d’agosto del 1997 che nell’ hôtel faranno il figlio Dodi e la compagna Diana Spencer, prima di correre tra le braccia della morte nel tragico e ormai infelicemente noto tunnel dell’Alma.

 

Di tutt’altro tenore ma non meno autorevole l’hôtel Lutetia – dall’antico nome di Parigi – nel centralissimo quartiere di Notre-Dame-des-Champs. Siamo non troppo lontani da Saint-Germain, e da rue de Fleurus dove al 27 Gertrude Steine e la sua compagna Alice B. Toklas hanno accolto e sfamato per quasi tre decenni i più sorprendenti artisti della modernità. Il Lutetia, al 45 di boulevard Raspail viene costruito nel 1910, e imponenti sono state le celebrazioni per festeggiare il suo lungo secolo di vita. La sua immensa dimora nasce con l’ambizione ostentata degli hôtels particuliers, e ne è proprietaria Madame Boucicaut, già possidente dei magazzini Le Bon Marché, tra le donne più facoltose e influenti della città. L’hôtel è particolarmente rinomato giacché, oltre all’offerta di 231 camere e di 60 suites a tema – da non perdere quella dedicata alla Torre Eiffel, o quelle ancora ispirate ai grandi temi letterari – è anche il primo importante esempio di Art Nouveau a Parigi, e il suo caffè rimanda ai dettami fantasiosi dell’Art Déco. Come per gli altri alberghi della capitale pure qui non sono poche le celebrità, se il suo registro d’ingresso conserva, tra le firme degli ospiti, quelle di James Joyce, di Samuel Beckett, di André Gide e André Malraux. All’interno di queste sale austere e ovattate Albert Cohen scriverà Bella del Signore, autentico capolavoro e suo più autorevole romanzo.

Tuttavia l’hôtel Lutetia attraversa anch’esso il suo breve periodo buio, all’indomani dell’occupazione nazista, quando il commando tedesco decide di stabilirvi la sede del suo nucleo d’indagine anti-spionaggio. Il momento è sinistro, i viali circostanti si svuotano, e su tutto sembra scendere un velo di cenere fitta, in grado di spegnere qualunque rigurgito vitale. Ma alla fine della guerra il proprietario della struttura riscatterà abbondantemente la sua infausta memoria offrendolo alle forze amiche della Resistenza. E’ da qui che l’esistenza dell’hotel Lutetia ha potuto riprendere il suo corso felice, affidando ad artisti del calibro e della forza visionaria di Arman o di David Lynch la decorazione e l’arredamento di alcune delle sue migliori camere.  Mi piace chiudere con un alberghetto che non ha niente della grandiosità colossale del Ritz o del Lutetia, ma che serba tra le sue glorie il ricordo di due poeti di non trascurabile rilevanza. E’ l’Hôtel, che non vuole aggiungere altro appellativo al suo nudo nome, al 13 di rue de Beaux Arts, luogo scelto da Borges per le sue puntate parigine e da Oscar Wilde per mettere fine alla tormentata epopea della sua vita.

 

Il profeta dell’amore “che non osa pronunciare il suo nome”, sopravvissuto all’infamia del carcere ma ormai distrutto nel corpo e nello spirito vi approda nella sua ultima amarissima stagione. L’Hôtel ne perpetua la presenza con un rispettoso medaglione collocato proprio sotto la targa che ricorda il passaggio dello scrittore, così come ogni cosa, a Parigi, trattiene il segno e forse la misura del fascino, del coraggio, dell’audacia di chi continua a volerla, come Oscar, sola possibile patria del cuore.

 

Luigi La Rosa

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