Parigi, capitale della morte

 

 

 

Sappiamo bene dai libri di scuola come Parigi sia stata nei secoli fulcro indiscusso di passioni, energie, avanguardie e movimenti di rinnovamento intellettuale, ma è solo facendo un giro dei suoi sterminati cimiteri – vere e proprie metropoli della morte – che ci si può rendere concretamente conto di quanti siano davvero stati gli immortali a scegliere la capitale francese come meta o epilogo della loro vita.

E’ una Parigi sinistra, vagamente gotica, quella che ci appare quest’oggi, e poche città sanno esserlo a tal punto. Ma prima di entrare nei luoghi in cui i grandi riposano, partiamo un momento dalle loro storie, per mettere meglio a fuoco prospettive e disastri esistenziali. E scegliamo il nume parigino per eccellenza, il suo più grande poeta, il seduttore, l’assassino, il Mago. Charles Baudelaire – di cui sarebbe interessante rintracciare le numerose residenze urbane, ma rischieremmo di perdere il conto: basti pensare che in un solo mese sono documentati ben sei traslochi diversi, e non sono mica i soli spostamenti della sua breve vita.

Incominciamo dalla nascita, al 13 di Rue de la Hautefeuille – siamo in pieno quartiere latino, nel cuore storico di Parigi – e dall’ombra di un padre assente, artista a suo modo, disegnatore e frequentatore dei salotti letterari dell’epoca, da una madre povera e ammalata di nervi, che sostituirà il suo precedente amore, morto quando il figlioletto ha solo sette anni, con il più adagiato e severo tenente colonnello Jacques Aupick, uomo autoritario e rancoroso, despota che allontanerà il figliastro cercando d’imporgli una carriera militare e umiliando con ogni mezzo le sue ambizioni creative.

 

 

Ma ancora altre, più terribili sfumature di nero vengono a incupire il quadro originale: la nascita di una sorellina morta dopo un solo mese di vita, che la madre inizialmente nasconde a Charles e la cui visione improvvisa del cadavere costituirà per lui il più brutale impatto con l’età adulta.

Baudelaire fugge: prima dalla famiglia, poi dal Collegio di Lione in cui era stato rinchiuso, infine da se stesso, rifugiandosi nella pace e nei silenzi dell’isola di Saint-Louis. E’ qui che ci soffermeremo per qualche istante, contemplando al 17 Quai d’Anjou le alte finestre dell’hotel Pîmodan, dove ha inizio la sua vita intellettuale e la redazione delle prime liriche condivise con gli amici. A pochi passi da questa ricca dimora, la rue Regrettier (antica Rue de la Femme sans Tête), dove vive colei che diventa amante e compagna inseparabile: Jeanne Duval, attrice creola che naviga negli stenti e che sarà Musa e Venere Nera di Charles fino all’ultimo dei suoi drammatici giorni.

La prima tomba importante nel cimitero di Montparnasse è proprio quella di Baudelaire. Un luogo d’incredibile pietà e dalle atmosfere ricche d’energia. La lapide del poeta – costantemente omaggiata dei doni, dei versi e dei fiori dei suoi infiniti ammiratori – rappresenta l’ultimo colpo basso della sorte. Le ceneri del figlio ribelle che più di tutto aveva scansato una madre indefinibile e lo squallido patrigno vengono riunite esattamente insieme a quelle della coppia, responsabile di aver reso impossibile la sua esistenza, e forse, proprio in virtù di questo, più intensa la sua arte. Stupisce che la sepoltura non abbia dimensioni maggiori, e che sparisca quasi nella folla di croci e marmi, sotto le brume del vago cielo di agosto.

 

 

Non dobbiamo andare lontano per scoprire, nel medesimo cimitero, la presenza di un altro gigante della letteratura. Maupassant – l’atleta, il vogatore, l’eterno ragazzo in fuga da un altro padre assente, e che aveva trovato in Flaubert (secondo alcuni suo vero genitore) un modello e un riferimento irrinunciabile per la scrittura – è sepolto sotto un elegante altare a due colonne su cui poggia un suggestivo libro aperto.

Sostare davanti alla pietra che cita qualche passo tratto dai suoi romanzi è un’emozione indescrivibile, una delle più grandi che ti regali la città, ma la giornata dev’essere come stamani, grigia, opaca, vagamente ventosa, perché le suggestioni possano ingigantire e l’affondo nell’agonia di questi spettri risultare veritiero e plausibile.

In uno dei più misteriosi racconti di Maupassant, Les tombales, una donna giovane, vedova, visita con insistenza un altro famoso cimitero parigino: quello di Montmartre. L’autore descrive l’inquietante indifferenza con cui questa eccentrica figura attraversa i bassi cancelli e risale i loculi come se percorresse un qualunque trafficato marciapiede cittadino. E’ un personaggio che ha qualcosa di oscuro, di perverso, ma di estremamente seducente. Che cosa, o chi cerca, e incontra, nel corso di quegli appuntamenti quotidiani?

Ho scelto questa immagine perché mi sembrava la più appropriata per accogliervi in quello che è secondo me il più bel cimitero di Parigi – quello più ameno, più solitario, dove la voce cavernosa dell’inverno si ode forte, assai forte, e le parole diventano più rapidamente che altrove fredde come fossero marmo, su bocche che non parleranno più.

Sono tanti gli artisti che hanno eletto questo luogo metafisico a loro ultima dimora: Vigny, Théophile Gautier, Stendhal, Heinrich Heine, Apollinaire, e non ultima Alphonsine Plessis, l’infelice madame che ispirò a Dumas figlio Marguerite Gautier, celeberrima Dama delle camelie di un libro che sarebbe divenuto culto di tutto una stagione di fasti e maledizioni. Montmartre racchiude ancora la prima tomba di Zola, esiliato per il suo ardente J’accuse!, ma successivamente glorificato con la riesumazione e la trasmigrazione tra gli eroi letterari del Panthéon.

Nella parte più antica e più alta del cimitero mi tocca particolarmente l’amaro realismo di una statua a grandezza d’uomo, seduta sul sepolcro di colui che fu forse il più abile ballerino di ogni tempo: Nijnskiy, sottile come un giunco, sinuoso come un felino, morto di amore e di follia. Siede immobile, disperato, mummificato nella sua incertezza espressiva, e attende l’uscita da una scena che non ha probabilmente il coraggio di abbandonare, troppo legato alla vita, ai tripudi, forse alla città che più d’ogni altra ha contribuito a eternarne il mito.

 

 

Salutiamo la Butte, per scendere giù, fino al terzo imponente e più noto cimitero di Parigi, il Père-Lachaise, al quale è intitolata addirittura una delle fermate della metro. Seguitemi fino in fondo, qui il cammino si fa davvero interessante. Entrando dall’ingresso principale percorrete il sentiero che divide in due metà esatte il cimitero e raggiungetene il margine superiore.

Scoprirete una sorta di austero portale, con una minuscola folla di creature senza vita, che aspettano soffertamente di oltrepassare, e vi sconvolgerà in maniera particolare questa spietata, terribile rappresentazione della fragilità umana che non conosce altre strade se non quelle della caduta e dell’abisso. Tra i personaggi rappresentati dalle sculture pure un piccolo di pochi anni, vittima sacrificale dell’inumana democrazia della morte nei confronti di tutti.

Qui le voci sono tante, e vi chiamano lungo direzioni differenti. Verso la tomba di Balzac, che come il suo père Goriot, pure lui raggiunge infine il Père-Lachaise, e il cui volto scolpito nel bronzo continua a fissare il visitatore nella verde immobilità tipica dei fantasmi. Poco lontano da lui, suicida visionario in un mattino di gennaio, Gérard de Nerval, evocato da una colonna spezzata, su cui è inciso il pallido nome. Poi, Bellini, sfuggente e amato, il bel Cigno catanese, trasportato a onorarne la patria nel sontuoso Duomo della sua città natale. E Chopin, con un angelo riverso che sembra non essersi ancora distaccato dallo strazio di quella fine brutale e prematura.

L’elenco sarebbe davvero interminabile: vado per una selezione triste ma inevitabile, legata soprattutto agli affetti personali. E’ così che raggiungo la tomba che riunisce insieme, come non lo furono nella vita, i più commemorati amanti di ogni tempo. Abelardo ed Eloisa, infelicemente perseguitati fino alla fine, possono finalmente ardere insieme nella fiamma senza tempo dell’aldilà. Il Cenotafio ha quasi le dimensioni di una cappella, e le figure dei due sposi sfortunati riposano sotto l’imponente baldacchino coperto di decorazioni e di fregi floreali.

 

 

La città della morte diviene a tratti, chissà come, la città dell’amore e del desiderio. E’ con un autentico colpo al cuore che ci si ritrova, non appena ci si è allontanati di qualche passo, davanti alla tomba che Amedeo Modigliani condivide con Jeanne Hébuterne, altra compagna della vita e dell’arte, innamorata del suo uomo fino all’ingiusto supplizio di sé. Non dimentichiamo che la povera Jeanne, ventitreenne, madre di una bambina di quattro anni e incinta di quasi nove mesi, si getterà dal quinto piano della sua casa natale (all’8 bis di rue Amyot) il mattino seguente alla morte dell’artista italiano.

 

 

Si scende ancora di poco, per raggiungere l’angelo volante – in realtà una sfinge potentemente stilizzata – dedicato alla tomba di Oscar Wilde. Dopo lo scandalo, il carcere, la fuga in Francia, è a Parigi, all’Hotel Alsace (13 di rue de Beaux Arts), che il cantore dell’amore senza confini e senza limiti si spegne, precocemente divorato dalla malattia e dalla solitudine.

Tra tutti è forse il punto più frequentato del cimitero, quello più ammirato e più visitato: nel mare di baci e impronte di rossetto che hanno ricoperto la pietra, costringendo i responsabili municipali a racchiudere l’opera in una speciale gabbia di vetro, faticherete non poco a rintracciare l’aforisma che più amate: parecchi, e in ogni lingua, sono infatti gli accenti nei quali continua a scandire la magia evocativa di questo limpido profeta.

Gertrude Steine, la sua compagna Alice B. Toklas, Marcel Proust, Edith Piaf, Jim Morrison: formano solo un esile numero nella lista di stelle che continuano a sfolgorare sul firmamento di Parigi. Ma è altrove che vogliamo concludere la passeggiata: in un luogo in cui la morte ha scelto la purezza dell’anonimato, spogliandosi completamente dei fasti della fama.

 

 

Prendete la metro fino alla fermata di Denfert-Rochereau (Montparnasse) e scendete insieme a me nella più grande necropoli del mondo: le catacombe parigine costituiscono l’ultima tappa imperdibile all’interno di questo Ade sterminato, che impressiona, sconvolge, fa riflettere ma soprattutto avvince.

Si percorre qualcosa come un chilometro di strada procedendo all’interno di bui cunicoli apertamente sconsigliati a chi soffra di claustrofobia o sia in possesso di una sensibilità particolarmente suscettibile. Ecco il rifugio della Resistenza francese per fronteggiare la terribile avanzata nazista, quello che sarebbe divenuto il suo quartier generale, la sua roccaforte. E’ un ambiente freddo, molto freddo, ma soprattutto vuoto, desertificato. A un certo punto, quando meno ve l’aspettate, l’ammonizione scolpita sulla creta delle pareti vi scioccherà: Fermatevi! Qui è l’Impero della morte!

Ed è un vero e proprio dominio quello nel quale v’imbatterete: un potere ineguagliabile, che dimostra come la morte abbia divorato uomini e donne, come sia riuscita a ridurli a semplici teschi e cartilagini disposti lungo i traboccanti bordi del tracciato.

E’ una progressiva, continua discesa agli inferi della desolazione e dello stupore. Il numero dei morti è incalcolabile e impressionante: saranno migliaia le orbite senza occhi che vi fissano nel loro eloquente silenzio. Altrettanto fatali le iscrizioni che accompagnano la macabra sfilata: sentenze dalla sapienza antica, millenaria, che riconducono alla caducità dei tempi e delle cose, stilate in una prosa essenziale perciò agghiacciante, e attraversate da un’oscurità ben più profonda di quella suggerita dagli intestini della terra.

Credo rimanga il viaggio nella Parigi più umana, più crudele, la più intollerabilmente necessaria, per restituire a questa città all’apparenza eterna un profilo di decadenza e di semplice miseria, e quel commovente moto d’universalità che da sempre la pervade, animandola e facendone un assoluto.

 

Luigi La Rosa

 

 

Alcuni riferimenti storici adoperati nella stesura di questo articolo sono tratti dal volume “Le Paris des écrivains”, di Jean Le Nouvel (Éditions Alexandrines, Paris).